martedì 30 giugno 2015

GEORGE SOROS, IL CAPITALISTA DEL DISASTRO

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George Soros è un noto miliardario. Di recente ha iniziato a prendere parte attiva negli affari Ucraini, ma certamente non giocando il ruolo del pacificatore; tutt’al contrario, è impegnato a istigare una guerra su vasta scala contro la Russia.
Nei primi giorni di Giugno cyber berkut ha hackerato e diffuso la corrispondenza tra Soros e il presidente Petro Poroshenko. I materiali in possesso mostrano che Soros è determinato a fare pressione sugli USA per rifornire l’Ucraina di armi letali all’avanguardia e addestramento per le truppe. Come mai a un finanziere come Soros dovrebbe interessare una cosa del genere?
George Soros è conosciuto in tutto il mondo. Molta gente ha assistito con i suoi occhi a quello che fa. Uno dei 30 più ricchi al mondo secondo Forbes, la sua presenza è visibile e sentita in molte nazioni. Possiede una reputazione come specialista del profitto, imprenditore (possiede aziende) e di filantropo, tutte cose insieme. L’impegnarsi in diverse attività è distintivo del suo particolare modo di agire e comportarsi.
Si distingue su tutti come maestro della speculazione finanziaria, un vero alchimista della finanza. E’ ricordato per il suo lavoro da maestro nel contribuire al collasso della sterlina Inglese nel 1992. Nemmeno la Banca d’Inghilterra fu in grado di contrastarlo. Guadagnò un miliardo in un battito d’occhi. Contribuì pure allo scoppio della crisi finanziaria nel Sud Est Asiatico, 1998, nella quale le valute di oltre dodici paesi collassarono. Aveva già pronto il suo dito nella torta quando la Russia fu colpita da default sempre nel 1998.
In queste operazioni Soros si avvalse del fondo quantum, il quale è parte del Gruppo fondi quantum, cartello di hedge funds privati basati a Curaçao, Antille Olandesi, ed alle Isole Cayman. Il Gruppo si muove attualmente sotto le direttive di Soros attreverso il suo Soros Fund Management. La speculazione valutaria è la principale fonte delle sue fortune (gli ha fruttato circa 30 miliardi).
Contrariamente a quanto generalmente si pensa però si impegna anche in attività “tranquille” e “pulite”, come la compravendita di quote azionarie, che compra con i ricavati delle speculazioni valutarie. Allo scopo ha fondato il Soros fund management LLC, azienda privata che investe nei capitali delle maggiori multinazionali mondiali. Soros fund management LLC mantiene il controllo di ampie quote in grosse multinazionali che profittano dagli investimenti in paesi stranieri. Soros ad esempio controlla oltre 5 milioni di azioni del gigante della chimica Dow chemicals. Un altro tra i suoi maggiori investimenti è la Monsanto, Soros detiene mezzo milione di azioni del gigante biotecnologico. Queste due multinazionali sono produttori chimici con una offerta diversificata di prodotti e servizi con applicazioni che spaziano dall’industria all’agricoltura, biotecnologie, industria alimentare e numerosi altri settori economici.
Il finanziare ha interessi anche in campo energetico, con circa due milioni di azioni di Energen, una compagnia di gas naturale. PDC Energy, di cui possiede un milione di quote azionarie, è un altro tra i suoi grossi investimenti. Inoltre è coinvolto pure nel business bancario, possedendo quote rilevnati di Citogroup, una della “big six” di Wall Street. La seconda parte delle sue attività non è molto discussa, certo è che è in grado di piazzare le suo uova d’oro (assets) in molti cestini (aziende e banche) in molte parti del Mondo.
Un terzo genere di attività che lo vede impegnato è la charity, la beneficienza, a cui da particolarmente rilievo in quanto contribuisce a creare l’immagine positiva del magnate di successo. Lo strumento principale delle sue attività filantropiche è l’ Open society Institute, o Fondazione George Soros. Formalmente questa ONG agisce in accordo con i principi generali dei diritti umani, la dignità e la legge, allo scopo di aiutare le nazioni a conseguire obiettivi positivi di progresso. Dietro la facciata l’Istituto cerca di resettare la mentalità del pubblico attraverso diversi programmi volti alla formazione di elites locali funzionari a creare regimi il più possibile favorevoli e compiacenti verso gli interessi delle compagnie transnazionali Occidentali e delle banche. Soros con questi investimenti non ci va di certo in perdita: i soldi che spende così sono “investimenti in capitale umano”, spesso ancora più redditizio che investimenti nelle compagnie hi-tech o negli hedge funds. La sola differenza è che i profitti maturano in dieci anni, spesso anche più.
L’Open society Institute ha rami in 27 paesi tra Asia ed Europa, tra cui Polonia, Lettonia, Estonia, Georgia, Armenia, Azerbaijan. Secondo il Business weekSoros ha giò speso oltre 5 miliardi in “beneficienza” di cui 1 milione solo in Russia. Alla fine del 2003 ha però interrotto le sue operazioni Russe. Nel 2004 laOpen society ha smesso di erogare borse di studio. Nonostante questo, altre organizzazioni fondate da Soros proseguono attività nella Federazione Russa.
Sintetizzando, questo è il modo in cui i business di Soros funzionano nella gran maggioranza dei casi:
1)    La speculazione valutaria apporta vasti “guadagni”;
2)    I guadagni vengono ripartiti tra ulteriore speculazione valutaria, l’acquisto di partecipazioni in multinazionali e la “beneficienza”;
3)    Le beneficienze lavorano a facilitare un clima favorevole all’investimento nei paesi scelti. L’investimento in questi paesi arriverà solo dopo dopo aver studiato e verificato certezze rispetto al “clima degli investimenti”;
Nel caso di Soros “clima propizio agli investimenti” non è da intendere in senso comune. Un normale imprenditore direbbe che un clima favorevole agli investimenti presuppone stabilità economica e politica, tendenze favorevoli al mercato et cetera. Questi non sono i parametri di valutazione per Soros: il suo criterio è “tanto peggio tanto meglio”, per questo è definito un capitalista del disastro. Capitalismo del disastro (disaster capitalism) è infatti il termine che designa operazioni come le sue speculazioni valutarie. Generalmente investe in aziende e progetti dopo aver portato a termine efficaci “bombardamenti” con la sua artiglieria. Parliamo di crisi politiche indotte finalizzate a cambi di regime, rivolte, agitazioni di massa, sconvolgimento sociale in genere. Una crisi politica è inevitabilmente succeduta da collasso economico e valutario; svalutazione monetaria, declino nel valore di mercato delle aziende. Ed è quando che impadronirsi degli assets diventa più economico che è tempo di investire. I risultati dei colpi d’artiglieria di Soros vengono poi sfruttati da una pletora di altri squali capitalisti che sono sempre pronti a seguire la sua scia. Ecco che cosa se ne fa Soros della “beneficienza”. Il punto è che questi programmi d’aiuto sono parte delle preparazioni per mettere in scena una crisi politica. Inoltre il successo di questi programmi consente a Soros di avere sempre un certo numero di politici e amministratori pubblici che ballano al ritmo della sua musica, cosa che consente di evitare impedimenti all’acquisizione dei capitali esteri desiderati.
Ogni impresa è condizionata dai suoi flussi di bilancio, ma il modello di George Soros esclude del tutto lo “status quo”. Come nella teoria di Marx (descritta nelCapitale) vi è una legge generale della circolazione monetaria (denaro-commercio-beni) ed espansione della produzione, nel caso di Soros dobbiamo aggiungere la valuta dell’influenza socio-politica, i cambi valutari e la logica delle crisi, il che si risolve nella formula: capitale-crisi-costo dei beni capitali. Il valore aumenta o diminuisce dopo che l’intera fase della circolazione si completa. Senza nessuna crisi politica da promuovere il maestro alchimista Soros perde tutta la sua speciale competitività, riducendosi a un semplice uomo d’affari.
Gli esperti fanno notare come Soros ha applicato le sue speciali abilità in molti paesi del Mondo, ad esempio in Stati Africani come Nigeria, Camerun, Uguanda etc Soros era sempre dietro gli sconvolgimenti sociali e politici che colpivano questi paesi. Dopo ha rivolto le sue ambizioni al’Europa e ai contesti post-sovietici. Lo troviamo coinvolto in Serbia, Georgia, Ucraina e Macedonia. E’ coinvolto oggi in tutti questi scenari. Molto è stato detto e scritto sull’argomento guerre civili e sommosse sociali in questi Stati, meno noto è che George Soros, guarda caso, ha interessi a lungo termine in ciascuno di essi. Esistono due correnti di pensiero maggiori per spiegare i suoi successi negli affari. Una sostiene che siano dovuti alla sua capacità di prevedere gli sviluppi degli eventi, mentre l’opposta teoria sostiene che piuttosto faccia buon uso di informazioni interne che gli girano le sue connessioni a livelli alti nel mondo economico e nelle amministrazioni governative. La prima teoria è propagandata dallo stesso Soros, il quale ha scritto diversi libri sulla teoria della riflessività applicata ai capitali e ai mercati finanziari, nel tentativo di persuadere che il suo dono abbia una base scientifica. Avendo letto i suoi libri ho l’impressione che differiscano poco dalla pletora dei vari “prodotti intellettuali” che affollano gli scaffali delle librerie, quei prodotti dove l’unica cosa a motivarne l’acquisto è il solo nome dell’autore. Sospetto che le sue ambizioni da scrittore altro non siano che una copertura per le nefande attività legate all’uso di informazioni interne e riservate (insider trading). In diverse occasioni è stato colto con le mani nel sacco e se l’è cavata con modeste multe. Direi che la seconda teoria è decisamente più affidabile.
Ma vorrei proporre una terza teoria per spiegare i suoi successi finanziari. Ha accesso a fonti finanziarie vicine ai cosiddetti “signori del denaro”, ossia gli azionisti che controllano il sistema della Federal Reserve (banca centrale USA), quelli che possiedono le presse che stampano i soldi, per intenderci. Nel corso degli anni ’70 il limite dello standard aureo è stato accantonato. Esattamente il 15 Agosto 1971 gli Stati Uniti terminarono unilateralmente la convertibilità del dollaro in oro, di fatto provocando la fine del sistema basato sugli accordi di Bretton Woods (1944) e rendendo il dollaro una fiat currency, una valuta legale (senza valore di riferimento).
La pressa dei soldi può stamparne a piacimento, l’unico problema è poi mettere i soldi a profitto, ed è lì che ai signori del denaro servono dei validi assistenti, ossia Soros. Direi anzi che è anche uno dei signori del denaro lui stesso, dal momento che, come abbiamo visto, possiede notevoli quote di Citigroup, una delle sei grandi banche di Wall Street. Tutte queste maggiori banche sono coproprietarie della società privata per azioni nota come Federal Reserve System. Magari Soros non sarà importante come pezzi da 90 quali i Rotschild o i Rockfeller, signori dei denaro a pienissimo titolo, Soros li serve, secondo gli esperti sarebbe alle dirette dipendenze dei Rotschild, ma questa è una questione che possiamo anche non approfondire qui.
Il punto è che, in ogni caso, possiede abbastanza soldi da fare collassare completamente il valore di scambio di valute straniere. Per portare la missione a termine gli occorre avere una cifra corrispondente al totale delle riserve delle banche centrali. Mise in gioco 20 miliardi di dollari per distruggere la sterlina Inglese nel 1992. A quei tempi non era abbastanza ricco da metterceli tutti di tasca sua e se li fece prestare dai signori del denaro. Molti esperti ritengono che il Fondo Soros altro non sia, infatti, che un fondo comune dei padroni con Soros assunto ad amministratore delegato.
C’è un ultima questione importante che merita la nostra considerazione. I signori del denaro danno soldi a Soros per ragioni diverse dal semplice fatto di arricchirsi ulteriormente, non ne hanno nessun bisogno infatti, che bisogno possono averne se hanno lì le stamperie di soldi sempre a disposizione? Il controllo sulla “produzione” di soldi è infatti la chiave del raggiungimento di tutti i loro veri obbiettivi. Soros non è per loro un uguale, è uno a cui piacciono i soldi che in pratica ha passato tutta la vita a cercare di diventare sempre più ricco. E per questo ha attivamente destabilizzato tanti paesi del Mondo. Però, anche i veri signori del denaro hanno bisogno di destabilizzare ed indebolire gli Stati, diluire le loro sovranità nazionali e avvicinarsi sempre più al sogno che coltivano ed inseguono da secoli: il dominio globale.
Ecco a che cosa gli serve un Soros. Lui rappresenta il massimo esperto nell’orchestrare rivolte, colpi di stato, proteste stile Maidan. E’ tutto qui ciò che l’ha reso un imprenditore di così straordinario successo, nonchè quello che definiamo un capitalista del disastro. Come detto in precedenza, è scontato che Soros è in attesa di mungere enormi profitti dai fatti Ucraini. E se vogliamo dirla tutta, lavora attivamente per fare precipitare la nazione nel caos più totale secondo i desideri dei grandi signori del denaro.
Fonte: qui
Valentin Katasonov
23.06.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI
Per approfondire è consigliato il testo: Valentin Katasonov, Monetary Civilization: capitalism, history and ideology, Institute of Russian Civilization, 2015.

