venerdì 10 settembre 2021

Come nel mondo sta mancando tutto


Un mio amico lettore  mi twitta
.  “Ho parlato oggi con un grosso spedizioniere. Dice che in giro anche in Europa è un casino perché mancano gli autisti (non si vaccinano ecc.) . A parte questo mancano acciaio, alluminio e componenti per l’elettronica  perché i cinesi stanno tenendo tutto per loro. Mi  ha detto che tempo due mesi si blocca tutta l’industria in Europa, non arrivano materie prime.

Se si  deve additare la causa di tanto disastro, bisogna denunciare uno degli accorgimenti   apparentemente più “creativi” ed “efficienti”  che ha adottato la produzione industriale : il risparmio delle spese di magazzino.

E’ ormai d agli anni Cinquanta che Toyota, la casa automobilistica giapponese  che l’ha inventata, ha   adottato  la  produzione “Just In Time”, in cui le parti  e  le componenti   vengono consegnate dai sub-fornitori  alla linea di montaggio  proprio  e solo quando servono, riducendo al minimo la necessità di   tenerne a disposizione tante, riducendo – o azzerando – i costi di magazzino.

Nell’ultimo mezzo secolo, questo approccio  è stato adottato  da praticamente tutti   settori industriali: dal’abbigliamento  alla lavorazione degli alimentari fino ai prodotti farmaceutici, le aziende hanno adottato Just In Time per rimanere agili, consentendo loro di adattarsi alle mutevoli esigenze del mercato, riducendo al contempo i costi.

Naturalmente questo  suppone    una titanica  rete di spedizioni e trasporti  –  logistica  – colossale  e fluente come olio attraverso i tre oceani e i continenti per terra, treno, strada, mare ed aria. Per un po’ ha funzionato…

Ma il lockdown mondiale ordinato dal Grand Reset  ha messo in discussione i meriti della riduzione  estrema  delle scorte; le  industrie siano andate troppo oltre, ciò che le espone a interruzioni della produzione. E a aumenti dei prezzi senza precedenti rispetto ai precedenti “risparmi”.  La pandemia ha seminato il caos nelle spedizioni globali; molte economie in tutto il mondo sono state  afflitte dalla carenza di una vasta gamma di merci, dall’elettronica al legname all’abbigliamento. Dai risparmi ottenuti   col Just in Time  ora devono affrontare rincari enormi delle spese di spedizione e materie prime cruciali, e persino il duro fatto di non riuscire a procurarsi  le componenti e  materie  prime importate a nessun prezzzo.

“È  una catena di approvvigionamento impazzita”, ha affermato  al New York Times  Willy C. Shih, esperto di commercio internazionale presso la Harvard Business School. “In una corsa per arrivare al minor costo ho concentrato il mio rischio. Siamo alla logica conclusione di tutto questo».

La manifestazione più importante dell’eccessiva dipendenza da Just In Time si trova proprio nell’industria che l’ha inventata: le case automobilistiche sono paralizzate da una carenza di chip per computer, componenti vitali per auto   che sono prodotti principalmente in Asia, e che l’Asia non riesce –o non vuole  – fare arrivare  perché (fra l’altro) c’è scarsità di containers in Estremo Oriente, che sono bloccati in Occidente e intasano i porti americani. Senza abbastanza chip a disposizione, le fabbriche di automobili  di Germania, India e  Stati Uniti, e  Brasile sono costrette a fermare le linee di assemblaggio.

Ma anche  Nike e altri marchi di abbigliamento fanno fatica a rifornire i punti vendita  delle loro merci. Le imprese edilizie  hanno difficoltà ad acquistare vernici e sigillanti.  Ma più inquietante la carenza delle materie prime. Mancano rame, minerale di ferro e acciaio. Mais, caffè, grano e soia. Legname, plastica e cartone per imballaggi. Il mondo è apparentemente  scarso di  tutto. “Fai un nome, , e ne abbiamo ccarenza”, ha detto Tom Linebarger,   CEO  del produttore di motori e generatori Cummins Inc  clienti “cercano di ottenere tutto ciò che possono perché vedono una forte domanda”.

Anche i prezzi del cibo stanno aumentando drammaticamente. Un indicatore delle Nazioni Unite dei costi alimentari mondiali è salito per l’undicesimo mese consecutivo , l’aumento più alto degli ultimi sette anni. La cattiva gestione delle materie prime agricole negli Stati Uniti, i problemi meteorologici e la “corsa all’acquisto di colture” in Cina hanno portato a picchi di prezzo più continui di quelli osservati in oltre un decennio.

Le carenze sollevano dubbi sul fatto che troppe  aziende siano state troppo efficienti  nel fare risparmi tagliando le scorte.  “Sono gli investimenti che non fanno”, ha detto William Lazonick, economista dell’Università del Massachusetts al giornale americano.  E  dà  un esempio:

Intel, il produttore di chip americano, sembra che abbia finalmente deciso di  investire  20 miliardi di dollari per costruire nuovi impianti di produzione reale  in Arizona  invece che importarli dalla Corea . “Ma sono meno dei 26 miliardi di dollari che Intel ha speso per il riacquisto di azioni proprie nel 2018 e nel 2019, denaro che l’azienda avrebbe potuto utilizzare per espandere la capacità”,  afferma Lazonick.

Nel giugno scorso,  la Tedesca Bosch  ha annunciato di aprire  un impianto di chip da 1 miliardo di euro a Dresda, un investimento record per il gruppo automotive che punta ad equipaggiare la nuova generazione di auto elettriche e a guida autonoma.  Ma la Reuters ha spiegato che “la fabbrica di  semiconduttori  tuttavia non farà fronte alla carenza di prodotti come i microcontroller, che ha costretto le industrie automobilistiche a fermare la produzione e che secondo gli analisti e i dirigenti del settore proseguirà fino al prossimo anno.

Secondo il Libro Beige redatto dai governatori di distretto della Federal Reserve,  gli Stati Uniti stanno per subire una “ carenza diffusa di tutto”, con rincari che impoveriranno la popolazione. Avverrà anche in Europa. Fonte: qui

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