venerdì 27 marzo 2020

ITALIA: CASE DI, ETERNO, RIPOSO


LE FAMIGLIE DI MOLTI ANZIANI DENUNCIANO DI NON ESSERE STATI AVVERTITI IN TEMPO DELL’ESPLOSIONE DEL CORONAVIRUS NELLE STRUTTURE E DI ESSERE ANDATI A TROVARE I LORO CARI QUANDO GIÀ SI ERANO REGISTRATI I PRIMI MORTI 

IL RISULTATO? NON AVENDO PRESO ALCUNA PRECAUZIONE, I PARENTI HANNO PORTATO IL VIRUS IN GIRO
Matteo Pucciarelli e Zita Dazzi per “la Repubblica”

coronavirus anzianiCORONAVIRUS ANZIANI
«Mia nonna Palmira avrebbe compiuto 89 anni fra pochi giorni, non abbiamo potuto starle accanto mentre ci lasciava. Ci hanno chiamato solo dopo che era morta, il 16 marzo, alle 21.30. Ma quando ancora ci facevano entrare in casa di riposo, non ci hanno nemmeno avvertiti che c' erano stati dei casi di coronavirus. Quindi noi siamo tornati in famiglia e ci siamo probabilmente contagiati tutti, compresa mia mamma che è cardiopatica. Anche se ad oggi nessuno ci ha fatto un tampone», racconta Claudia Bianchi, 47 anni.

coronavirus case di riposoCORONAVIRUS CASE DI RIPOSO
Sua nonna era ospite della residenza di Mediglia, hinterland milanese. «Una volta che il virus entra nelle case di riposo, gli anziani muoiono come mosche», dice senza girarci troppo intorno Luca Degani, presidente dell' associazione Uneba, che rappresenta il 60 per cento delle case di riposo della Lombardia.

donna anziana in casa di riposoDONNA ANZIANA IN CASA DI RIPOSO
I numeri sono impressionanti e parlano da sé: a Mediglia in pochi giorni se ne sono andati 56 ospiti e altri 100 sono ammalati, alla Santa Chiara di Lodi ne sono morti 43, a Gandino (Bergamo) 24, a Quinzano d' Oglio (Brescia) 20 e l' elenco potrebbe continuare. Anche fuori dalla Lombardia sta accadendo lo stesso: in Trentino 13 morti in un giorno nelle rsa, a Cossato (Biella) sei deceduti in quattro giorni, e poi centinaia di infettati in tutta Italia, dalla Liguria alla Sicilia, dalle Marche alla Puglia.

Non solo gli anziani però, perché si stanno ammalando decine di operatori sanitari e di assistenza delle strutture, che per settimane hanno lavorato senza alcun dispositivo di protezione individuale. Entrando ed uscendo dal luogo di lavoro, ogni giorno.
coronavirus case di riposoCORONAVIRUS CASE DI RIPOSO

Dietro alla freddezza dei numeri, alla distanza che separa chi sta dentro questi ospizi e chi continua la sua vita fuori, ci sono però ragioni e sentimenti fortissimi spezzati senza neanche capire bene cosa stesse accadendo. Luoghi dove gli anziani non autosufficienti - insieme ai bambini le persone più fragili della nostra società - vanno via uno dietro l' altro e il personale scappa, perché intuisce che dentro a quei reparti l' unico destino che unisce tutti è quello del contagio.

casa di riposo lager 4CASA DI RIPOSO 
«I nostri vecchi non ce li ridarà più nessuno, ma ci stiamo organizzando in un comitato e abbiamo dato incarico a un legale di presentare una denuncia contro ignoti», spiega Leonardo La Rocca, dipendente pubblico lombardo, 43 anni, che dentro alla Borromea sempre di Mediglia ha la nonna di sua moglie, 90 anni, che lotta fra la vita e la morte; in più però ha visto infettarsi anche i suoceri settantenni, entrati nella struttura fino al 22 marzo, dopo che c' erano stati i primi morti.

coronavirus case di riposoCORONAVIRUS CASE DI RIPOSO
«Nessuno li aveva avvertiti, li hanno fatti entrare con la mascherina, ma la nonna non l' aveva, come non l' aveva il personale sanitario - aggiunge La Rocca - Quindi sono rientrati a casa e hanno infettato mezzo condominio, prima di stare male e di fare il tampone che li ha certificati anche loro come positivi».

