venerdì 20 marzo 2020

“SE AVESSIMO PRODOTTO MASCHERINE IN ITALIA NON STAREMMO A FARE LA FILA CON GLI ALTRI”

FABRIZIO LANDI, PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE ‘TOSCANA LIFE SCIENCES’: “FINO A TRENT’ANNI FA PRODUCEVAMO RESPIRATORI E VENTILATORI, OGGI CI RIMANE SOLO UNA PICCOLA AZIENDA. SPOSTARE LA MANIFATTURA IN ESTREMO ORIENTE È STATO UN AUTOGOL” 
Alessandra Micelli per www.formiche.net

Le misure adottate dall’Italia per la gestione del coronavirus sono, come sancito dalla stessa dall’Organizzazione mondiale della sanità, un esempio per il mondo occidentale. Alcune politiche messe in campo nei decenni passati, però, soprattutto in campo industriale, rischiano di minare i risultati raggiunti. Ne è convinto Fabrizio Landi, presidente della Fondazione Toscana Life Sciences, che in questa intervista racconta a Formiche.net capacità e ostacoli dell’industria farmaceutica in Italia e fa un aggiornamento sulla ricerca di cure per la lotta al coronavirus.

L’industria farmaceutica e biomedicale italiana rappresenta un’eccellenza nel panorama internazionale. Che ruolo possiamo avere nella lotta al coronavirus?
LUCA ZAIA E LE MASCHERINELUCA ZAIA E LE MASCHERINE
Parliamo di farmaceutica, ma prima ancora di biomedicale, dove la manifattura – in cui l’Italia da sempre si distingue per grandi capacità – ha un ruolo prioritario. Il nostro Paese è sempre stato particolarmente attivo in questo settore, sino alle politiche di sfrenata delocalizzazione degli ultimi decenni, quando alla ricerca di costi sempre più bassi abbiamo iniziato a produrre qualunque cosa – e dunque anche i prodotti biomedicali– fuori Schengen. Fino a trent’anni fa producevamo, per citare i dispositivi di cui oggi avremmo maggiore bisogno, respiratori e ventilatori, oggi ci rimane solo una piccola azienda con 35 dipendenti su tutto il suolo nazionale.
attilio fontana si mette la mascherinaATTILIO FONTANA SI METTE LA MASCHERINA

Trent’anni fa quindi sarebbe andata diversamente?
Non so su altri piani, ma sicuramente su questo sì. Spostare la manifattura nazionale interamente nei Paesi a basso costo, in Estremo Oriente, è stato un autogol, e oggi ne paghiamo le conseguenze. Ad ogni modo, non ha particolare senso guardarsi indietro, ma può averlo imparare dagli errori e capire che alcuni effetti della globalizzazione, fra cui questo, possono essere dannosi e potenzialmente mortali. E iniziare, una volta rientrata la crisi, ad agire diversamente… Ma è un tema che non riguarda solo la sanità, ma l’industria in generale.

Come?
in corea del sud tutti con le mascherineIN COREA DEL SUD TUTTI CON LE MASCHERINEproduzione di mascherine in cina 8PRODUZIONE DI MASCHERINE IN CINA 
Bisognerebbe completamente ripensare le regole del Wto e delle procedure d’acquisto, magari mantenendo sempre una percentuale della manifattura sul territorio nazionale. Se avessimo prodotto mascherine qui in Italia, oggi non staremmo a fare la fila con gli altri Paesi europei. Mi auguro che da domani, magari, le gare nel settore sanitario possano prevedere una quota – se non la totalità – esclusivamente per i produttori italiani o europei, cosa che oggi non sarebbe permessa. Ricordiamoci che quasi tutte le gare pubbliche adesso si basano sul criterio del massimo ribasso…
un soldato con la mascherina in piazza duomo a milanoUN SOLDATO CON LA MASCHERINA IN PIAZZA DUOMO A MILANO

E ci possiamo sperare, secondo lei?
Diciamo che ci siamo scottati, per cui direi proprio di sì. Bisogna saper apprezzare – e sfruttare – le proprie competenze, risorse e capacità. Pensiamo all’azienda tedesca che sta lavorando sul vaccino per il coronavirus. Gli Stati Uniti – ovviamente con un approccio tipicamente trumpiano, secondo cui tutto è in vendita, purché si paghi bene – vorrebbero comprare l’intera l’azienda, che ovviamente ha declinato l’invito.
fabrizio landi toscana life sciences 1FABRIZIO LANDI TOSCANA LIFE SCIENCES 

La Germania non è in vendita, ha risposto il ministro dell’economia tedesco…
Com’è giusto che sia.

