martedì 31 marzo 2020

IL FAMOSO MODELLO ITALIANO? “RITARDI”, “ERRORI” E “FRAMMENTAZIONE”

DOPO IL "NEW YORK TIMES" ANCHE LA "HARVARD BUSINESS REVIEW" STRONCA LA GESTIONE ITALIANA DELL’EMERGENZA 

GLI APERITIVI DI SALA E ZINGARETTI, LA SCARSITÀ DEI DATI A INIZIO EPIDEMIA E L’ECCEZIONE VENETO: “IL TRACCIAMENTO DEI CONTATTI LÌ È STATO PIÙ RAPIDO E PRECISO E QUEL METODO HA PORTATO A PIÙ RISULTATI DELLA STRATEGIA DELLA LOMBARDIA…”



conte speranzaCONTE SPERANZA
Harvard Business Review, rivista della celebre università americana, ha pubblicato un’analisi su quello che si può imparare dagli errori nel contrasto al coronavirus in Italia. Secondo gli studiosi statunitensi, “alcuni aspetti della crisi - a partire dalla tempistica - possono essere indiscutibilmente attribuiti a pura e semplice sfortuna, e che non potevano essere sotto il pieno controllo dei legislatori”. In generale, “dobbiamo accettare che una comprensione inequivocabile di quali soluzioni funzioneranno probabilmente richiederà diversi mesi, se non anni”.

attilio fontana si mette la mascherina 2ATTILIO FONTANA SI METTE LA MASCHERINA
Però, “altri aspetti sono emblematici dei profondi ostacoli che i leader in Italia hanno affrontato nel riconoscere l’entità della minaccia rappresentata da Covid-19, nell’organizzare una risposta sistematica ad essa e nell’apprendere dai primi successi nell’implementazione (ndr. nelle ex rosse zone) - e, soprattutto, dai fallimenti”

nicola zingaretti all'aperitivo dei giovani pd a milanoNICOLA ZINGARETTI ALL'APERITIVO DEI GIOVANI PD A MILANO
Ciò che è avvenuto in Italia, secondo lo studio, è “un fallimento sistematico nell’assorbire e agire rapidamente ed efficacemente in base alle informazioni esistenti, piuttosto che una completa mancanza di conoscenza di ciò che dovrebbe essere fatto”, anche perché c’era già stato l’esempio della Cina.

milano non si ferma lo spot di sala sul coronavirus 5MILANO NON SI FERMA LO SPOT DI SALA SUL CORONAVIRUS 
Uno dei primi fattori ad aver condizionato le scelte sarebbe un meccanismo psicologico noto come pregiudizio di conferma (confirmation bias): è il processo mentale attraverso il quale ricerchiamo delle informazioni che confermino il nostro modo di vedere le cose, scartando quelle che sono in contrasto alla nostra visione. “Le minacce come le pandemie” - si legge nello studio - “che si evolvono in modo non lineare (per esempio, iniziano in piccolo ma si intensificano in modo esponenziale), sono particolarmente difficili da affrontare a causa delle difficoltà nell’interpretare in modo rapido ciò che sta accadendo in tempo reale”.
ospedale di codognoOSPEDALE DI CODOGNO

Il momento ideale per l’azione è all’inizio, “quando la minaccia sembra essere piccola” o inesistente. “Se l’intervento funziona davvero, sembrerà a posteriori come se le azioni forti fossero una reazione eccessiva. Questo è un gioco che molti politici non vogliono giocare”.

beppe sala beve birra con alessandro cattelanBEPPE SALA BEVE BIRRA CON ALESSANDRO CATTELAN
Nei primi momenti, in Italia, c’è stata una fase nel quale la minaccia non è stata percepita come tale: “Alla fine di febbraio, alcuni importanti politici italiani si sono impegnati in strette di mano pubbliche a Milano per sottolineare che l’economia non dovrebbe andare nel panico e fermarsi a causa del coronavirus”. Lo studio fa riferimento soprattutto alla campagna #MilanoNonSiFerma e al caso di Nicola Zingaretti, che organizzò un aperitivo nel centro di Milano per poi risultare, una decina di giorni dopo, positivo al covid-19. “L’incapacità sistematica di ascoltare gli esperti evidenzia i problemi che i leader - e le persone in generale - hanno avuto nel capire come comportarsi in situazioni terribili e altamente complesse in cui non esiste una soluzione facile
nicola zingaretti a milanoNICOLA ZINGARETTI A MILANO