Aggiunge Laura Olivi, sindacalista della Fp Cisl lombarda, che «all' inizio dell' emergenza in molte case di riposo venne addirittura chiesto agli assistenti di non mettere le mascherine perché avrebbero spaventato gli anziani ». Non sempre poi i morti di queste strutture rientrano nel computo finale delle vittime dei coronavirus, perché non si fa neanche in tempo a fargli un tampone.

casa di riposo lager 6CASA DI RIPOSO LAGER 
Ora che il problema nelle residenze è conclamato un po' in tutto il Paese, ospiti e parenti sono terrorizzati e il registro è simile ovunque: vietate le visite, voci di nuovi ammalati che si rincorrono, direzioni delle strutture bombardate di chiamate e richieste di chiarimento, lavoratori in malattia e mancanza di ricambio in corsia.

La coppia di anziani coniugi separata dal coronavirusLA COPPIA DI ANZIANI CONIUGI SEPARATA DAL CORONAVIRUS
Vincenzo ha la zia di 74 anni ricoverata alla Gerosa Brichetto di Milano e si domanda semplicemente se la donna sta avendo le dovute cure a attenzioni, in mezzo a questo caos: «Come faccio a saperlo, se non posso più vederla?». È una richiesta banale, eppure ciò che prima era ovvio oggi non lo è più.

Fonte: qui






UNA BOMBA SANITARIA IN CALABRIA 
18 MORTI E 101 NUOVI CASI POSITIVI, 52 SOLO NELLA CASA PER ANZIANI DI CHIARAVALLE. 
IL FOCOLAIO RISCHIA DI MANDARE IN TILT IL SISTEMA DELLA SANITA’ CALABRESE 
NELLA STRUTTURA DEL CATANZARESE, SU 60 OSPITI E 41 DIPENDENTI IN MENO DI 24 ORE RISULTATI POSITIVI AL VIRUS 40 DEGENTI E 12 OPERATORI 
GLI OSPEDALI DELLA REGIONE SONO GIÀ IN AFFANNO


ALESSIA CANDITO per repubblica.it

ITALIA CoronavirusITALIA CORONAVIRUS
Un focolaio che rischia di mandare in tilt l'intero sistema sanitario regionale calabrese. Una residenza per anziani che, dopo Lodi, Palermo, Messina, Brescia, e le innumerevoli ancora sotto osservazione, si trasforma in una potenziale bomba sanitaria. Alla Domus Aurea di Chiaravalle centrale, in provincia di Catanzaro, su 60 ospiti e 41 dipendenti, in meno di 24 ore sono stati accertati 52 casi positivi al coronavirus, tra i quali 40 degenti e 12 operatori, di cui 34 già con febbre e 7 immediatamente trasferiti in ospedale. Altri ulteriori 15 casi sono da rivalutare perché dubbi. "Una catastrofe" si commenta al Dipartimento Salute della Regione, dove si inizia a ragionare sui numeri. E lo scenario è potenzialmente disastroso.
GIOIA TAURO - SEQUESTRATI FALSI KIT PER DIAGNOSTICARE IL CORONAVIRUSGIOIA TAURO - SEQUESTRATI FALSI KIT PER DIAGNOSTICARE IL CORONAVIRUS
A tre settimane dal primo lockdown che ha chiuso l'Italia in casa e reso concreta e urgente la necessità di prepararsi su tutto il territorio nazionale al potenziale dilagare dell'epidemia, la Calabria continua a fare i conti con l'esiguità del suo sistema sanitario. A dispetto delle promesse di rapido potenziamento, i 107 posti di terapia intensiva, già occupati per l’80% dunque con poco più di 20 letti realmente disponibili, di tre settimane fa sono aumentati solo di poche decine. Adesso sulla carta sono 139, ma la dotazione già è stata erosa dai primi 23 pazienti positivi al Covid-19 che necessitano di assistenza respiratoria. Traduzione, in tutta la regione rimarrebbero solo una quarantina di posti, meno dei 52 risultati positivi solo a Chiaravalle, mentre i contagi crescono in tutta la Calabria.
GIOIA TAURO - SEQUESTRATI FALSI KIT PER DIAGNOSTICARE IL CORONAVIRUSGIOIA TAURO - SEQUESTRATI FALSI KIT PER DIAGNOSTICARE IL CORONAVIRUS