martedì 16 giugno 2015

LA RUSSIA, LA CINA E LA GUERRA CONTRO L'EGEMONIA DEL DOLLARO


DI MICHAEL HUDSON E THE SAKER
counterpunch.org
Le contraddizioni interne della politica estera USA: la Cina e la lotta all’egemonia del dollaro. Un lungo serrato e illuminante dialogo tra il prof. Michael Hudson e The Saker
SakerPare che l’Ucraina sarà forzata a dichiarare default ma che sarà più un default “tecnico”, rispetto che uno effettivo. C’é pure chi sostiene che la decisione della Rada (parlamento) di consentire a Yatseniuk di decidere a chi spetta essere pagato e chi dovrà aspettare rappresenta in pratica un “default tecnico” già di per sè. Ma esiste davvero qualcosa come un “default tecnico”? e se si, in che cosa differisce, in termini delle conseguenze concrete per l’Ucraina, rispetto a un default classico?




Michael Hudson: Un default è un default. Il tentato eufemismo di “default tecnico” saltò fuori per la prima volta  nel 2012 al meeting del G8, in riferimento al debito greco. Obama e Geithner fecero sfacciata pressione affinché il FMI e la BCE “salvassero” il debito greco (bail-out), semplicemente per garantire che i detentori dei bond venissero pagati, dal momento che le banche USA avevano emesso titoli di credit default insurance (CDS) sui bond greci e pendevano grosse perdite su di loro, perdite che sarebbero esplose qualora lo scenario del default si fosse verificato. La BCE propose di ridefinire il default con l’eufemismo di “rinegoziazione” volontaria, chiedendo a banche e altri detentori di bonds (titoli del Tesoro) di acconsentire ad una svalutazione del debito.
Tuttavia, stando alla organizzazione internazionale dei detentori di bond, chiamata la International Swaps and Derivatives Association (ISDA), i default creditizi hanno luogo quando una ristrutturazione del debito viene negoziata da “Una autorità governativa ed un numero abbastanza rappresentativo di possessori delle obbligazioni tale da essere sufficiente a vincolare tutti i possessori”, diventando effettivo. Sempre stando alle definizioni della ISDA: “Eventi di questa fattispecie sono: riduzione dei tassi di interesse imposti o riduzione dell’ammontare del capitale inizialmente concesso in prestito (cosidetto, haircut, la “sforbiciata”), oppure la dilazione di pagamento sul capitale prestato, sul solo interesse, o su entrambe le cose (che spesso include anche una dilazione delle scadenze di pagamenti già scaduti), una subordinazione agli obblighi concordati o un cambiamento della valuta di pagamento del debito ad una valuta diversa da quella nella quale il debito era stato originariamente contratto ad una valuta che non sia la valuta di un paese membro del G7 o una valuta che possieda una valutazione AAA secondo valutazione dell’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD)”
Tutto molto chiaro. Fare in modo che la ISDA classifichi lo scambio di bond come “evento creditizio” consente ai creditori di recuperare l’assicurazione sul default delle loro controparti. Nel caso in questione c’è poca garanzia, quindi i titolari dei bond potrebbero spingersi a sequestrare proprietà governative all’estero; esattamente quello che è già successo con i fondi avvoltoio Paul Singer in Argentina, scrivendo di fatto un pezzo di diritto internazionale che si applicherà direttamente al caso Ucraino.
Sotto le leggi di regolazione del debito del Regno Unito (dove il debito Russo è registrato) il Parlamento dovrebbe designare l’Ucraina come paese HIPC (come i paesi Africani bersaglio delle speculazioni del fondo Singer) allo scopo di bloccare il comportamento nocivo dei creditori. Il Parlamento non sta facendo questo per l’Ucraina, con la sua povertà autoimposta a causa della guerra.
Se il FMI dichiarasse che il prestito di 3 miliardi della Russia non è ufficiale questo significherebbe riscrivere il diritto internazionale e implicherebbe di fatto che prestiti concessi da fondi sovrani governativi di qualsiasi paese (paesi OPEC, Norvegia, Cina etc) non sono protetti in alcun modo. Un doppio standard di questo genere fratturerebbe i mercati del debito in tutto il mondo lungo le linee di un nuova guerra fredda, nella quale la guerra finanziaria rimpiazza la guerra propriamente detta. Ho i miei dubbi che il mondo sia pronto ad affrontare una simile “opzione nucleare” finanziaria.
Saker: La Rada ha anche approvato una legge che consente al Governo di sequestrare le proprietà russe in Ucraina. Non saprei se si intende proprietà governative o proprietà di cittadini ed imprese russe. In ogni caso, quali conseguenze economiche e legali verrebbero scatenate da questi sequestri, nel caso che il governo decida di procedere effettivamente con questo piano? Credi che la Russia sarebbe nella posizione di rispondere con una rappresaglia, o magari appellarsi alla corte Internazionale?
Michael Hudson: Sarebbe un passo talmente radicale da infrangere persino il diritto civile. Inoltre, se l’Ucraina facesse questo mentre sta ancora ricevendo prestiti da FMI, USA e Canada i loro creditori possono essere qualificati tra i responsabili. Quantomeno dal punto di vista morale. La domanda è: quali tribunali avrebbero competenza su un caso del genere? E’ vero poi che Israele utilizza questa eccezione giuridica di tipo etnico nei confronti degli Arabi, questo è l’unico possibile precedente a cui l’Ucraina potrebbe appellarsi per giustificare questo operato.
Quando Cuba o altri stati latinoamericani cercarono di ricomprarsi investimenti americani, pertanto ai valori di mercato, il risultato è sempre stato tentativi di colpo di Stato. Sarebbe un atto di guerra. La Russia potrebbe domandare i risarcimenti, certo, ma a chi? Forse potrebbe sequestrare le proprietà dei paesi occidentali che appoggiano la giunta di Kiev, oppure magari nazionalizzando le partecipazioni francesi e tedesche nelle società russe e divertirsi a osservarne le reazioni di protesta.
Saker: Il Governo Ucraino ha veramenta fatto l’impossibile per spezzare tutti i legami economici con la Russia. Il Dombass è stato bombardato e totalmente alienato dal resto del paese, tutti i contratti di tipo militare-difensivo sono stati pure cancellati, è proibito alle compagnie russe di presentarsi per appalti in Ucraina o proporre contratti, la Russia è stata ripetutamente dichiarata “paese aggressore” etc. Tutto ciò significa che per il momento l’Ucraina preferisce essere al 100% dipendente dall’Occidente. Possiamo pensare veramente che questo Occidente (USA + UE + FMI + Banca mondiale etc) abbia la volontà e i mezzi di continuare a prestare soldi all’Ucraina o di appoggiare il regime al potere? Forse che gli USA possono semplicemente stampare dollari ad libitum e mandarli a Poroschenko, o esistono limiti materiali a quello che l’Occidente può fare in appoggio al corrente regime? Infine, cosa succederebbe all’Ucraina se l’Occidente non può permettersi di sostenerla? Una catastrofe dell’economia interna di quali proporzioni?
Michael Hudson: L’Occidente non fa beneficenza. Le sue aziende non sono intenzionate a perdere soldi, inoltre lo statuto europeo non consente alla BCE o ai contributori europei di finanziare governi esteri. Comprano titoli di stato soltanto dalle banche, e poche banche possiedono bond Ucraini!
I futuri governi Ucraini potranno ripudiare tutte le operazioni economiche della Giunta proprio come gli alleati cancellarono i debiti interni tedeschi nella riforma valutaria del 1947/1948, con l’argomento che il più dei crediti erano i crediti di ex nazisti. La presente cleptocrazia Ucraina non è uno sponsor molto credibile per le privatizzazioni o per altri accordi economici con l’Occidente, nonostante le speranze di George Soros di mettere le mani su terra e infrastrutture. Anche il debito Ucraino verso il FMI e le altre agenzie internazionali può essere rigettato come “odioso debito” (precisa categoria giuridica) in quanto finalizzato a pagare le spese di un Governo in guerra contro la sua stessa popolazione.
Saker: E’ visione comune che la recessione dell’economia Russa ha poco a che vedere con le sanzioni che le sono state imposte contro ma più che altro un risultato del crollo dei prezzi del petrolio. Penso che sia una coincidenza, o che gli USA e i Sauditi insieme abbiano tramato per una caduta dei prezzi del petrolio, similmente a come fu fatto negli ultimi anni ’80 per colpire l’Unione Sovietica? Quale pensi che sarà l’andamento dei prezzi del petrolio nel breve-medio termine e, possiamo aspettarci che il rublo recuperi valore?
Michael Hudson: Non penso neanche che quel primo crollo dei prezzi del petrolio sia stato una cospirazione per danneggiare l’Unione Sovietica. Molti modelli hanno illustrato il ruolo della speculazione finanziaria nel gonfiare i prezzi del petrolio (e di altri minerali o idrocarburi, da quando gli speculatori hanno iniziato a concentrarsi anche sulle materie prime, facendo quello che già da tempo facevano con azioni e buoni del tesoro). I Sauditi hanno i loro obiettivi, cercare di ostacolare la concorrenza estera, tra cui il petrolio “shale”.
Non mi aspetto che il prezzo del petrolio salirà considerevolmente, dal momento che l’economia europea è stata trasformata in una zona depressa e la deflazione del debito sta pesando parecchio anche sulla crescita economica USA.
Affinchè il rublo riacquisti valore, la Russia dovrebbe ri-industrializzarsi. La rivoluzione neoliberale dopo il 1991 era certamente finalizzata specialmente a smantellare la struttura industriale post-sovietica, strapparla dalle radici. Gli agenti dell’ H.I.I.D. (Harvard institute for international development) e l’A.I.D. (United states agency for international development) comprarono aziende russe con potenziale ruolo chiave a livello militare a prezzi stracciati e le smantellarono.