Quindi, una prima lezione è riconoscere i propri pregiudizi di conferma. Una seconda lezione è quella di evitare provvedimenti graduali. La scelta di adottare vari decreti che hanno intensificato la rigidità delle misure in modo progressivo non è stata efficace per due motivi: “Innanzitutto, non era coerente con la rapida diffusione esponenziale del virus. I ‘fatti sul campo’ in qualsiasi momento non erano semplicemente predittivi di quale sarebbe stata la situazione pochi giorni dopo.
GUIDO BERTOLASO ATTILIO FONTANAGUIDO BERTOLASO ATTILIO FONTANA

Di conseguenza, l’Italia ha seguito la diffusione del virus piuttosto che prevenirlo. In secondo luogo, l’approccio selettivo potrebbe aver involontariamente facilitato la diffusione del virus”, scatenando, ad esempio, la reazione smodata delle persone, come nel caso degli esodi verso il Sud Italia. Un altro problema è quello di non aver avuto strumenti efficaci di contact-tracing.

LUCA ZAIA CON LA MASCHERINALUCA ZAIA CON LA MASCHERINA
Secondo la rivista, anche la frammentazione del nostro sistema sanitario, gestito dalle Regioni in modo diverso, ha contributo ad aggravare la situazione. Emblematici sono gli approcci diversi portati avanti da Veneto e Lombardia: “Mentre la Lombardia e il Veneto hanno applicato approcci simili al distanziamento sociale e alle chiusure al dettaglio, il Veneto ha adottato un approccio molto più proattivo al contenimento del virus. La strategia veneta era articolata su più fronti”. La meticolosità del metodo veneto - dove sono stati fatti più test, il tracciamento dei contatti è stato più rapido e preciso, gli operatori sanitari sono stati riforniti presto delle protezioni necessarie - ha portato a più risultati della strategia della Regione governata da Fontana.
attilio fontana si mette la mascherinaATTILIO FONTANA SI METTE LA MASCHERINA

CORONAVIRUS - BARE A BERGAMOCORONAVIRUS - BARE A BERGAMO
Una nota particolarmente dolente riguarda la raccolta dati, di fondamentale importanza per capire la portata dei problemi e per scegliere le misure di contrasto. All’inizio, “Il problema era la scarsità di dati. Più specificamente, è stato suggerito che la diffusione diffusa e inosservata del virus nei primi mesi del 2020 potrebbe essere stata facilitata dalla mancanza di capacità epidemiologiche e dall’incapacità di registrare sistematicamente picchi di infezione anomala in alcuni ospedali. Più recentemente, il problema sembra essere di precisione dei dati”, come sottolineato in Italia anche da vari giornalisti ed esperti.

coronavirus bergamoCORONAVIRUS BERGAMOLUCA ZAIA E LE MASCHERINELUCA ZAIA E LE MASCHERINE
Lo studio si conclude con le due grandi lezioni che andrebbero apprese dal caso italiano: “Innanzitutto, non c’è tempo da perdere, vista la progressione esponenziale del virus”. Le misure vanno implementate il prima possibile, ed in modo organico, senza essere graduali. La seconda lezione è che “un approccio efficace nei confronti di Covid-19 richiederà una mobilitazione simile alla guerra - sia in termini di entità delle risorse umane ed economiche che dovranno essere impiegate, nonché l’estremo coordinamento che sarà richiesto in diverse parti” della sanità, sia pubblica che privata.
LUCA ZAIALUCA ZAIA

coronavirus terapia intensiva bergamoCORONAVIRUS TERAPIA INTENSIVA BERGAMO
Quindi, “se i politici vogliono vincere la guerra contro Covid-19, è essenziale adottarne uno che sia sistemico, dia la priorità all’apprendimento ed è in grado di ridimensionare rapidamente gli esperimenti di successo e identificare e chiudere quelli inefficaci”. Fonte: qui

STRAZIANTE REPORTAGE DEL “NEW YORK TIMES” DA BERGAMO, CON LE STORIE DEI MALATI A CASA PORTATI IN OSPEDALE SOLO DOPO GIORNI DI FEBBRE A 39 E CON LE LABBRA VIOLA, DEI PAZIENTI AGGRAPPATI A PICCOLE BOMBOLE D’OSSIGENO E DI QUELLI IN TERAPIA INTENSIVA CHE FORSE SOPRAVVIVERANNO AL CORONAVIRUS.