"Abbiamo 73 posti di pneumologia, 53 in attivazione, e 146 posti in Malattie infettive" ha detto ieri la governatrice Jole Santelli al Consiglio regionale, che a due mesi dalle elezioni si è riunito per la prima volta. Ma dall'ultimo bollettino regionale 101 sono già stati occupati, con una percentuale di crescita dei casi che si aggira attorno ai 30 in più al giorno. Un numero destinato a schizzare verso l'altro con quello che in Calabria è già il "caso Chiaravalle".

A svelare il guaio, il rapido aggravarsi delle condizioni di salute di una degente ultranovantenne. Febbre persistente, tosse senza tregua. I sintomi erano chiari e ormai fin troppo noti ed è stata subito sottoposta a tampone. Quando l'esito positivo è arrivato, subito è scattato l'allarme. Pazienti e personale sono stati tutti sottoposti a screening e il risultato - ancora parziale - è motivo di allerta per tutta la regione. E non solo perché un focolaio in una struttura in cui si concentrano i "casi sensibili" e ad alto rischio ospedalizzazione, nonché mortalità, rischia di mandare in affanno l'intero sistema, ma soprattutto perché potenzialmente infinite sono le reti sociali che si intrecciano alla Domus Aurea di Chiaravalle.

GIOIA TAURO - SEQUESTRATI FALSI KIT PER DIAGNOSTICARE IL CORONAVIRUSGIOIA TAURO - SEQUESTRATI FALSI KIT PER DIAGNOSTICARE IL CORONAVIRUS
Paesino di seimila anime che guarda allo Jonio dalle colline, Chiaravalle centrale fa da cerniera fra il catanzarese e il vibonese e vive in simbiosi con tutti i Comuni limitrofi. Insieme ad altri quattro è stato dichiarato zona rossa da cui non si può né entrare, né uscire, ma i virus non rispettano i check point ed è un'intera area - da cui provengono dipendenti e famiglie dei degenti, fino a qualche tempo fa autorizzate a regolari visite - a gravitare attorno alla Domus Aurea. Un'indagine epidemiologica però al momento è sostanzialmente impossibile. Secondo alcune indiscrezioni, mancano tamponi e operatori sufficienti. Mancano mascherine, tute, occhiali. Per adesso dunque, si cerca di tappare la falla. La Regione ha affidato all'assessorato alla Sicurezza l'istituzione un'unità di crisi per gestire la situazione, ma al momento ci si arrangia come si può.

Tramontata per indisponibilità dei gestori o carenze strutturali l'ipotesi di spostare degenti e operatori positivi in un albergo per la quarantena, si è deciso di dividerli per piani all'interno della stessa residenza. Un drastico cambio di rotta dettato dall'unità di crisi regionale, che ribalta le prime disposizioni con cui i responsabili della residenza avevano obbligato tutti - inclusi i dipendenti negativi - a non lasciare la struttura, senza disporre alcun tipo di divisione per cluster.