Per re-industrializzarsi, la Russia dovrebbe abbassare i suoi costi della vita, spinti dal costo delle abitazioni. Dovrebbe fare ciò che gli Stati Uniti fecero per sussidiare industria e agricoltura: un forte sussidio pubblico per assorbire i “costi esterni”, provvedendo ad espandere la produzione agricola e la ricerca, misure di regolamentazione dei prezzi etc etc.
Probabilmente Putin sarebbe in grado di convincere i maggiori oligarchi a fare qualche concessione. Ad esempio potrebbero tenersi la loro ricchezza ma acconsentire a una patrimoniale, ad evitare nuove svendite di apparato industriale e affinchè troppe rendite improduttive non pesino sull’economia russa. Questo avrebbe risultati pesanti sulle aziende acquistate da investitori esteri, ponendo fine alla fuga dei dividendi.
Saker: La più pesante delle sanzioni contro la Russia è stata negare accesso al credito alle compagnie Russe. Potrebbero i Russi iniziare a prendere a prestito esclusivamente, ad esempio dalla Cina o esistono ragioni obiettive che impediscono alla Russia di fare ciò? Possiamo dire che la Russia è dipendente dalle banche occidentali e, se sì, quanto durerà questa condizione? E’ possibile che la Russia si sganci dai mercati occidental iniziando a guardare piuttosto verso l’ Oriente, l’America Latina e l’Africa?
Michael Hudson: Chiaramente la Russia ha bisogno di liberarsi completamente dalle banche occidentali; ma quel che è più importante é che non ha bisogno del loro credito (basti guardare come la Cina ha costruito la sua economia senza intervento del credito bancario estero!) La Russia ha bisogno di una vera banca centrale che finanzi il deficit governativo, e una banca pubblica per estendere i crediti su base concessionaria. Il Governo può creare credito semplicemente dalle tastiere dei suoi computer nello stesso modo in cui le banche commerciali lo creano premendo sulle loro tastiere. Questo è esattamente il modo in cui l’ Unione Sovietica ha funzionato per molti decenni, dopotutto.
Non esiste nessun assolutamente bisogno che siano le banche, occidentali o russe, a finanziare il debito pubblico. E’ sempre più pieno di teorici della Modern Money Theory (MMT) capaci di spiegarci nel dettaglio come la Russia potrebbe fare questo dal punto di vista tecnico. E’ l’unico modo efficace di minimizzare i costi d’impresa.
Se i costi finanziari del settore privato (occidentale, BRICS o anche russo) gravano sui prezzi dell’ immobiliare e sui costi d’impresa, sarà molto difficile per la Russia essere competitiva. Ha bisogno di fare ciò che USA, Germania e Cina hanno fatto tutte. Ogni economia di successo nella Storia è stata una economia mista. La Russia al contrario è balzata all’improvviso da un estremo ad un estremo ancora peggiore, da una economia statale pianificata e centralizzata all’estremo neoliberale di stampo Ayn Rand/Hayek/Scuola di Chicago nel 1991, con conseguenze disastrose, come se tutto a un tratto ci si fosse dimenticati della storia finanziaria occidentale o, per quel che rileva, del volume III del Capitale di Marx e delle teorie sul plusvalore. La risposta più efficace sarebbe una creazione di credito pro-attiva per sussidiare la reindustrializzazione e la modernizzazione agraria.
Saker: Come valuti la controreazione della banca centrale Russa agli effetti combinati del crollo dei prezzi del greggio e delle sanzioni USA/UE? Molti, incluso il sottoscritto, hanno criticato le misure prese, nonostante ciò la Russia se l’è cavata decisamente meglio delle aspettative e in molti prevedono persino un ritorno alla crescita prima di fine anno. Secondo te, Elvira Nabiullina e i suoi collaboratori hanno scelto bene nel mantenere variabile il valore del rublo?
Michael Hudson: La Russia ha mantenuto il rublo fluttuante perchè l’unica alternativa sarebbe stata lasciare che speculatori esteri si unissero, stile Soros, per saccheggiare le riserve della banca centrale Russa in una partita di poker finanziaria. Le banche estere avrebbero creato credito sufficiente per iniziare a far deprezzare tutto ed ottenere effetti mortali. La Russia non brilla quando si tratta di giocare a questi giochi, in parte perchè le autorità monetarie russe hanno subito il lavaggio del cervello dell’ideologia neoliberale, senza rendersi conto della sua natura che favorisce banche e rendite ed è naturalmente anti-socialista e inevitabilemente avversa ai diritti dei lavoratori.
Saker: Tra le varie proposte che hanno circolato in Russia due hanno goduto di un appoggio particolarmente solido: la nazionalizzazione della precedentemente “indipendente” banca centrale e la sua subordinazione al governo russo e alla creazione di un rublo pienamente convertibile agganciato alle riserve auree russe (mentre alcuni suggerivano un aggancio all’ “energia”: petrolio e gas). Cosa ne pensi di tali proposte?
Michael Hudson: Una banca centrale “indipendente” ( come la Banca centrale europea, BCE) non significa nient’altro che una banca controllata dai banchieri privati, che impedisce ai governi di finanziare la loro spesa e obbliga i governi stessi, e l’economia tutta quanta, a non avere altra scelta che affidarsi al credito commerciale bancario, chiaramente pagandone gli interessi.
La Russia ha assolutamente bisogno di una vera banca centrale funzionale agli obiettivi del Governo allo scopo di reindustrializzare l’economia; può centrare l’obiettivo soltanto se libera dalla spessa coltre di parassitismo finanziario che ha gonfiato i costi immobiliari, i costi delle infrastrutture, i costi dell’istruzione e il costo della vita in genere nell’Occidente tutto.
L’oro può senz’altro svolgere il suo ruolo in questo sistema, sicuramente per regolare gli squilibri nei i pagamenti internazionali, non direi come aggancio della valuta nazionale però. E’ diventato chiaro dopo gli anni ’60 che nessuno stato sarebbe in grado di pagare le sue spese belliche sotto un regime di gold exchange standard (lo standard aureo), è stato proprio la pesante tara dell’oro che ha forzato gli USA ad abbandonare definitivamente lo standard aureo nel 1971, come conseguenza diretta della crescente spesa militare USA, prima responsabile dell’intero deficit nella bilancia dei pagamenti americana.
Messo da parte l’oro, le banche centrali del mondo hanno assunto i buoni del Tesoro USA, titoli di stato emessi per finanziare un deficit di budget essenzialmente di natura militare. Ciò significa che le riserve valutarie mondiali si sono ri-monetarizzate sulla spesa militare USA, cioè lo stesso meccanismo capace di circondare e destabilizzare i paesi che provavano a ritirarsi da questo sistema (il mio testo Super imperialism parla esattamente di questo).
L’unico modo di arrestare l’avventurismo militare USA è ripristinare le riserve auree e liberare il mondo dalla costrizione di utilizzare i buoni militarizzati del tesoro USA come standard della loro base monetaria.
Saker: Se tu avessi completa attenzione e supporto da parte di Vladimir Putin, Dmitry Medvedev, Anton Siluanov ed Elvira Nabiullina, che consigli gli daresti?
Michael Hudson: Hanno bisogno di rendersi conto che i consigli neoliberali forniti dall’ HIID e dalla banca mondiale dopo il 1991 ha annichilito l’abilità di competere dell’economia. La privatizzazione alza i costi della vita e dell’impresa. Gli Usa, la Germania ed altri economie industrializzate di successo hanno ottenuto il loro status di potenze mondiali grazie a massicci investimenti pubblici nelle infrastrutture con l’effetto, tra l’altro, di mantenere bassi i costi dei bisogni primari: sanità, istruzione, pensioni, trasporti, comunicazioni, elettricità, acqua e via dicendo.
I loro economisti durante il secolo diciannovesimo e primo ventesimo spiegarono come la tassazione pubblica imposta su rendita economia, rendita fondiaria, sfruttamento delle risorse naturali e rendite da monopoli (incluse le tariffe finanziarie delle banche) non causavano aumento dei costi, in quanto sottratte direttamente dalle rendite. Di contrasto, la tassazione imposta sul lavoro e sui profitti di natura non monopolistica pesava decisamente sui costi della vita e dell’impresa. La Russia fu persuasa a detassare le sue rendite da sfruttamento delle risorse e da monopolio, consentendo così maggiori introiti alle banche, ed eventualmente agli investitori americani ed europei, tutto a spese dell’efficienza fiscale russa.
Se i leaders russi nel 1990 avesso letto i volumi II e III del Capitale di Marx e la sua illustrazione della teoria del plusvalore si sarebbero resi conto che la gran parte delle cose di cui i critici del capitalismo industriale desideravano sbarazzarsi non erano in realtà altro che anacronismi di stampo feudale.
Il grande assente dalla attuali riforme economiche è proprio il punto centrale dell’economia classica, dai fisiocrati francesi ad Adam Smith, John Stuart Mill fino a Marx e i suoi contemporanei: liberare le econonomie industriali dalle rendite statiche, considerate allora proprio un lascito indesiderato di stampo feudale europeo. Il punto focale della teoria classica del valore e dei prezzi era l’obiettivo di liberare le economie dalla rendita puramente economica, considerata come reddito non guadagnato, frutto di puro e semplice privilegio: rendite di proprietari feudali assenteisti, ricavi da sfuttamento di risorse minerarie e naturali, rendite da monopolio e interessi finanziari. Lo scopo ultimo era prevenire attività di estrattive basate sul semplice possesso giuridico di capitale, definite come pagamenti forzati puramente predatorii, attività economiche improduttive a somma zero.
La teoria classica del valore di stampo “labour” mirava a isolare le suddette forme di rendita (fondiaria, monopolistica, da interesse finanziario) socialmente inutile, da considerarsi nient’altro che eredità di passati privilegi. L’alternativa di compromesso era di tassare maggiormente la rendita fondiaria e monopolistica (Lord Henry George ed altri). L’alternativa socialista era di di appropriarsi delle fonti naturali di reddito e trasferire ogni settore così caratterizzato alla sfera pubblica.
