PENSATE CHE ORA SIA FACILE PRODURRE MASCHERINE IN ITALIA? NO!
LO STATO HA DEROGATO ALL'OBBLIGO DI ACCREDITAMENTO ''CE'' MA NON ALLE NORMATIVE ISO: I MATERIALI TASSATIVAMENTE PRESCRITTI IN ITALIA SI TROVANO POCO, E VENGONO INVECE PRODOTTI MASSICCIAMENTE IN CINA.
QUINDI SIAMO COMUNQUE ALLA MERCÉ DI PECHINO
Una delle misure più sbandierate del decreto Cura Italia si rivela un amaro bluff. Si tratta dell'articolo 15, rubricato «Disposizioni straordinarie per la produzione di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale». Per agevolare la produzione domestica di mascherine, il Governo ha sì scelto di derogare l'accreditamento CE. Non ha tuttavia concesso ai produttori interessati la possibilità di far testare materiali diversi da quelli prescritti dalle normative UNI ISO 10993 e UNI ISO 14683. Lo si desume anche dal sito dell'Istituto Superiore di Sanità, che si chiama fuori dallo svolgimento di alcun tipo di prova di laboratorio e ribadisce che i prodotti devono rispondere alle norme sopra citate ad esclusiva responsabilità del produttore.
MASCHERINA
È un pericoloso controsenso, dato che i materiali tassativamente prescritti in Italia si trovano poco, e vengono invece prodotti massicciamente in Cina. Pertanto, anche se si riuscisse a realizzare le mascherine in Italia, saremmo alla mercé di Pechino per l'approvvigionamento del tessuto. Un vero disastro, insomma, che frena moltissimo la flessibilità e l'ingegno imprenditoriale di molte aziende italiane. Al danno si somma la beffa.
GIUSEPPE CONTE ROBERTO GUALTIERI
Alle aziende più determinate, infatti, le autorità hanno risposto che le stesse aziende possono svolgere le prove di laboratorio sul proprio materiale. A ben vedere, si tratta di una risposta degna di Ponzio Pilato. Con tutte le attività chiuse, infatti, gli esiti delle prove tarderebbero parecchio tempo ad arrivare. Ecco perché molti imprenditori hanno dovuto tornare sui propri passi oppure si stanno affidando a enti regionali che a loro volta stanno testando tutti i materiali disponibili presso molti produttori.
Pur accordando priorità ai materiali previsti dalle specifiche ministeriali, non mancano scelte in aperto contrasto con le disposizioni del Governo. La speranza, infatti, rimane quella di reperire le quantità di materiale che al momento mancano sul mercato. Il differenziale di prezzo tra le mascherine importate dalla Cina e quelle prodotte autarchicamente è enorme (le prime costano il doppio delle seconde) e dover dipendere dalle importazioni costerebbe al contribuente italiano molto di più. Fonte: qui
MANDARE I SOLDATI IN GUERRA DISARMATI
''O CI DATE UNO SCUDO PENALE, O NON OPERIAMO PIÙ''. AI MEDICI NON MANCA SOLO LA PROTEZIONE SANITARIA, MA PURE QUELLA LEGALE. MOLTI DOTTORI RISCHIANO CAUSE CIVILI E DENUNCE PENALI DA PARTE DEI PAZIENTI. SOPRATTUTTO QUELLI SPECIALIZZATI IN MATERIE DIVERSE DALLE MALATTIE INFETTIVE E CHIAMATI AD AIUTARE I COLLEGHI TRAVOLTI DAL VIRUS: LE LORO ASSICURAZIONI POTREBBERO NON COPRIRLI
CORONAVIRUS MEDICI
Un altro picco. Medici e infermieri contagiati continuano ad aumentare.
Ieri sono saliti a 5.760, più 549 rispetto al giorno precedente. Un balzo del 10,5% in ventiquattr' ore. Nel solo Lazio si contavano ieri altri 51 camici bianchi infettati, tra ospedalieri, medici di famiglia e del 118. Di questi circa otto del reparto di oculistica dell' ospedale Sant' Eugenio di Roma: tutti positivi insieme a una decina di infermieri, il reparto è stato chiuso.