Nel frattempo, si tenta quanto meno di ricostruire su carta la mappa dei contatti di operatori e degenti, in modo da avere cognizione chiara dell'esercito di persone da monitorare e da mettere quarantena. Per testarli non sembrano esserci mezzi. E poi c'è il giallo su come l'epidemia sia arrivata fra gli anziani della Domus Aurea. Secondo le indiscrezioni, il "paziente zero" sarebbe un operatore, che subito avrebbe avvertito i responsabili della struttura di avere un conoscente positivo al Covid-19. Ma la sua richiesta di astensione dal lavoro per la necessaria quarantena sarebbe stata rispedita al mittente. Tutte circostanze da verificare, dicono dalla Regione. Ma dopo. Adesso la priorità è tentare di tappare la falla, nella speranza che non diventi un cratere in grado di affondare la nave. Fonte: qui

SARDEGNA, FOCOLAIO E MEDICI A RISCHIO, L'INFEZIONE DILAGA ANCHE NELLE CASE DI RIPOSO. 
MENTRE I SANITARI DENUNCIANO LA MANCANZA DI MASCHERINE E PROTEZIONI. 
GLI SCIVOLONI DELL'ASSESSORE REGIONALE ALLA SANITÀ, LA CACCIA ALL’UNTORE ARRIVATO DAL NORD E LA CAMPAGNA CHOC DEL SINDACO DI CAGLIARI…


Monia Melis per www.lettera43.it
Dalla caccia all’untore arrivato dal Nord alla corsa al controllo individuale, anche a suon di macabri slogan.
sardegna coronavirusSARDEGNA CORONAVIRUS
Così la Sardegna, l’isola del turismo (ora fuori stagione), si ritrova a fare i conti con l‘emergenza da Covid-19.
Ufficialmente 1 milione e 600 mila abitanti, con un’età media 45 anni, la regione ha un sistema sanitario fragilissimo e sbilanciato, che ha subito uno smantellamento della rete dei piccoli ospedali in favore del privato convenzionato, tra tutti il Mater Olbia finanziato dal Qatar e destinato ora proprio ai contagiati.

FOCOLAI NEGLI OSPEDALI E NELLE CASE DI RIPOSO
Un equilibrio delicato difeso, ora, con confini ancora più blindati perché fino al 3 aprile si entra ed esce solo con l’autorizzazione del presidente della Regione. Tutto chiuso per decreto, come nel resto d’Italia, isolamento retroattivo per gli ultimi arrivati, ma non è bastato.

sardegna coronavirusSARDEGNA CORONAVIRUS
Perché, per ora, i focolai veri, di contagio, sono e restano le corsie degli ospedali. Nonché le case di riposo. E le procure sarde sono già al lavoro a Cagliari e Sassari. Diciannove i decessi (al 27 marzo), 492 i positivi di cui almeno 330 nel nord della regione, in un territorio che va da Sassari a Olbia, in gran parte tra i sanitari, appunto. Gli addetti ai lavori stimano siano almeno la metà, anche se per la Regione sono un quarto, il 26%.

MEDICI SENZA MASCHERINE E IL DIKTAT DEL SILENZIO
È iniziato a Cagliari con il primissimo contagio, poi Nuoro, nell’ospedale San Francesco, un caso da manuale poi miracolosamente disinnescato quando l’esercito era già pronto ad allestire un ospedale da campo. Medici, infermieri e oss contagiati, pazienti poi trasportati nell’ospedale di Tempio, in Gallura.