L’Europa fece ciò con i principali servizi: trasporti, comunicazioni, servizio postale, nonchè istruzione, salute e pensioni. Gli Stati Uniti privatizzarono i detti settori, creando tuttavia commissioni regolatrici per mantenere i prezzi in linea con il costo-valore base ( e a dirla tutta, l’effetto regolatorio è stato sempre un problema, specialmente con i prezzi dei trasporti ferroviari).
Saker: La Russia e la Cina si sono imbarcate in ciò che ritengo sia qualcosa di unico nella Storia: due ex-imperi hanno preso la decisione di diventare reciprocamente dipendenti dal punto di vista economico, avviandosi verso una relazione simbiotica di fatto. Ad esempio la Cina ha acconsentito di fatto a diventare totalmente dipendente dalla Russia per l’energia e l’industria delle forniture belliche. La Russia, da parte sua, spera l’economia cinese consentirà alla Russia di diversificarsi e crescere. Io ipotizzo che sono in effetti perfettamente complementari sotto numerosi punti di vista. Condividi la valutazione, e se sì, come valuti il potenziale della collaborazione economica/finanziaria di questi due superpoteri? Pensi che Russia e Cina insieme, insieme al resto di BRICS e i membri della organizzazione per la cooperazione economica di Shangai, sarebbero in grado di creare nuove economie e mercati liberi dal dollaro?
Michael Hudson: Ci sono due dinamiche fondamentali. Prima di tutto, nell’operare aggiustamenti su commerci, investimenti e valuta è importante che non siano interventi effimeri ma che, al contrario, portino benefici a lungo termine. L’America ha spinto Cina e Russia alla ricerca di questa sicurezza a lungo termine, dimostrando palesemente la sua dura opposizione al potere nascente di entrambe la Russia e la Cina (come dell’Iran o qualsiasi altro potenziale potere chiave).
La seconda dinamica fondamentale è che la strategia Americana del “divide et impera” è finalizzata ad annientare un rivale dopo l’altro. Unendo le forze reciprocamente, ed estendendo l’organizzazione per la cooperazione di Shangai includendo Iran ed altri Stati obbligherà gli USA a dichiarare guerra su minimo due differenti fronti qualora decidesse di muoversi contro Russia o Cina. Logicamente una relazione a lungo termine rappresenta sicurezza reciproca contro l’unico possibile aggressore.
L’investimento capitale in gasdotti ha un ritorno dell’investimento distribuito in un periodo di tempo assai lungo, quindi non ci si può permettere di esporlo a interferenza diplomatica estera, alla quale finora le vendite di gas russe verso l’Europa sono state parecchio prone. L’Europa pare non preoccuparsi troppo del rischio di essere lasciata al freddo, e di questo avrà da ringraziare i suoi politici eletti comprati dai dollari Americani.
Questa è la chiave segreta della diplomazia USA: semplicemente corrompere ogni politico, giornalista ed editore ed altre figure che siano corrompibili. Finchè il Tesoro Americano è libero di stampare dollari senza limite, finchè le banche centrali del mondo si prestano ad assorbire la spesa militare Americana comprando buoni del tesoro USA, spesa che potrebbe in qualsiasi momento essere usato contro loro stessi compratori, l’America detiene l’immenso vantaggio strategico di essere libera dai vincoli generati dalla bilancia dei pagamenti e del debito estero che limitano la spesa militare di qualunque altro Stato.
Per reazione, la Russia, la Cina e gli altri paesi dovrebbero sviluppare un’alternativa al sistema monetario ed al sistema di pagamenti basati sul dollaro USA, un sistema finanziario che rimpiazzi la centralità delle banche americane e infine un sistema di intercomunicazione finanziaria alternativo allo SWIFT.
Se riuscissero a fare questo con successo ciò rappresenterebbe la fine dei neoconservatori USA, colpevoli di avere spinto la provocazione troppo in là, ed ironicamente Cina e Russia rappresenterebbero le forze per il mantenimento della pace mondiale, liberando automaticamente ogni altra economia, commercio e persino apparato difensivo mondiale dalla costante minaccia degli Stati Uniti. Se avranno successo, questa minaccia si allontanerà, ma il ritiro delle pretese economiche USA non sarà certo amichevole e pacifico, come il suo collasso finanziario non sarà certamente un bello spettacolo. Il resto del mondo dovrà proteggersi dagli effetti di ritorno.
Saker: Con tutte le previsioni amare sul futuro del dollaro, gli USA continuano imperterriti a creare dollari dal nulla, i paesi del mondo continuano ad usare il dollaro per i commerci mentre il debito USA è in rapido incremento, i poveri diventano sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi, ed assolutamente nulla mostra segnali di cambiamento sebbene gli USA vadano ormai rapidamente da un fallimento di politica estera all’altro. Per quanto a lungo si può andare avanti così? Esiste un limite oggettivo oltre il quale il sistema non può continuare a funzionare secondo le stesse premesse? Potresti indicare un possibile evento futuro che forzerà gli USA ad abbandonare le sue pretese imperiali e a divenire uno stato “normale” come tutti gli altri, come d’altronde è già successo con tutti i passati ex imperi mondiali?
Michael Hudson: Non esiste un limite oggettivo a quanto la dipendenza dal dollaro, la deflazione del debito e la schiavitù del debito possono continuare ancora, a meno che le vittime non decidano di reagire e hanno successo. L’oligarchia del credito nell’Impero romano diede il via a praticamente un millennio di secoli bui.
L’egemonia del dollaro può finire solo e soltanto se si svilupperà un mezzo efficace alternativo di mantenimento delle riserve internazionali. A questo punta la nuova banca dei BRICS e il nuovo sistema di intercomunicazione finanziaria. Quello che serve adesso è un sistema fiscale complementare e una strategia di investimento pubblico e sussidio.
Piuttosto che un “evento” in particolare sarà, come la vedo io un processo parallelo e complementare alla lenta caduta delle economie occidentali che porterà i neoconservatori USA ad abbandonare i loro obiettivi.
Saker: la Cina e gli Stati Uniti sono visibilmente su una traiettoria di collisione politica e persino militare. Nonostante questo però in molti sostengono che le due sono troppo dipendenti reciprocamente per per sfociare in un conflitto propriamente detto. Ma è la verità che la loro relazione sia così simbiotica o possiamo considerare come possibile che la Cina si sganci in un modo o nell’altro dai mercati USA senza che questo provochi un collasso dell’economia cinese?
Michael Hudson: Una vera dipendenza non esiste, dal momento che sia la Cina che gli Stati Uniti puntano ad essere economicamente e militarmente indipendenti, proprio per non cadere mai in uno stato di sottomissione. L’obiettivo Americano, chiaramente è di rendere il maggior numero possibile di altri Stati dipendente da loro dal punto di vista finanziario e da quello militare. Questo è il motivo per il quale continua senza sosta ad accumulare armamenti, funziona come un racket di protezione mafioso che estorce tributi finanziari, commerciali e d’investimento e inchioda irrimediabilmente gli altri Stati ai loro “partner commerciali”.
Cina ed America hanno si relazioni bilaterali di commercio e investimento, ma per quanto forte la relazione non possiamo definirla simbiotica dal momento che può essere interrotta in qualsiasi momento senza minacciare in modo significativo la solvibilità e la sopravvivenza di nessuna delle due.
La Cina è gia impegnata nel riorientare la sua produzione dai mercati dell’export al consumo interno, ed in termini di politica monetaria sponsorizza la complementarità con gli altri membri BRICS, l’Iran, i paesi Sudamericani e Africani.
Saker: Dal momento che sostieni che “Cina ed America hanno sì una relazione reciproca di commercio e investimento, ma non è simbiotica perchè può essere interrotta in ogni momento senza mettere a repentaglio la solvibilità e la sopravvivenza di nessuna della due”, potresti cortesemente spiegare perchè non credi che qualora America e Cina annullassero i loro legami commerciali (Walmart etc) non sarebbe un colpo mortale per entrambe le economie? Non credi che ad esempio Walmart sia cruciale per il segmento a basso reddito dell’economia interna Americana e dall’altro lato non credi che la rendita generata da questi legami “tipo Walmart” sia cruciale per la Cina allo scopo di mantenere bassa l’inflazione?
Michael Hudson: Ciò che la Cina fornisce a Walmart può oggi essere venduto sul suo prospero mercato interno. La Cina non ha che farsene di altri dollari. Al contrario, più dollari più l’unica cosa sicura che può farci è riprestarli al Tesoro USA, finendo per finanziare il dichiarato piano detto “Asia pivot” finalizzato a circondare la Cina, tirandosi insomma la zappa sui piedi. Esempio classico degli effetti della sostituzione dello standard aureo con lo standard basato sui titoli sovrani USA.
Walmart, da parte sua, rimane del tutto dipendente dai suoi fornitori cinesi, dal momento che queste forniture cinesi gli consentono margini di profitto impossibili attraverso forniture da altri mercati asiatici o dal mercato interno.
Saker: Il modello capitalistico occidentale e la sua formula per la globalizzazione stanno cadendo bersaglio di critiche non solo dalla Russia e dalla Cina, ma da numerose altre nazioni del mondo. Alcuni dicono che la Cina abbia formulato un sistema alternativo fruibile di capitalismo di Stato. Nell’America latina, il “Socialismo Bolivarista” è in espansione, mentre nel medio oriente la Repubblica Islamica Iraniana offre anch’essa un modello socio-economico differente. Come vedi il futuro del modello capitalista, con la globalizzazione che ormai inevitabilmente sottende, il suo sistema bancario e finanziario etc. Pensi di intravedere alternative fruibili o che il Washington Consensus (egemonia USA) sia ancora l’unico gioco a cui si può giocare?