GLI OPERATORI DELLA CROCE ROSSA CHE NON VOGLIONO DIVENTARE UNTORI E GLI ADDETTI DELLE POMPE FUNEBRI CHE NON RIESCONO A TENERE IL RITMO

“TRASPORTIAMO MORTI DALLA MATTINA ALLA SERA”
Jason Horowitz per “The New York Times”
Fotografie di Fabio Bucciarelli

coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 10CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
Le strade di Bergamo sono vuote. Come in tutt’Italia, le persone possono lasciare le proprie case solo per comprare cibo e medicine, o per andare al lavoro. Fabbriche, negozi e scuole sono chiusi. Non si sente più chiacchierare agli angoli delle strade o ai tavolini dei caffè. Ciò che si sente di continuo, senza sosta, sono le sirene.
Mentre l’attenzione dei vari Paesi del mondo si sposta sui propri centri di contagio, le sirene continuano a suonare. Come quelle che segnalavano i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, molti sopravvissuti a questo conflitto ne ricorderanno le sirene. Risuonano più forte mentre si avvicinano, venute a raccogliere genitori e nonni, i custodi della memoria italiana.

coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 11CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
I nipoti salutano dalle terrazze, mariti e mogli si siedono agli angoli di letti ormai vuoti. E poi le sirene ricominciano a suonare, affievolendosi quando le ambulanze si allontanano, dirette verso ospedali stipati di malati di coronavirus. “Ormai a Bergamo si sentono solo le sirene”, ha osservato Michela Travelli.

l'articolo del new york times su bergamo 2L'ARTICOLO DEL NEW YORK TIMES SU BERGAMO
Il 7 marzo, suo padre, Claudio Travelli, 60 anni, guidava un camioncino che consegnava generi alimentari in tutto il Nord Italia. Il giorno seguente, ha iniziato ad avere febbre e sintomi influenzali. Sua moglie aveva avuto la febbre nei giorni precedenti, quindi ha chiamato il medico di base, che le ha detto di prendere una tachipirina e di riposare. Per gran parte del mese precedente, la classe dirigente italiana aveva mandato messaggi contraddittori sul virus.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 13CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
Il 19 febbraio, circa 40.000 persone di Bergamo, una provincia lombarda di più o meno un milione di persone, hanno percorso 50 chilometri per andare a Milano ad assistere alla partita di Champions League Atalanta - Valencia. (Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, la settimana scorsa ha definito la partita “un forte acceleratore del contagio”). Travelli e sua moglie allora non avevano preso sul serio il pericolo del contagio, ha raccontato la figlia della coppia, “perché non veniva presentato come una cosa grave”.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 9CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
Ma a Travelli la febbre non si è abbassata e le sue condizioni si sono fatte più preoccupanti. Venerdì 13 marzo ha sentito una pressione insopportabile al petto e ha iniziato ad avere conati di vomito. La febbre era altissima e la sua famiglia ha chiamato un’ambulanza. I soccorritori hanno rilevato bassi livelli di ossigeno nel suo sangue ma, seguendo le raccomandazioni degli ospedali di Bergamo, gli hanno consigliato di stare a casa. “Hanno detto: ‘abbiamo visto di peggio e gli ospedali sono come le trincee in una guerra’”, ha riferito la signora Travelli.
Un altro giorno in casa ha portato a un’altra notte di attacchi di tosse e febbre. Domenica, Travelli si è svegliato in lacrime, dicendo “Sono malato, non ce la faccio più”, ha ricordato sua figlia. Ha preso un’altra tachipirina, ma la febbre è salita a più di 39 e la sua pelle ha assunto un colore giallastro.

coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 25CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
Questa volta, quando è arrivata l’ambulanza, le sue due figlie, entrambe indossando guanti e mascherina, hanno preparato una borsa con due pigiami, una bottiglia d’acqua, un caricabatterie e un cellulare. I livelli di ossigeno nel sangue del padre erano crollati.
I volontari della Croce Rossa si sono chinati su di lui mentre stava steso sul letto, sotto a un dipinto della Vergine Maria. L’hanno portato in ambulanza. Le sue nipoti, di tre e sei anni, l’hanno salutato dalla terrazza. Lui ha alzato lo sguardo verso di loro, verso i balconi da cui sventolavano bandiere italiane. Poi l’ambulanza se ne è andata e non si è sentito più nulla. “Solo la polizia e le sirene”, ha detto sua figlia. I soccorritori che si erano occupati di Travelli avevano iniziato presto quella mattina.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 14CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
Alle 7.30 un gruppo di tre volontari della Croce Rossa si era ritrovato per assicurarsi che l’ambulanza fosse stata sanificata e rifornita di ossigeno. Come le mascherine e i guanti, anche le bombole sono diventate una risorsa sempre più rara. I tre si sono disinfettati l’un l’altro, poi hanno igienizzato i loro cellulari.
“Non possiamo essere noi gli untori”, ha detto Nadia Vallati, 41 anni, una volontaria della Croce Rossa che di giorno lavora all’ufficio delle imposte, riferendosi a coloro che venivano accusati di diffondere la peste nel diciassettesimo secolo. Dopo essersi disinfettati, Vallati e i suoi colleghi aspettano che suoni l’allarme nella loro sede. Non ci mette mai molto.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 19CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
Indistinguibili l’uno dall’altro nei camici medici che indossano sopra alle loro tute rosse, i volontari sono entrati in casa di Travelli il 15 marzo trasportando delle bombole d’ossigeno. “Sempre con l’ossigeno”, ha detto Vallati.
Uno dei rischi principali per i malati di coronavirus è l’ipossiemia, il basso livello di ossigeno nel sangue. I livelli medi a condizioni normali sono di 95-100 e i medici si preoccupano quando il valore scende sotto i 90.
Vallati ha detto che le è già capitato di riscontrare in malati di coronavirus anche livelli intorno ai 50. Hanno le labbra blu. La punta delle loro dita diventa viola. Fanno respiri rapidi e superficiali e usano i muscoli dello stomaco per inspirare. I loro polmoni sono troppo deboli.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 31CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
In molti degli appartamenti che gli operatori visitano, i pazienti sono aggrappati a piccole bombole di ossigeno, grandi circa come quelle per gasare l'acqua, che i familiari hanno procurato loro su ricetta del medico. Stanno nel letto accanto a loro. Mangiano con loro al tavolo della cucina. Guardano con loro, sul divano, i bollettini serali dei morti e dei contagiati italiani.
Il 15 marzo, Vallati ha messo la sua mano, avvolta da due strati di lattice blu, sul petto di Teresina Coria, 88 anni, mentre le veniva misurato il livello di ossigeno nel sangue. Il giorno seguente Antonio Amato, nonostante i suoi 40 anni, stava seduto sulla sua poltrona e stringeva la sua bombola di ossigeno mentre i suoi bambini, che non poteva stringere per paura di contagiarli, lo salutavano dall’altro lato della stanza.

coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 2CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES
Un sabato, Vallati si è trovata nella stanza di un uomo di 90 anni. Ha chiesto alle sue nipoti se il nonno avesse avuto contatti con qualcuno positivo al coronavirus. Sì, hanno detto, con suo figlio, loro padre, che era morto il mercoledì. La loro nonna, le hanno detto, era stata portata via venerdì ed era in condizioni critiche.
Non piangevano, ha detto, perché “non avevano più lacrime”. Durante un altro turno in Val Seriana, duramente colpita dall’infezione, Vallati ha raccontato di aver portato via una donna di circa 80 anni. Suo marito, con cui era sposata da decenni, ha chiesto di darle un bacio per salutarla. Ma Vallati gliel’ha negato, perché il rischio di contagio era troppo alto. La donna ha raccontato che mentre i volontari portavano via sua moglie, l’uomo è entrato in un’altra stanza e ha chiuso la porta dietro di sé.

coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 3CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES
I casi sospetti vengono portati in ospedale, ma gli ospedali stessi non sono più luoghi sicuri. A Bergamo il primo caso di coronavirus è stato diagnosticato nell’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo.
In quel momento, secondo le autorità, il virus era già presente da qualche tempo e, scambiato per normale polmonite, veniva trasmesso ad altri pazienti, medici e infermieri. Le persone l’hanno portato fuori dall’ospedale e nella città, fuori dalla città e nella provincia. I giovani l’hanno trasmesso ai loro genitori. Si è diffuso nelle sale da bingo e attorno a tazze di caffè.

coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 24CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES
Il sindaco Gori ha spiegato come i contagi abbiano devastato la sua città e portato al limite uno dei sistemi sanitari più ricchi e sofisticati in Europa. I medici stimano che 70.000 persone nella provincia abbiano il virus. Bergamo ha dovuto far trasportare 400 corpi in altre province, regioni e Paesi perché i posti erano esauriti.
“Se devo identificare una scintilla,” ha detto, “è l’ospedale”.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 30CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
Quando arriva un’ambulanza, i soccorritori procedono con estrema cautela. Solo uno dei tre, il responsabile della squadra, accompagna il paziente all’interno. Se il paziente è pesante, qualcun altro lo aiuta. Lo scorso fine settimana, un gruppo di dottori dell’ospedale di Bergamo ha scritto in una rivista di medicina associata con il New England Journal of Medicine, “stiamo apprendendo che gli ospedali possono essere i primi vettori di Covid-19”, visto che “sono così densamente popolati da pazienti infetti e facilitano la trasmissione a pazienti non infetti”.

coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 1CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES
Le ambulanze e il personale addetto vengono infettati, hanno scritto, ma questi possono non mostrare sintomi e diffondere ulteriormente il virus. Per questo i medici hanno chiesto di evitare di portare i pazienti in ospedale salvo in casi di estrema necessità.
Ma Vallati ha detto che per i casi più gravi non hanno avuto scelta. Gli autori dell’articolo lavorano all’ospedale Papa Giovanni XXIII a Bergamo, dove la squadra di Vallati ha trasportato molti dei malati.

coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 27CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES
Il Dottor Ivano Riva, un anestesista, ha spiegato che l’ospedale accoglieva circa 60 nuovi malati di coronavirus al giorno. Ha detto che vengono sottoposti a un test, ma a questo punto l’evidenza clinica - la tosse, i bassi livelli di ossigeno, la febbre - è un indicatore migliore, soprattutto perché il 30% dei test ha prodotto dei falsi negativi.
L’ospedale aveva 500 pazienti affetti da coronavirus, che occupavano tutti i 90 letti della terapia intensiva. Circa un mese prima, l’ospedale aveva solo sette letti di quella tipologia. L’ossigeno ora scorre ovunque all’interno degli ospedali lombardi e i dipendenti spingono costantemente per i corridoi carrelli che contengono bombole. Un camion-cisterna pieno di ossigeno è parcheggiato all’esterno. I pazienti sono stretti vicino a sgabuzzini e nei corridoi.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 23CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES
Il Dottor Riva ha spiegato che delle 101 persone che compongono lo staff medico del suo ospedale, 26 erano a casa con il virus. “È una situazione che nessuno ha mai visto, penso in nessun altro Paese al mondo”, ha detto.
Se le persone non stanno a casa, ha detto, “il sistema cederà”.
I suoi colleghi hanno scritto nell'articolo che i letti in terapia intensiva sono riservati ai malati di coronavirus con “una possibilità ragionevole di sopravvivere”. I pazienti più anziani, hanno scritto, “non vengono rianimati e muoiono da soli”.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 26CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
Travelli è finito al vicino ospedale Humanitas Gavazzeni, dove, dopo un falso negativo, è risultato positivo al virus. È ancora vivo.
“Papi sei stato fortunato perché hai trovato un letto - ora devi combattere, combattere, combattere”, gli ha detto sua figlia Michela in una telefonata, l’ultima prima che gli mettessero un casco per aiutarlo a respirare. “Era spaventato”, ha detto. “Credeva di essere sul punto di morire”.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 22CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
Intanto, la signora Travelli ha aggiunto di essere stata messa in quarantena e che aveva perso il senso del gusto, un disturbo frequente tra le persone che pur non mostrando sintomi sono state a stretto contatto con il virus. Così tante persone stanno morendo, così velocemente, che le camere mortuarie dell’ospedale e gli addetti delle pompe funebri non riescono a reggere il ritmo. “Trasportiamo i morti dalla mattina alla sera, uno dopo l’altro, costantemente,” ha detto Vanda Piccioli, che dirige una delle ultime agenzie di pompe funebri rimaste aperte. Altre hanno chiuso dopo che i loro direttori si sono ammalati, alcuni finendo anche in terapia intensiva. “In genere onoriamo i defunti. Ora è come una guerra e noi ne raccogliamo le vittime”.

coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 4CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES
Piccioli ha detto che un membro del suo staff è morto di coronavirus domenica. Ha preso in considerazione l’opzione di chiudere, ma poi ha pensato che fosse sua responsabilità restare, nonostante quello che ha definito come un terrore costante di essere contagiati e un trauma emotivo. “Tu sei come una spugna, assorbi il dolore di tutti,” ha detto.
Ha spiegato che il suo staff trasporta 60 corpi infetti al giorno, dall’ospedale Papa Giovanni e quello di Alzano, dalle cliniche, dalle case di riposo e dagli appartamenti. “È difficile per noi trovare guanti e maschere”, ha detto. “Siamo una categoria nell’ombra”.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 20CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
Piccioli ha aggiunto che all’inizio cercavano di restituire gli effetti personali dei defunti, raccolti in sacchetti di plastica, ai loro cari. Una scatola di biscotti. Una tazza. Un pigiama. Delle ciabatte. Ma adesso semplicemente non hanno tempo. Le chiamate alla Croce Rossa non si sono ancora fermate.
Il 19 marzo, Vallati e i suoi colleghi sono entrati nell'appartamento di Maddalena Peracchi, 74 anni, a Gazzaniga. Aveva finito l’ossigeno. Sua figlia Cinzia Cagnoni, 43 anni, che vive nell’appartamento di sotto, aveva ordinato una nuova bombola che sarebbe arrivata lunedì, ma i volontari della Croce Rossa le hanno detto che non avrebbe resistito così a lungo.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 18CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
“Eravamo un po’ agitati perché sapevano che quella potrebbe essere stata l’ultima volta che ci vedevamo”, ha detto Cagnoni. “È come mandare qualcuno a morire da solo”.
Lei, sua sorella e suo padre nascondevano un’espressione coraggiosa sotto le mascherine, ha raccontato. “Ce la puoi fare”, hanno rassicurato la madre. “Ti aspetteremo, ci sono ancora così tante cose che dobbiamo fare con te. Combatti”.
I volontari hanno portato Peracchi all’ambulanza. Una delle sue figlie ha suggerito ai nipoti sconvolti di salutarla a voce più alta. “Ho pensato a un migliaio di cose”, ha ricordato Cagnoni. “Non abbandonarmi. Signore aiutaci. Signore salva mia madre”. La porta dell’ambulanza si è chiusa. Le sirene hanno iniziato a suonare, come fanno “a tutte le ore del giorno”, ha detto Cagnoni.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 7CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES
L’ambulanza è arrivata al Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo, dove a Peracchi è stato diagnosticato il coronavirus e una polmonite a entrambi i polmoni. Il giovedì sera, sua figlia ha riferito che stava “appesa a un filo.”
La signora Peracchi è una donna di profonda fede cattolica, ha spiegato sua figlia, che ha avuto anche lei la febbre la notte in cui l’ambulanza ha portato via sua madre e da allora è in quarantena.
La figlia ha raccontato che a sua mamma faceva soffrire l’idea che, se le cose fossero andate male, “non potremo fare un funerale”.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 6CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES
Per contenere il virus, tutte le celebrazioni civili e religiose, tra cui i funerali, sono state vietate in Italia. Il cimitero di Bergamo è chiuso. Le bare accumulate attendono in una sorta di ingorgo di essere portate al crematorio.
Le autorità hanno vietato alle famiglie di cambiare gli abiti dei morti e hanno chiesto che i corpi vengano cremati con il pigiama o i camici che le vittime indossavano al momento del decesso. I cadaveri devono essere avvolti in un ulteriore involucro o coperti con un tessuto disinfettante. I coperchi delle bare, che in genere devono rimanere aperti fino alla consegna di un formale certificato di morte, ora possono essere chiusi, ma devono comunque attendere prima di essere sigillati. Spesso i corpi rimangono per giorni nelle case, dato che le scale e le stanze soffocanti sono diventate particolarmente pericolose per lo staff delle imprese funebri.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 21CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
“Cerchiamo di evitarlo”, ha detto Piccioli, la direttrice dell’agenzia di pompe funebri, riguardo le visite a casa. Nelle case di riposo è molto più facile perché si può arrivare con cinque o sei bare, riempirle e caricarle direttamente nelle macchine. “So che è terribile da dire”, ha detto.
Attraverso una rete di sacerdoti locali, Piccioli aiuta a organizzare veloci preghiere, invece che veri e propri funerali, per i defunti e per le famiglie che non sono in quarantena.
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È stato il caso di Teresina Gregis, seppellita al cimitero di Alzano Lombardo il 21 marzo dopo che era morta a casa. I soccorritori avevano detto alla sua famiglia che non c’era spazio negli ospedali. Solo un piccolo gruppo ha potuto piangerla, a causa delle restrizioni.
Hanno detto alla famiglia “Tutti i letti sono pieni”, ha raccontato la nuora della donna, Romina Mologni, 34. Dato che lei aveva 75 anni, “hanno dato la priorità ad altri che erano più giovani”.
l'articolo del new york times su bergamoL'ARTICOLO DEL NEW YORK TIMES SU BERGAMO
Nelle sue ultime settimane a casa, la sua famiglia ha fatto di tutto per trovarle delle bombole di ossigeno, cercandole in tutta la provincia mentre la donna stava seduta di fronte al suo giardino e alle girandole che adorava.
coronavirus bergamo – ph fabio bucciarelli new york times 28CORONAVIRUS BERGAMO – PH FABIO BUCCIARELLI NEW YORK TIMES 
Quando è morta, tutti i negozi di fiori erano chiusi a causa dell’ordinanza. Mologni allora ha portato al cimitero una delle girandole che sua figlia aveva regalato alla nonna. “Le piaceva quella”.
Fonte: qui