E questo ragionamento del Made in Italy vale per tutti i settori?
Sì, ma in particolar modo per quelli strategici. In quello della difesa, ad esempio, si sa da sempre che sarebbe una follia produrre all’estero. Per quello della sanità, invece, non ci è arrivato nessuno. Ma vedrà che la lezione servirà a tutti.
produzione di mascherine in cina 9PRODUZIONE DI MASCHERINE IN CINA 

A posteriori però la soluzione serve a poco, forse la classe dirigente avrebbe dovuto pensarci prima…
Vero, ma il problema – ci tengo a sottolinearlo – non riguarda solo l’Italia, ma anche gli altri Paesi europei e persino gli Stati Uniti. Abbiamo sbagliato tutti. Un produttore americano di mascherine molto grosso, ad esempio, ha tutte le fabbriche in Cina. Inutile dire che il capodanno cinese prima e la diffusione del coronavirus poi hanno bloccato la produzione per cinque settimane. E ora si trovano senza mascherine.

produzione di mascherine in cina 2PRODUZIONE DI MASCHERINE IN CINA 
Coronavirus e vaccino. Chi ci è davvero vicino?
Intanto, ci stanno lavorando in tantissimi. A quanto ne so io, però, ci sono tre attori che possono essere considerati più avanti degli altri. Il primo è un gruppo tedesco, la Curevac, che sta lavorando con l’Istituto superiore di sanità tedesco. Il secondo è la statunitense Moderna, che sta facendo i primi test sull’uomo, e che tra l’altro nasce proprio da un gruppo di persone che lavoravano a Siena. E il terzo è l’israeliana Migal, che ha riferito di essere vicinissima al vaccino.

E in Italia ci si sta lavorando?
produzione di mascherine in cina 1PRODUZIONE DI MASCHERINE IN CINA 
Certo. Fra gli altri, Irbm, un gruppo di Pomezia che sta collaborando con l’Università di Oxford, ma anche l’incubatore per le bioscienze situato a Castel Romano, precedentemente focalizzato sui vaccini in ambito tumorale.

Di che tempi parliamo?
I tempi per i vaccini sono sempre lunghi, anche se le autorità hanno assicurato che ridurranno al massimo le tempistichei di approvazione. Entro un anno potremmo farcela.
produzione di mascherine in cina 3PRODUZIONE DI MASCHERINE IN CINA 

Usa il condizionale, perché?
Perché un vaccino è sempre un’incognita. Magari pensiamo di averlo trovato, lo testiamo sui pazienti e qualcosa non funziona.

Fabrizio LandiFABRIZIO LANDI
Parliamo invece di cura. Sappiamo che ci sono diverse strategie di intervento e c’è chi addirittura parla, in Cina, di trasfusioni di plasma fra guariti e malati…
Allora, facciamo chiarezza. Per quanto riguarda la cura sono state intraprese tre strade. La prima è quella di provare con farmaci già utilizzati per altre patologie. È una strategia molto utilizzata negli ultimi anni. Pensi, ad esempio, all’aspirina. Vent’anni fa si usava per l’influenza, oggi un suo effetto collaterale, e cioè la fluidificazione del sangue, viene sfruttato per prevenire l’infarto.
 
Quali sono, però, queste cure?
Ci sono due filoni. Il primo è quello degli antivirali, che attaccano il virus. Per il Covid-19, adesso, si sta provando sia con antivirale usato per l’ebola, sia con uno utilizzato per la lotta all’Aids. Li stanno testando negli Stati Uniti e lo stesso in Italia, ad esempio, allo Spallanzani. I risultati sono stati abbastanza buoni, ma non essendo un antivirale mirato, non possiamo essere certi che la regressione del virus dipende dalla sua somministrazione e non da altri fattori.

E poi ci sono i non antivirali?
roche tocilizumab 3ROCHE TOCILIZUMAB 
Esatto, ci sono farmaci, come il Tocilizumab di Roche, che non attaccano il virus ma bloccano l’attività degli intermediari biologici che causano la polmonite. Non curano, dunque, il coronavirus, ma i suoi effetti. Il che è già una cosa positiva, perché è la polmonite ad uccidere, e non il virus in sé. Tra l’altro questa cura ha avuto da pochissimo il via libera dell’Aifa; pur utilizzato già da prima in regime off-label, l’autorizzazione Aifa è sempre un elemento positivo.
produzione di mascherine in cina 4PRODUZIONE DI MASCHERINE IN CINA 

Passiamo al secondo filone?
Esatto, questo molto meno clinico e molto più farmaceutico. In questo caso si cerca di sviluppare in laboratorio un antivirale specifico contro il Covid-19. Anche qui ci stanno lavorando in moltissimi, ma inevitabilmente i tempi sono più lunghi di quelli per il vaccino. Il farmaco, infatti, non solo va trovato, ma successivamente bisogna dimostrare che contrasta il coronavirus ma che al contempo non ha effetti collaterali peggiori della malattia che va a curare.