Michael Hudson: L’economia classica rappresentava la teorizzazione dei sistemi per industrializzare e ottenere competitività, ed allo stesso tempo, più correttamente, era la teoria di come allineare i prezzi con i realistici costi sociali associati alla produzione. La dottrina corrispondente (di cui Marx e Thorstein sono gli ultimi grandi esponenti) era perlopiù una guida che evidenziava le cose da evitare: privilegi particolari, rendita improduttiva, carichi vessatori improduttivi in genere.
L’obiettivo era di creare un modello di flusso circolare del prodotto sociale nazionale che distinguesse la vera ricchezza dai meri gonfiamenti e sovraccarichi. L’idea era di eliminare tutto ciò che non era necessario, ciò che Marx definiva le “escrescenze” della società post-feudale rimaste agganciate alle economie industriali di quella epoca. Quando i grandi economisti classici parlavano di “libero mercato” intendevano un mercato privo di classi che vivevano di rendita, libero da monopoli e soprattutto privo da crediti bancari predatori.
Certamente oggi sappiamo che Marx fu fin troppo ottimista. Descrisse il destino del capitalismo industriale come destino di liberazione dalla classi che vivevano di rendita. Ma la prima guerra mondiale cambiò il corso della civiltà occidentale. I “rentiers” (coloro che vivono di rendite) colsero l’occasione per contrattaccare, la scuola Austriaca, Von Mises e Hayek, il fascismo e gli ideologi dell’Università di Chicago ridefinirono i “liberi mercati” come mercati liberi per i “rentiers”, privi di tasse governative su sfruttamento di terra e risorse naturali, libero da regolazione pubblica dei prezzi e supervisione pubblica. L’eta delle riforme fu bollata come “strada per la schiavitù” ed al suo posto i teorici post-classici neoliberali promossero l’odierna strada verso la schiavitù del debito.
L’odierna guerra fredda può essere considerata nei suoi aspetti intellettuali come un tentativo di contenere possibili tentativi da parte di paesi esteri rispetto agli Stati Uniti di realizzare che l’alternativa (anti Thatcheriana) ed agire di conseguenza. La lotta in corso è per il cervello e la comprensione economica da parte dei Governi. Soltanto un Governo forte avrebbe il potere di ottenere le riforme che i riformatori del 19esimo secolo fallirono di ottenere.
L’alternativa è lo specchio di quello che seguì all’Impero romano: collasso verso la servitù e il feudalesimo.
Saker: Quali sono, nella tua opinione, le maggiori conseguenze dei vari fallimenti USA in politica estera per l’economia USA?
Michael Hudson: Gli strateghi Americani amano paragonare spesso la loro diplomazia geopolitica ad una scacchiera. Questo riflette un senso geografico dello spazio, dove si trova il petrolio, dove si trovano le altre risorse minerarie, quali paesi stanno diventando abbastanza forti da rischiare di rendersi indipendenti, nonostante il paragone però la diplomazia che risulta da queste considerazioni non somiglia affatto a una partita di scacchi, quantomeno non nella maniera in cui gli USA fanno le loro mosse.
Negli scacchi però, entrambi i lati muovono. L’idea del gioco è quella di tenere sempre a mente le conseguenze delle mosse ulteriori dell’avversario per anticipare la sua strategia. Quasi tutti i grandi maestri degli scacchi studiano le partite degli avversari e conoscono già bene le loro tattiche e i loro obiettivi quando si siedono per iniziare una partita.
Nella politica estera USA non si intravede niente di tale attenzione bilaterale. Negli anni ’40 e ’50 il Dipartimento di Stato ad esempio licenziò tutti gli esperti sulla Cina su direttiva del Senatore Joe McCarthy. La purga fu condotta in base al principio che di sicuro la maggior parte delle persone che ne sapevano molto sulla Cina ne sapevano così tanto perchè erano dei simpatizzanti cinesi e probabilmente con l’ideologia comunista.
La contraddizione interna qui è che senza comprensione degli obiettivi strategici della Cina e dei suoi metodi per ottenere tali scopi, i diplomatici USA erano praticamente costretti a lavorare al buio e ovviamente diventarono inefficaci.
Tornando rapidamente al presente, come ha fatto notare il neoconservatore del dipartimento di Stato USA Douglas Feith, chiunque abbia similmente familiarità con la storia araba è visto come sospetto, usando l’ragomento che potrebbero essere dei simpatizzanti. Quindi l’appoggio americano agli oligarchi sauditi del petrolio va a braccetto con l’appoggio ai sionisti dichiaratamente anti-arabi. Quando Feith consultò un esperto arabista del Pentagono, Patrick Lang, riguardo a un lavoro da svolgere nell’Iraq post invasione, Feith chiese: “E’ vero che conosci gli Arabi benissimo, e che parli perfettamente l’arabo?” Lang rispose che era vero. “Pessimo” disse Feith. Non c’era spazio per nessuno con un grammo di simpatia per “quella gente lì”. Lang non ottenne il lavoro.
Alla luce di questo non ci sorprende più di tanto che l’unilateralismo americano va avanti in una sorta di vuoto politico (“ci fabbrichiamo la realtà che ci pare”!!!). Il risultato è una hybris che apre lo scenario di una inevitabile caduta. E’ praticamente lo stesso di amministrare la politica estera bendati.
Il principale fallimento della politica estera USA si può allora descrivere nei termini della tragedia classica: un tragico errore che conduce esattamente all’opposto degli effetti desiderati. O, altrimenti, detto nei termini di Marx, l’ironia delle contraddizioni interne.
La risposta alla tua domanda, dunque, dipende da cosa intendi per “le politiche USA”. Ciò che potrebbe rappresentare una catastrofe per l’economia USA potrebbe non esserlo per gli interessi particolari che hanno assunto il controllo sulle decisioni politiche. I politici USA sono molto più espressione di chi investe nelle loro campagne elettorali che non espressione del voto degli elettori. Il peso finanziario di Wall Street e alle spalle di esso, dell’industria petrolifera insieme al settore immobiliare ed al complesso militare-industriale ha conseguito il successo dell’1%. E’ stato un grande successo per loro, se non altro nel senso che che le politiche USA sono arrivate a riflettere esattamente quello che desidera l’1%. Conseguentemente le stesse decisioni rappresentano la sconfitta del restante 99%, è chiaro. Al giorno d’oggi il detto 1% potrebbe dimostrarsi così corto di vedute da ottenere esattamente l’effetto contrario a quello che si auspica. Di questa dinamica fa parte il fallimento della politica estera USA nella comprensione le dinamiche delle società islamiche nel Medio Oriente.
Se per “fallimenti” intendiamo i danni che sono stati causati, tra questi indicherei come fallimento principale e più grave l’opposizione americana ai Governi secolarizzati che erano riusciti a prevalere in alcuni degli Stati islamici, in quanto l’opposizione ad essi ha dato spazio alla più estremista corrente di interpretazione letterale del Corano, promulgata dal Wahabismo Saudita.
La svolta fatale avvenne nel 1953 quando gli Stati uniti rovesciarono il governo Mossadegh in Iran. L’intenzione era semplicemente proteggere gli interessi petroliferi britannici ed americani, non certo di promuovere l’estremismo islamico. Ma prestare supporto allo Shah replicando il modello delle dittature di stampo sudamericano lasciò sul campo soltanto un ambiente di opposizione: le moschee islamiche e gli altri centri religiosi. Khomeini si mise alla guida della lotta per la libertà contro la dittatura dello Shah con le sue camera di tortura e contro il servilismo nei confronti della politica estera USA.
In Afghanistan gli USA crearono Al-Qaeda e appoggiarono Bin Laden per contrastare il regime secolarizzzato appoggiato dalla Russia sovietica. Le successive storie dei coivolgimenti Americani in Iraq, Siria, Libano e altrove in Medio Oriente sono una storia di appoggio all’Islamismo Wahabita Saudita. Ed è stato tutto un disastro da qualsiasi punto di vista.
Gli antropologi hanno additato le numerose divisioni etniche e religiose come responsabili del vicolo cieco delle politiche d’intervento USA, non il solo ovvio antagonismo tra Musulmani Sciti e Sunniti, ma più in generale delle radici nomadi e anti-femministe che contraddistinguono il contesto dell’estremismo Wahabita. Il vicino Oriente è stato dominato da sceicchi separati negli ultimi 4000 anni, ma la politica estera USA fa di tutto l’Islam un fascio, non mettendo minimamente in conto le divisioni interne.
In quanto democrazia l’America non può più permettersi conflitti di terra in piena scala. Nessuno Stato democratico può. Quindi l’unica opzione pratica rimanente è di bombardare e distruggere. Questa è stata sempre la strategia militare USA dal Medio Oriente ai paesi dell’ex blocco Sovietico nell’appoggio a dittature giurate a seguire alla lettera la politica estera USA e gli interessi delle sue compagnie minerarie, petrolifere e multinazionali in genere.
La politica estera americana non è altro che: “Fate quello che vi diciamo di fare, privatizzate e vendete ai compratori americani, permettetegli di non pagare tasse, inventatevi i trucchi contabili e i sotterfugi per trasferire i costi altrove come vi pare, altrimenti vi distruggiamo come abbiamo distrutto la Libia, l’Iraq, la Siria e tutti gli altri”
Il risultato è quello di unificare i paesi stranieri nell’interesse a resistere al sopruso, obbligandoli a ricercare una strada alternativa all’egemonia finanziaria USA. Se l’America avesse mai pensato di promuovere una politica di mutui vantaggi, gli altri paesi avrebbero molto probabilmente consentito all’America di fare profitti da loro, come logica parte di un vantaggio reciproco. Ma l’atteggiamento degli USA è di arraffare tutto e non condividere nulla. Questo egoismo è proprio l’elemento più autodistruttivo, in ultima analisi.
Michael Hudson e The Saker