Ora alcuni sono ricoverati allo Spallanzani, altri in isolamento a casa. E si allunga l' elenco dei morti, aggiornato quotidianamente dalla Federazione degli Ordini dei medici: 25 vittime. L' ultima di questo drammatico bollettino di guerra si chiamava Domenico De Gilio, aveva 66 anni ed era medico di medicina generale a Lecco.
LE FOTO DI MEDICI E INFERMIERI CHE LOTTANO CON IL CORONAVIRUS
Il fatto è che la percentuale di operatori sanitari infettati, sul totale dei contagiati, è più del doppio di quella del resto del mondo: 8,9% (contro un 4% circa), con punte del 13% a Roma e del 12% in Lombardia. Numeri impressionanti che, a fronte della carenza degli adeguati dispositivi di protezione individuale, potrebbero indurre molti medici a rifiutarsi di andare al lavoro. La minaccia è già arrivata in Piemonte dagli operatori del 118.
Hanno scritto a Chiara Rivetti, segreteria regionale dell' Anaoo (il sindacato dei medici dirigenti); hanno spiegato che se continueranno a mancare le mascherine filtranti non assicureranno tutte le prestazioni d' urgenza. "Anche se adesso, dopo le diffide e gli esposti che abbiamo fatto, una prima scorta è arrivata - dice Rivetti -. Ma basterà per due o tre giorni e non di più". Un problema che si aggiunge alla contestata disposizione che impone ai medici e agli infermieri venuti in contatto con un paziente a rischio o infettato di tornare in corsia se asintomatici.
LE FOTO DI MEDICI E INFERMIERI CHE LOTTANO CON IL CORONAVIRUS
Ieri la Regione Emilia-Romagna ha alzato il tiro con una direttiva che dà il via libera al rientro in ospedale del personale sanitario asintomatico anche se positivo, provocando una levata di scudi. Solo il rapido dietrofront del commissario ad acta Sergio Venturi, ex assessore regionale alla Salute ("Sicurezza prima di tutto, faremo chiarezza", ha detto), ha evitato in extremis una sollevazione. Intanto emergono altre falle nei decreti sull' emergenza sanitaria approvati fino ad ora.
MEDICI E CORONAVIRUS
Come quella che, secondo il personale medico, è stata aperta dall' articolo 34 del decreto del 2 marzo scorso, che consente di "fare ricorso alle mascherine chirurgiche quale dispositivo idoneo a proteggere" gli operatori sanitari. "Norma ambigua - osserva ora il segretario nazionale dell' Anaao Carlo Palermo -, con la quale il governo ha cambiato direzione.
INFERMIERI ALL OSPEDALE DI CODOGNO CON MASCHERINE MA SENZA GUANTI
La situazione non è più sostenibile, c' è il rischio, in queste condizioni, che qualcuno possa anche rifiutarsi di operare. C' è stata fin da subito una sottovalutazione dell' epidemia, nessuno era preparato ad affrontare un problema di questa portata. Bisognava intervenire subito".
Ma c' è un' altra questione che sta venendo a galla. Molti medici impegnati in reparti non Covid in questi giorni vengono precettati per aiutare i colleghi in prima linea, perché manca personale. Ortopedici, chirurghi, pediatri. Si ritrovano a trattare pazienti che richiedono invece infettivologi, pneumologi, anestesisti.
MEDICI SI PROTEGGONO CON I SACCHI DELLA SPAZZATURA IN LOMBARDIA
Nessuno può rifiutarsi: è stabilito dalla legge e dallo stesso codice deontologico dei medici. Ma che succede se qualcuno commette un errore mentre sta prestando cure a un paziente? Certo, i medici sono assicurati. Ma non è detto che in ambito civilistico possano vedersi riconosciuta la copertura. "Così - dice Palermo -, prima vengono mandati allo sbaraglio, poi rischiano di pagare di tasca propria il risarcimento dei danni". Fonte: qui
LA MINACCIA SU ROMA: 108 MEDICI POSITIVI NEL LAZIO (94 SOLO NELLA CAPITALE). L'ORDINE DEI MEDICI SI SCAGLIA CONTRO LA REGIONE LAZIO, COLPEVOLE DI NON AVER ANCORA INIZIATO CON I TAMPONI AGLI OPERATORI SANITARI E LANCIA L'ALLARME: “SE GLI OSPEDALI DIVENTANO COME LE CASE DI RIPOSO SARÀ UNA STRAGE”…
MEDICI
A Roma e nel Lazio aumentano i casi di Coronavirus ed aumentano i medici contagiati: in tutta la Regione sono 108, ben 94 nella sola Capitale. L'Ordine dei Medici si scaglia contro la Regione Lazio, rea di non aver ancora iniziato con i tamponi agli operatori sanitari promessi, e lancia l'allarme: “Se ospedali diventano come le case di riposo sarà una strage”.