Infine, la terza via…
Questa ha una tempistica intermedia e si basa su un concetto più naturale. Il paziente guarito autonomamente, e che ha dunque sviluppato una quantità sufficiente di anticorpi specifici per questo virus, funge da “cura”. I clinici identificano l’anticorpo giusto, lo ingegnerizzano e lo iniettano nei malati. È la soluzione meno invasiva, ma al contempo non può essere considerata al pari di una vaccinazione.
Giuseppe Conte pensosissimo durante il vertice virtuale con gli altri leader europeiGIUSEPPE CONTE PENSOSISSIMO DURANTE IL VERTICE VIRTUALE CON GLI ALTRI LEADER EUROPEI

Perché?
In primis perché non possiamo iniettare anticorpi nel corpo di una persona all’infinito e in secondo luogo perché il paziente, pur essendo guarito grazie agli anticorpi iniettati, non ne ha sviluppati di suoi.
GIUSEPPE CONTE IN FARMACIA FOTO DI CARMEN LLERA MORAVIAGIUSEPPE CONTE IN FARMACIA FOTO DI CARMEN LLERA MORAVIA















Una domanda sui tamponi. Strategia giusta?
roche tocilizumab 1ROCHE TOCILIZUMAB 
Strategia giusta, sì. Anche perché, al di là delle difficoltà logistiche e dei costi economici che comporterebbe fare il tampone a tutti, non stiamo considerando che si tratta di una misura istantanea.

Ci spieghi meglio…
irbm science park pomeziaIRBM SCIENCE PARK POMEZIA
Se il risultato è positivo, la strada da percorrere è univoca. Ma se è negativo, lo è solo per quell’istante, perché il virus può essere contratto in qualunque momento di lì in avanti. Si è negativi, sì, ma in maniera assolutamente non definitiva. Inoltre, l’affidabilità dei tamponi non è ancora ottimale, poiché la fase di analisi è affidata interamente all’azione umana. È chiaro, tra l’altro, che un biologo travolto dai tamponi, dopo otto ore trascorse in laboratorio, avrà un margine di errore più ampio. In futuro, invece – e parlo di poche settimane – arriveranno sul mercato alternative più economiche, veloci e affidabili. Allora il discorso sarà diverso.
 
Si dice che i contagiati siano molti di più di quelli stimati. Conferma?
Non sono io a confermarlo, sono i numeri. Basti pensare all’esperimento fatto da Zaia a Vo’, che fatto il tampone a tutti gli abitanti, dimostrando l’elevato tasso di positivi. Questo da un lato dimostra che bisogna stare attenti, e rispettare le misure di distanziamento sociale anche in caso di assenza di sintomi. Dall’altro conferma una letalità del virus molto più bassa di quanto statisticamente dimostrato sinora.

xi jinping con la mascherina 4XI JINPING CON LA MASCHERINA 
Proprio ieri l’Oms ha definito l’Italia un esempio virtuoso per i vicini europei. Un riconoscimento che meritiamo da tempo?
napoli in quarantena 14NAPOLI IN QUARANTENA
Assolutamente sì. Sicuramente verrà fuori, come sempre, che si poteva far meglio, ma il nostro Paese vanta le migliori politiche di contrasto al coronavirus di tutto l’Occidente.

Fonte: qui

OBBLIGATI A STARE IN CASA, GLI ITALIANI MANGIANO DI PIÙ MA L’AGRICOLTURA ITALIANA RISCHIA IL COLLASSO 
PRANDINI (COLDIRETTI): “GLI AUTOTRASPORTATORI IN GRANDISSIMA MAGGIORANZA DI PAESI DELL’EST EUROPEO NON VOGLIONO VENIRE IN ITALIA PERCHÉ QUANDO RIENTRANO NEL LORO PAESE LI OBBLIGANO ALLA QUARANTENA” 
L’ALTRO È LA MANODOPERA STAGIONALE, 370.000 PERSONE IN PARTICOLARE POLACCHI, ROMENI, BULGARI E ALBANESI, OSTACOLATI DALLE LORO AUTORITÀ NAZIONALI A TRASFERIRSI IN ITALIA” 