Fonte: qui
11.06.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

GRECIA: mercato diviso tra Grexit e rischio default (che in concreto non esiste)

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“Grexit? E’ un campo sconosciuto. Ma ci sono gli strumenti per gestirlo.”
Così parlò Mario Draghi, l’uome che a parole ha mosso le montagne (della fiducia) salvando l’Euro in un momento catartico.
Ricordate? Parlo del “whatever it takes”. In quella situazione, Super Mario convinse tutti che la Bce aveva le armi per poter prendere in mano la situazione e sistemare tutto. In un primo tempo, con il “virtuale” ESM convinse i mercati e li rassicurò. Ma poi passò all’opera con il QE Europeo.
Il mercato ha creduto in Draghi e Draghi , alla fine ha persin sorpreso con un’operazione pari ad oltre 1100 miliardi in 18 mesi tuttora in corso.
Ma questa volta?
Questa volta la situazione è un po’ più complessa.
Siamo vicini al punto di “non ritorno”. La Bce stessa sa benissimo che, come tutte le banche centrali, si possono prendere delle contromisure a difesa di certi scenari. Ma qui andiamo ben oltre. Si tratta di dover difendere l’integrità di un progetto che fa acqua da tutte le parti ormai da tempo. Si tratta ovviamente dell’Euro.
«Io escludo una Grexit come soluzione ragionevole. Ma nessuno può escludere tutto: io non posso escludere che una cometa impatti la Terra» (Yanis Varoufakis)
E se nel breve la BCE può inventarsi di tutto e di più, riuscire ad immaginare gli strumenti adatti per garantire un futuro florido, indissolubile e forte per l’Eurozona diventa già più complesso.
Certo, la Grecia si trova in condizioni difficilissime. E dover subire il ricatto greco è assurdo. Se poi guardiamo il peso economico di Atene in Eurozona, scopriamo che è pari a circa l’1.8% del PIL totale. Numeri risibili che però assumono ben altri toni se valutati politicamente.
Si stanno generando dei precedenti, e ci stiamo muovendo in terre inesplorate.
Come potrebbero reagire i mercati? Quali saranno i risvolti della speculazione?
Un assaggio lo stiamo vivendo in questi giorni.
Volatilità, incertezza e crisi di fiducia. Fiducia che manca però anche alle istituzioni che dovrebbero trattare con Atene.