Il grido di protesta arriva direttamente dalla voce del presidente dell'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Roma, Antonio Magi.
Dottor Magi, ad oggi quanti sono i medici contagiati a Roma e nel Lazio?
“La situazione si fa ogni giorno sempre più grave e nessuno fa niente per arginarla. Al 26 marzo ci risultano 108 medici contagiati nel Lazio. Nel dettaglio ce ne sono 94 a Roma, 6 a Latina, 6 a Viterbo, 2 a Frosinone e nessuno a Rieti”.
Quanti di loro sono attualmente ricoverati?
“Dei 108 medici positivi, quattro sono ricoverati in ospedale mentre i restanti 104 sono tutti in isolamento domiciliare”.
MEDICI
La Regione lunedì aveva detto che avrebbe iniziato a fare i tamponi a tutto il personale sanitario a rischio. È stato così? Quanti ne sono stati fatti?
“Zero, non è stato fatto ancora niente. Non sappiamo più come dirlo, abbiamo bisogno urgente che vengano fatti i tamponi. Non è possibile andare avanti in questa situazione. Se non vengono fatti al più presto anche gli ospedali rischiano di fare la fine delle case di riposi e diventano dei mega focolai. Tra noi operatori sanitari vengono registrati in media 509 nuovi positivi al giorno.
E non lo dico io, ma lo dicono i numeri: il 18 marzo gli operatori sanitari contagiati erano 2890, al 25 marzo sono 6205. Questo è poi il numero dei casi censiti dall'Istituto Superiore di Sanità, ma immagini quanti operatori possono aver contratto il virus e non lo sanno, e nel frattempo visitano ed hanno contatati con migliaia di pazienti e persone. Se non vengono tutelati i medici sarà una strage. Nessuno ci pensa ma questi medici trovati positivi hanno passato la loro incubazione nei reparti e potrebbero aver infettato il mondo”.
MEDICI
E per quanto riguarda le mascherine? Come è la situazione?
“Qualcosa dalla Regione è stata consegnata, ma è poca roba rispetto quanta ne serve e per lo più inadeguata. Per lo più sono state consegnate mascherine chirurgiche, che in alcune situazioni possono anche andare bene, ma ai medici che hanno a che fare con i malati di Covid-19 hanno bisogno delle Ffp2 e delle Ffp3. Ripeto, se ci ammaliamo noi facciamo una strage”.
L'Ordine dei Medici ha inviato un camper attrezzato per dare supporto al Comune di Nerola. La situazione nel piccolo paese è grave?
“Con la zona rossa è stato arginato il problema. Con il nostro camper, su cui lavorano 6 volontari della Federazione Italiana Medici di Famiglia, ci siamo messi in piazza e stiamo eseguendo tamponi su tutte quei cittadini di Nerola a rischio contagio”.
''CHI DICE CHE IN TERAPIA INTENSIVA NON SI SCEGLIE IN BASE ALL'ETÀ DEL PAZIENTE, MENTE''.
LUCIANO GATTINONI, IL PIÙ IMPORTANTE SPECIALISTA DEL SETTORE AL MONDO: ''LA DOMANDA CHE CI SI FA È: POTRÀ QUESTA PERSONA RESTARE DUE SETTIMANE INTUBATO?