Agricoltura allarme rosso

Franco Velcich  https://it.businessinsider.com
Obbligati a stare in casa, gli italiani mangiano di più, tanto è vero che i primi dati relativi a questi giorni di clausura forzata dicono che la domanda di prodotti alimentari consumati fra le mura domestiche ha più che compensato gli effetti negativi causati dalla chiusura di bar e ristoranti.
Il dato viene dalla Coldiretti, ma non basta per cancellare le preoccupazioni degli imprenditori agricoli. Ettore Prandini,  47 anni, imprenditore agricolo bresciano, è il presidente della Coldiretti, la principale organizzazione degli agricoltori con un milione e mezzo di associati. Con il coronavirus, dice Prandini, l’agricoltura italiana rischia grosso, perché l’epidemia ha reso drammaticamente stringenti due cappi che non da oggi minacciano il settore, ma che adesso potrebbero soffocarlo.
Le difficoltà maggiori riguardano i trasporti e la manodopera stagionale”, dice Prandini in questa intervista a Business Insider Italia.  “Le nostre aziende rischiano di avere carenza di personale stagionale nei campi, proprio adesso che nell’ortofrutta sta iniziando la stagione della raccolta, penso ad esempio alle fragole. E anche nel settore viti-vinicolo ci sono lavori da fare adesso, come la legatura, e rischiamo di non avere gli uomini per farli”.

Scusi, ma che c’entra il coronavirus? In campagna potete lavorare ben distanti l’uno dall’altro, dal punto di vista del rischio di contagio siete sicuramente meno esposti rispetto ai lavoratori dell’industria…
Certo, questo è vero. Ma da un bel po’ di anni per i lavori stagionali la nostra agricoltura si avvale di un gran numero di lavoratori stranieri, in particolare polacchi, romeni, bulgari e albanesi. Oggi  questi lavoratori sono ostacolati dalle loro autorità nazionali a trasferirsi in Italia per paura del contagio e molti di quelli che erano qui sono scappati”.
Di quante persone stiamo parlando?
Secondo i nostri dati, la manodopera stagionale straniera rappresenta il 27% del totale delle giornate lavorate in campagna, che in termini assoluti vuole dire 370.000 persone”.
agricoltura 7AGRICOLTURA 
Scusi, ma l’obiezione è abbastanza ovvia: perché non fate lavorare persone italiane?
“Saremmo felicissimi di fare lavorare italiani, ma ci servono gli strumenti giuridici adeguati per un’attività che per sua natura è estremamente saltuaria. A volte un’azienda ha bisogno di una persona soltanto per una o due giornate. Per questo abbiamo chiesto al governo di ripristinare i voucher in agricoltura”.

BRACCIANTI A LAVOROBRACCIANTI A LAVORO
I voucher per le aziende agricole furono introdotti nel 2015 dal governo Renzi e successivamente cancellati nel 2017 dal governo Gentiloni, sotto la forte pressione dei sindacati e in particolare della Cgil, che aveva raccolto un milione e mezzo di firme per un referendum abrogativo. Per la Cgil il sistema dei voucher era una sorta di legalizzazione del lavoro nero, perché non prevedeva diritti fondamentali per i lavoratori come le ferie, la malattia e la maternità. Da parte sua Prandini nega che il problema sia economico.
BRACCIANTI A LAVOROBRACCIANTI A LAVORO
“A noi imprenditori il voucher costava 10 euro l’ora, che è più o meno quanto ci costa adesso un operaio di altri Paesi europei che viene qui a lavorare attraverso il sistema delle cooperative. Non è un tema di costo, ma di flessibilità dovuta alle caratteristiche delle lavorazioni. Stiamo chiedendo al governo di ridarci questo strumento che ci sarebbe utile per affrontare l’emergenza”.
Diceva che l’altra grande difficoltà è quella dei trasporti. Si riferisce alle richieste di alcuni importatori stranieri di avere una certificazione “coronavirus-free” per le merci italiane?
agricoltura 4AGRICOLTURA 
“Quello è stato un fatto grave, perché le richieste sono venute da imprese dell’Unione europea, ma fortunatamente il problema è stato superato velocemente grazie anche al pronto intervento del governo italiano che ha attivato la rete degli ambasciatori per chiarire che le merci, e in particolare i prodotti alimentari, non rappresentano nessun pericolo di contagio. Non può essere chiesta, perché non esiste, nessuna certificazione di quel tipo”.
Quindi, qual è il problema dei trasporti?
Il nodo è quello degli autotrasportatori che sono in grandissima maggioranza di Paesi dell’Est europeo e non vogliono venire in Italia perché quando rientrano nel loro Paese li obbligano alla quarantena. Sta diventando un problema grave per l’esportazione di prodotti freschi, ortofrutta e fiori”.
Conte incontra Prandini e GesmundoCONTE INCONTRA PRANDINI E GESMUNDO
E quindi come fate?
“Per fortuna abbiamo trovato un buon ascolto nelle aziende grande distribuzione, che hanno accolto la nostra proposta di privilegiare l’acquisto di merci italiane. In linea generale, poi, chiediamo al governo di intervenire a livello europeo: è assurda questa penalizzazione nel momento in cui è ormai evidente che il virus è in circolazione in tutta Europa”. Fonte: qui

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