CDS Grecia a 1 anno

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Dalla Grecia sono state fornite “informazioni fuorvianti”. Lo afferma il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas. In particolare, la portavoce per gli affari economici ha poi puntualizzato i dati della proposta alla Grecia sui “5 pilastri” indicando tra l’altro gli obiettivi di avanzo primario “sostanzialmente ridotto” dal 3% all’1%”. Per Bruxelles, la Grecia non ha mai presentato una vera proposta complessiva alle tre istituzioni, ma è arrivata sabato con una tabella Excel contente solo cifre generiche, e per di più le stesse già respinte il lunedì precedente dal commissario Ue Pierre Moscovici. Ancora ieri sera, hanno spiegato fonti della Commissione, i greci hanno ripresentato lo stesso documento senza modifiche sostanziali. (Source)
Ma ormai ci abbiamo fatto il callo. Non bisogna sorprendersi di nulla e…chissà… magari l’accordo arriva in “zona Cesarini”, anche perché la soluzione Grexit, continuo a ribadirlo resta per me la soluzione estrema e più drammatica.
Quindi, secondo il mio parere, non sarà GREXIT, ma al massimo una ennesima ristrutturazione del debito dove gli organismi internazionali dovranno accettare di buon grado una sonante perdita di denaro, senza tra l’altro… fare default. Infatti ci ricorda S&P:
ATENE, 15 giugno (Reuters)  – La Grecia non sarà considerata in default se non rimborserà i 6,7 miliardi di euro di propri titoli di Stato detenuti dalla Bce, con scadenza a fine luglio.
Lo ha reso noto l’agenzia di rating Standard and Poor’s, spiegando che tale evento non rientra tra le cause di default.
S&P ha spiegato che i propri criteri fanno riferimento alla capacità e alla volontà di un governo di onorare le proprie obbligazioni verso creditori ‘commerciali’, mentre la Bce viene considerato un creditore ‘ufficiale’.
Il mancato rimborso alla Bce, prosegue l’agenzia, verrebbe valutato come un evento negativo, che potrebbe portare ad un ulteriore abbassamento del merito di credito del paese rispetto all’attuale valutazione CCC, ma non costituirebbe un evento di ‘selective default’.

Spread: torna la paura sui periferici?

Insomma, avrete capito che in un modo o nell’altro, l’ipotesi Grexit resta secondo me DECISAMENTE remota, anche nella peggiore delle ipotesi.
Come sempre si cercherà di aggiustare le cose evitando il rischio di “sgretolamento” dell’Euro.
Questa volta però il sistema dovrà pagare di tasca sua, magari meditando sul fatto che la questione poteva essere risolta MOLTO tempo fa a costi decisamente minori. Citofonare Merkel.

Fonte: qui

Conti correnti a rischio. Legge praticamente pronta

L'anno scorso (e anche molto prima) su questo sito e nelle trasmissioni in WebRadio, avevamo già parlato del progetto di un prelievo forzoso sui conti correnti bancari degli italiani per coprire i buchi di bilancio che le Banche hanno accumulato, sia in conseguenza di una gestione che definire come poco accurata è dire poco, sia per le sofferenze (i crediti inesigibili) che avrebbero raggiunto la cifra astronomica di 190 miliardi di euro. Mica bruscolini. 
Una deriva che è stata accentuata dalla recessione che ha ulteriormente aggravato la situazione già disastrosa delle famiglie e delle imprese. La misura, che ora sta per diventare legge dello Stato, ci era stata chiesta da quei galantuomini del Fondo monetario internazionale (il 10% aveva chiesto la signora Lagarde) sempre pronti a imporre misure capestro ai Paesi che gli chiedono prestiti e sempre pronti a chiedere a tutti Paesi del mondo di adottare misure ultra-liberiste che in buona sostanza si manifestano nell'aumento del potere della finanza e nella svendita delle aziende pubbliche ai grandi gruppi internazionali. Il tutto con la conseguente fine della sovranità nazionale. 
Della misura in questione si era parlato anche alle riunioni dell'Eurogruppo e dell'Ecofin dove, senza dargli troppa pubblicità, venne fatto passare il principio che le Banche dovevano o potevano (la differenza sta solo nelle parole), essere salvate attraverso l'utilizzo di “risorse nazionali”. Un termine elegante per indicare appunto i conti correnti degli italiani. In altre parole, se le Banche si trovano in difficoltà, la colpa non è di quei dirigenti che hanno speculato o realizzato investimenti poi trasformatosi in un disastro; la colpa non è solo delle imprese e dei cittadini che “soffrono” perché non riescono a restituire i prestiti; ma la colpa è anche (e a questo punto si potrebbe dire soprattutto) degli italiani che si permettono di avere ancora i conti in attivo e i cui soldi, di fatto, hanno permesso alle Banche di combinare i disastri che hanno combinato. 
La misura criminale in questione è già stata approvata dal Senato grazie ai voti del Partito Democratico, di Scelta civica, di Forza Italia e del Nuovo centro destra. E sicuramente lo sarà anche alla Camera. Essa prevede che a poter essere colpiti dallo scippo, dal furto, dalla rapina, qualunque altro termine sarà inadeguato a definire una misura criminale del genere, saranno i conti correnti con importi superiori a 100 mila euro. Sotto tale importo sei insomma un bravo cittadino, al di sopra sei uno sporco speculatore, un imprenditore che sfrutta i lavoratori, un ricco che non si sa bene come ha guadagnato quei soldi e che perciò deve essere punito. La solita, e purtroppo ancora non defunta, mentalità dei comunisti e dei cattolici di sinistra, riuniti nel PD. Una impostazione che, in nome della conservazione del potere e della legittimazione a governare, ha portato Renzi, e prima di lui Letta, a convergere sugli interessi della finanza (italiana e internazionale) che in tal modo opererà un nuovo trasferimento di ricchezza reale a proprio vantaggio. Monti di quegli ambienti invece era parte integrante. 
Una scelta che, se per il PD (il partito a cui fanno riferimento le prime tre Banche del Paese…) e per i montiani di Scelta Civica è fisiologico, per Forza Italia è semplicemente demenziale, quanto meno per tutte le chiacchiere che Berlusconi ha diffuso a piene mani in passato sulla necessità di tutelare le piccole imprese e i professionisti delle partite Iva. Una vera porcata che si farà passare millantando “l'interesse nazionale” che altro non è che l'interesse dei principali azionisti delle Banche in crisi. 
Lo sfascio finanziario al quale stiamo assistendo nel mondo bancario, ricordiamocelo sempre, è stato reso possibile dalla diffusione, in tutta l'Unione Europea, del cosiddetto “modello misto” bancario di tipo tedesco. Quello di una Banca che può essere al tempo stesso finanziatrice ed azionista di una impresa. Un modello che ha permesso alla Germania di creare un sistema quasi inattaccabile, con società che non sono scalabili dall'esterno perché tutto il mondo bancario nazionale interverrebbe compatto in sua difesa. Un modello che l'Unione europea ha imposto anche in Italia a cavallo alla fine degli anni ottanta, decretando la fine della separazione tra banche commerciali che raccolgono denaro dai correntisti e lo impiegano a breve termine e banche di investimento che si finanziano con prestiti obbligazionari e li investono in azioni di società. Un meccanismo stabilito dalla Legge Bancaria del 1936 che aveva in tal modo risposto al tentativo di scalata degli Agnelli al Credito Italiano e dei Perrone (Ansaldo) alla Banca Commerciale per compensare i giganteschi debiti accumulati verso i due istituti. Una lezione andata dimenticata, anzi ignorata, perché l'Unione Europea, come tanti altri organismi, vede solo il Libero Mercato, che è libertà di rapina concessa ai peggiori banditi legalizzati. 
La stessa Unione Europea e il soldatino Renzi ora non hanno alcuna remora nell'imporre misure che sono appunto una vera e propria rapina ai danni dei cittadini che verranno legalmente derubati, anche grazie alla firma che il cattolico di sinistra Mattarella non mancherà di apporre al provvedimento.

Fonte: qui


Niente paura, siamo ancora lontanissimi da una eventuale zona pericolo.
E fino a quando il governo Ocse (Padoan) – Renzi reggerà, l’ombrello della BCE non verrà a mancare.
Tuttavia, i numeri ci dicono che il Governo, se questi tassi (pur bassi) dovessero diventare il nuovo normale, dovrà fare un manovra per aggiustare i conti pubblici per interessi non preventivati in sede di DEF.
Questo è il risultato per avere stiracchiato i conti italiani facendo ipotesi su tassi, cambio e prezzo del petrolio a livelli ultra favorevoli e irripetibili.
Ora fate attenzione: non fatevi distrarre troppo dalla vicenda Greca, quella è una storia che si risolverà per la maggior parte sulla pelle dei greci e che avrà risvolti geopolitici per le potenze mondiali.
Per quello che riguarda l’Italia il nodo resta politico: ovvero la tenuta di un governo che fino ad oggi ha dimostrato di ottemperare alle richieste delle istituzioni (la Troika). Se dovesse cadere questo governo e preso atto che non esistono (per fortuna o sfortuna, decidete voi) alternative interessanti a Renzi per le istituzioni, allora vedremmo sul serio spread e tassi italiani che si alzano a botte di 50, 100 punti al giorno.
Potete starne certi.
…..ma in fondo da li prima o poi dovremo passare.