Protocolli non rispettati o assenti, come i dispositivi di sicurezza: così il reparto di Cardiologia del Santissima Annunziata di Sassari è diventato crocevia di destini di pazienti e professionisti (anche di rientro da Milano), chiusi dentro per tre giorni. Per fare i tamponi (a singhiozzo) a ospiti e dipendenti della locale casa di riposo, a gestione comunale, Casa Serena (140 gli anziani, tra cui una vittima e 26 positivi) sono dovuti arrivare i medici militari da Roma. Per i sindacati è «una polveriera».

sardegna coronavirusSARDEGNA CORONAVIRUS
E non è l’unica: succede nelle residenze sanitarie, e in altri centri del Medio Campidano e della Barbagia. Dove la guardia medica – infetta – è passata per più paesi. Le infermiere fanno il bucato con le mascherine riciclate e condividono le foto via chat, altri denunciano di avere «Panni swiffer sulla bocca». Per tutti loro vige il diktat del silenzio imposto dalla Regione alle aziende: chi parla rischia provvedimenti disciplinari. Eppure, senza nome, fioccano i racconti e le interviste. Il piano d’emergenza prevede il reclutamento di 600 sanitari per dare il cambio a chi è in quarantena, per 200 infermieri – però – chiamata a partita Iva. Si fattura per sei mesi, sotto turnazione, e poi chissà.

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GLI SCIVOLONI DELL’ASSESSORE ALLA SANITÀ
La Regione guidata dal sardista leghista Christian Solinas è riuscita ad accentrare tutta la comunicazione delle singole aziende sanitarie locali. Ma qualcosa è sfuggito: le esternazioni di un assessore, non uno a caso ma quello alla Sanità, Mario Nieddu, in quota Lega. Sul record di contagi tra i sanitari (in proporzione ai “civili”) in un’intervista a Videolina ha dichiarato che «ci può stare».

E al primo scivolone il 17 marzo si è aggiunta la citazione di un’azienda, la Tema srl, a cui sarebbero stati commissionati dei test rapidi. Prodotti definiti pochi giorni dopo dallo stesso assessore «poco affidabili».
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Da lì la reazione della società che ha annunciato azioni penali, e negato di aver ricevuto gli ordini a quella data. E se i medici continuano a denunciare carenze, dalla Regione arrivano assicurazioni sulle dotazioni (450 mila mascherine distribuite dalla Protezione civile) oltre ai doni quotidiani di imprenditori cinesi. Per il futuro, però, si punta sull‘high tech: tamponi per tutti, stile Veneto e Corea del Sud, app per tracciare gli spostamenti e sperimentali braccialetti- saturimetri da assegnare agli asintomatici in isolamento.

I MANIFESTI CHOC A CAGLIARI E IL TAM TAM SOCIAL DEI SINDACI
Il tam tam dei sindaci (anche di micro comuni) riuniti nell’Anci Sardegna ha spinto verso la chiusura dell’Isola. Parole di apprensione, da Pula a San Teodoro, di fronte agli arrivi, specie nei comuni costieri, nei primi giorni dell’emergenza. Sono gli stessi primi cittadini a comunicare la presenza di positivi su Facebook, spesso denunciano senza alcun coordinamento regionale. Ed è quindi caccia alle uscite inutili, seppur in solitaria o con il cane come lasciapassare. Fino all’ultima mossa del sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu (Fdi) che a inizio marzo aveva assicurato: «La città è aperta».

La campagna di comunicazione ha dato il via a una controcampagna sui social.
Sui muri urbani sono apparsi tre diversi messaggi istituzionali su cartelloni 6 metri per 3. «Quando hanno portato mia madre in ospedale ho capito che dovevo rinunciare alla corsa», e ancora «Quando hanno intubato mio padre ho pensato a quella passeggiata che non dovevo fare». Un registro colpevolizzante contestato dall’opposizione di centrosinistra e diventato nel giro di poche ore bersaglio dei meme.

I cartelloni apparsi a Cagliari voluti dall’amministrazione.
Fondo bianco, caratteri cubitali rossi e neri come gli originali – al punto da essere facilmente confusi – hanno creato una controcampagna social, una rivolta collettiva. Tra tutti, questo: «Quando mi hanno portato in ospedale, non pensavo che mi sarei ammalato proprio lì», una sardonica – e amara – verità.
Fonte: qui

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