PERCHÉ QUESTA È L'UNICA VERA GARANZIA DI SOPRAVVIVENZA. CASCO A OSSIGENO E PRONAZIONE SONO PALLIATIVI. QUANDO IL VIRUS ARRIVA NEI POLMONI, SUCCEDE…''
Francesco Rigatelli per “la Stampa”
Luciano Gattinoni, 75 anni, medico rianimatore di fama internazionale, ex direttore scientifico del Policlinico di Milano e presidente della Società mondiale di Terapia intensiva, è professore ospite all' Università di Gottinga in Germania. Da lì esamina i dati che i suoi ex allievi, primari dei principali ospedali lombardi, gli inviano per un parere sul coronavirus. E, anche se non lo ammetterà mai, molti pazienti vengono curati grazie alle sue intuizioni.
Che idea si è fatto del coronavirus?
LUCIANO GATTINONI
«È un microrganismo che nella maggioranza dei casi non fa danni, ma in alcuni si attacca ai polmoni e diventa letale. In Germania ho visto dei pazienti e molti me li hanno sottoposti dall' Italia. La malattia si presenta in modi diversi e porta a una grave carenza di ossigeno».
È vero che ne ha intuito la causa?
«Mentre la polmonite colpisce gli alveoli, questa polmonite virale interstiziale tende a interferire sulla parte vascolare. Così i vasi sanguigni del polmone perdono potenza e causano l' ipossiemia, cioè la carenza di ossigeno nel sangue».
Come si cura?
«Se viene l' ipossiemia il cervello compensa aumentando la respirazione, per questo i malati arrivano in ospedale apparentemente in forma. In realtà, si ha già una saturazione bassa dell' ossigeno nel sangue. Per aumentare il respiro si fa più pressione, il polmone si infiamma e il plasma filtra nell' interstizio. Un meccanismo che si interrompe solo con un' intubazione di 10-15 giorni».
REPARTO DI TERAPIA INTENSIVA BRESCIA
E se non c' è posto in terapia intensiva?
«Bisogna trovarlo perché casco e pronazione, lo dico io che l' ho ideata, sono palliativi. Intubando si permette al paziente di mantenersi dormiente finché le difese immunitarie vincono il virus. Al momento è l' unica cura. Non a caso muoiono di più quelli fuori dalla terapia intensiva che dentro».
Dunque l' intubazione è sempre necessaria?
«Per stabilirlo andrebbe misurata la negatività della pressione con un catetere esofageo, ma ora negli ospedali non c' è tempo e si decide come in guerra: chi ha fame d' aria e fa rientrare le costole per respirare va intubato».
È vero che si sceglie in base all' età?
«Chi dice il contrario mente, ma è naturale con poco tempo e molto afflusso. Si valuta la probabilità che un paziente anziano possa sopravvivere a due settimane di intubazione. Ho sempre insegnato a provare per tutti un trattamento intensivo per 24 ore, ma ora non si riesce».
OSPEDALE REPARTO DI TERAPIA INTENSIVA CORONAVIRUS
E le cure farmacologiche?
«Al momento non ce ne sono di efficaci».
In quali casi si muore con o per il coronavirus?
«La domanda da fare è: quante vittime ci sarebbero senza l' epidemia? Gli oltre 8mila morti italiani sono dovuti al coronavirus».
Come mai così tanti?
«Pur avendo fra le prime sanità al mondo, si è intasato il sistema e non si è potuto curarli al meglio per mancanza di posti e di personale. I veri numeri da sapere sono i pazienti ricoverati, i morti in ospedale e quelli in terapia intensiva».
È vero che i giovani se la cavano?
«Un fisico anziano reagisce peggio alla malattia e alle cure. Il mistero è perché da un solo virus ci siano casi con sintomi diversi».
Cosa ne pensa degli ospedali da campo?
REPARTO DI TERAPIA INTENSIVA ALL'OSPEDALE DI WUHAN
«In guerra si fa il possibile, ma resto scettico perché per la terapia intensiva oltre al respiratore serve un' équipe che si formi in anni di lavoro».
Una sanità con meno tagli avrebbe retto meglio?
«È vero che si è tagliato troppo, ma un' emergenza del genere coglie chiunque impreparato.
L' unico rimpianto è di non aver pensato alle scorte di materiale e a un piano preciso».
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