Fonte: qui

La Cassa Depositi e Prestiti nel mirino di Renzi: ma CDP potrebbe emettere titoli-moneta per risollevare l'economia malata

di Enrico Grazzini

Il governo di Matteo Renzi sta cercando di cambiare i vertici della Cassa Depositi e Prestiti (CDP), ma, invece di occupare un importantissimo spazio di potere, il governo potrebbe affidare a questa banca pubblica un compito assai nobile: quello di creare moneta, e quindi salvare l'economia italiana ridotta ormai in uno stato disastroso. Proprio per mancanza di ossigeno monetario e creditizio.

Il governo Renzi vuole impadronirsi della Cassa Depositi e Prestiti cambiando rapidamente e prima della scadenza i vertici della CDP. La Cassa è di fatto l'unica grande banca e holding pubblica italiana. Infatti la CDP è una società per azioni formalmente privata ma sostanzialmente pubblica: il ministero dell’Economia la controlla con l’80,1% mentre le Fondazioni bancarie, tra cui Cariplo, Fondazione San Paolo, Cariverona e altre, hanno il 18,4%.

La CDP è senz'altro l'investitore pubblico di lungo periodo più importante del nostro Paese: nel 2014 ha gestito risorse per 29 miliardi, mentre il totale dei suoi attivi supera i 350 miliardi. La Cassa utilizza il risparmio raccolto dalle Poste per finanziare imprese e amministrazioni pubbliche, controlla aziende strategiche come Eni, Snam Terna, Fintecna, Sace, e investe in grandi infrastrutture, come le reti nazionali.

I suoi compiti si stanno sempre più ampliando: il governo ha deciso di utilizzare la CDP per finanziare le piccole e medie aziende; inoltre la CDP ha il compito di acquistare partecipazioni preziose in aziende private e pubbliche considerate strategiche e che presentano bilanci positivi e prospettive di crescita. È lo snodo fondamentale per l'intervento pubblico nell'economia.

Oggi la Cassa è guidata dal presidente Franco Bassanini e dall’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini. Entrambi sono generalmente considerati amministratori accorti e competenti; furono nominati dal governo Berlusconi e il loro mandato scadrebbe nella primavera del 2016. Sembra però che il governo Renzi voglia sostituire subito Bassanini con Claudio Costamagna e Gorno Tempini con Fabio Gallia.

I motivi di contrasto tra i vertici attuali della CDP e il governo Renzi non sono mancati: i dirigenti attuali della Cassa hanno rifiutato (giustamente?) di diventare proprietari della disastrata ILVA per conto dello stato; e non hanno accettato le condizioni poste da Telecom Italia per finanziare la rete a banda ultralarga.

Il governo, evidentemente indispettito dall'autonomia mostrata da Bassanini e Gorno Tempini, vuole ribaltare l'attuale dirigenza ma si guarda bene dallo spiegare i motivi e le ragioni del ribaltone. Soprattutto non si comprende quali saranno i futuri indirizzi della CDP guidata dai nuovi vertici che il governo vorrebbe nominare. Che cosa farà la CDP nel futuro? Diventerà una banca d'affari per conto del governo Renzi? Non si sa.

È chiaro che i risparmi degli italiani, i risparmi versati sui libretti postali, non possono essere messi a rischio da attività finanziarie rischiose o spericolate, o da salvataggi a perdere in nome dell'italianità, come temono le Fondazioni.
Occorre però che anche in Italia si crei un protagonista pubblico ambizioso che indirizzi la politica industriale nazionale. Magari ci fosse una nuova IRI che sapesse gestire le industrie nazionali verso l'innovazione e la competizione globale!

Magari ci fosse un'industria pubblica che, come quella di Alberto Beneduce negli anni '30, fosse in grado di portare l'industria italiana fuori dalla crisi e reggere la competizione internazionale. In Francia e in Germania per esempio molte banche e le aziende di telecomunicazioni sono di proprietà dello stato. Mentre in Italia i cantori del “privato è bello” a tutti i costi, come Francesco Giavazzi, sono purtroppo troppo numerosi, e si accaniscono al capezzale dell'economia italiana, offrendo le solite ricette: privatizzazioni, privatizzazioni, privatizzazioni. Ovvero cessione all'estero delle principali aziende italiane.

Tutti i paesi avanzati europei hanno invece lo stato come protagonista. E l'iniziativa statale è certamente indispensabile per uscire dalla crisi. Perfino in Gran Bretagna e negli USA lo stato è intervenuto per salvare le banche e le assicurazioni, fallite a causa delle speculazioni sui prodotti derivati!

Ma, a parte la politica industriale, la Cassa Depositi e Prestiti potrebbe svolgere un ruolo ancora maggiore: ovvero quello di creare ed emettere moneta sotto forma di obbligazioni a lungo termine – per esempio 30 anni – garantite dallo Stato per realizzare lavori pubblici a livello locale e nazionale. Lo stato potrebbe accettare le obbligazioni emesse dalla CDP per il pagamento delle tasse e di ogni tipo di tariffa pubblica. In questa maniera lo stato, indirettamente, e la CDP, direttamente, emetterebbero titoli convertibili in euro che funzionerebbero da nuova moneta, e che, se emessi in quantità – decine di miliardi all'anno – a piccolo taglio, potrebbero ridare ossigeno ad un'economia nazionale che versa in uno stato comatoso proprio per mancanza di moneta-credito.

Le obbligazioni non sarebbero inizialmente messe in vendita sul mercato finanziario, ma verrebbero utilizzate dalla CDP esclusivamente come mezzo di pagamento dei lavori pubblici. In questo modo non solo non drenerebbero liquidità ma anzi la creerebbero. Senza però creare debito pubblico.

Infatti la Cassa Depositi e Prestiti ha una particolarità decisiva: pur essendo di fatto una banca statale, dal momento che è una società per azioni e che per il 20% è posseduta dalle fondazioni bancarie, sul piano giuridico e su quello contabile è considerata dall'Unione Europea e dal'Eurostat come un'azienda privata: può quindi emettere obbligazioni senza che queste siano conteggiate come debito statale da parte delle autorità europee.

Inoltre la Cdp è considerata dalla Banca centrale europea come una banca privata: può essere finanziata dalla Bce (come lo è già stata nel passato) a tassi di interesse minimi, tendenti allo zero: può quindi raccogliere facilmente moneta e applicare tassi di interesse remunerativi per le sue obbligazioni. I fornitori della PA locale e centrale potrebbero essere pagati con questa sorta di moneta parallela e complementare all'euro.

Con le obbligazioni CDP lo Stato potrebbe finalmente aumentare la circolazione monetaria, attuare politiche espansive, e avviare una serie di importanti lavori pubblici a livello locale e nazionale in modo da creare occupazione e far ripartire l'economia .

Infatti, se le obbligazioni della Cassa Depositi e Prestiti venissero accettate dallo Stato per il pagamento delle imposte, per esempio due o tre anni dopo la loro emissione, allora non solo sarebbero immediatamente negoziabili, come qualsiasi altro titolo, e quindi convertibili in euro, ma il loro valore sarebbe stabile, cioè assai poco volatile, a differenza degli altri titoli obbligazionari quotati sui mercati finanziari: in effetti le obbligazioni CDP sarebbero agganciate a un valore certo, quello fiscale.

I titoli CDP, in quanto stabili e fruttiferi, potrebbero funzionare da moneta vera e propria, potrebbero essere scambiati e accettati come mezzo di pagamento (cioè, appunto, come moneta) da parte delle aziende e dei cittadini. Tutti gli operatori economici devono infatti pagare le tasse: e tutti potrebbero essere interessati a ricevere le obbligazioni della CDP come mezzo di pagamento di merci e servizi. La manovra si autofinanzierebbe nel medio e lungo termine grazie all'aumento del PIL che genererebbe.

Un sistema del genere, di moneta parallela statale, è già stato sperimentato, purtroppo!!!, con enorme successo: lo realizzò il ministro dell'economia nazista degli anni '30, Hjalmar Schacht. A partire dal 1933, in cinque/sei anni Schacht – la cui manovra è stato citata ripetutamente da J. M. Keynes come tecnicamente esemplare – risollevò l'economia tedesca grazie all'intervento pubblico interamente finanziato da una moneta parallela, i Mefo-bond, una obbligazione fruttifera emessa per decine di miliardi da una società privata fittizia formata da quattro grandi gruppi tedeschi – Siemens, Gutehoffnungshütte, Krupp e Rheinmetall – e garantita dallo stato nazista.

Nonostante le restrizioni sul marco applicate da Francia e Inghilterra, cioè dai vincitori della prima guerra mondiale, in pochi anni grazie alla nuova “moneta fantasma” Schacht riuscì ad assorbire circa 6 milioni di disoccupati e a ricostruire l'industria tedesca, garantendo così l'adesione popolare al progetto nazista e la base della potenza bellica germanica che sconvolse il mondo a partire dal 1939.

Ma la moneta parallela è stata utilizzata anche in California pochi anni fa dalle amministrazioni locali quando lo stato stava per fallire: queste emettevano delle obbligazioni valide per il pagamento fiscale con l'obiettivo di finanziare scuole e ospedali senza spendere soldi pubblici, cioè dollari, che non avevano in cassa. Le opere pubbliche dopo un certo tempo generavano un reddito tale da compensare i deficit di bilancio che altrimenti si sarebbero creati.

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