IN BELGIO MUORE DI CORONAVIRUS UNA BIMBA DI 12 ANNI: È LA VITTIMA PIÙ GIOVANE D’EUROPA

IL VIROLOGO EMMANUEL ANDRÉ: “E' UN EVENTO MOLTO RARO MA CHE CI HA SCONVOLTI” 
LO STATO DI SALUTE DELLA RAGAZZINA, RISULTATA POSITIVA AL CORONAVIRUS, È PEGGIORATO DOPO TRE GIORNI DI FEBBRE…
CORONAVIRUS: BELGIO, 'MUORE BIMBA 12 ANNI'
 (ANSA) - Una bimba di 12 anni è morta in Belgio a causa del coronavirus. Lo hanno annunciato oggi le autorità sanitarie locali stando a quanto scrive l'agenzia di stampa Belga. "E' un evento molto raro ma che ci ha sconvolti", ha detto il virologo Emmanuel André nel corso della consueta conferenza stampa, scrive Le Soir. Lo stato di salute della giovane, risultata positiva al coronavirus, è peggiorato dopo tre giorni di febbre, ha aggiunto il virologo Steven Van Gucht, precisa la Belga.

CORONAVIRUS: BELGIO, 12ENNE È VITTIMA PIÙ GIOVANE D'EUROPA
 (ANSA) - La bimba di 12 anni morta in Belgio a causa del Coronavirus è la più giovane vittima in Europa. Lo scrive il quotidiano Belga Le Soir ricordando che in Francia si è registrato il decesso di un'adolescente di 16 anni e in Portogallo di un ragazzo di 14 anni.

terapia intensiva coronavirus 1TERAPIA INTENSIVA CORONAVIRUS 
CORONAVIRUS: BELGIO, 705 MORTI E 12.775 POSITIVI IN TOTALE
 (ANSA) - In Belgio nel corso delle ultime 24 ore si sono registrati 98 decessi dovuti al Coronavirus. Lo scrive l'agenzia di stampa Belga precisando che altri 94 altri decessi sono stati registrati nei giorni precedenti per un totale di 705 morti. Lo ha annunciato il Centro di crisi e le autorità sanitarie locali. Per quanto riguarda i nuovi casi di contagio nelle ultime 24 ore si sono registrati 876 nuovi casi, di cui 467 nelle Fiandre, 189 à Bruxelles e 203 in Vallonia. Il Belgio conta complessivamente 12.775 casi confermati, scrive Le Soir.

Fonte: qui

LA DENUNCIA DI "REPORT": IN CITTA' IL VERO PAZIENTE UNO A GENNAIO. IL CASO DELL'ANZIANO MORTO E PORTATO VIA CON TUTE DA BIOCONTENIMENTO

ECATOMBE A PIACENZA: 500 VITTIME 
AL CIMITERO NON C'E'POSTO E LE BARE FINISCONO IN LISTA D'ATTESA 
LA DISPERAZIONE DELLA SINDACA E DELL’EX SEGRETARIO DEL PD BERSANI: “TRISTEZZA SENZA NOME” 
ARMANI, CHE HA FATTO UNA DONAZIONE ALL’OSPEDALE: “LA MIA CITTÀ SI RIALZERÀ”… 

Giangiacomo Schiavi per corriere.it

piacenzaPIACENZA
Luigi Alberoni era uno di quei tipi che in paese fanno parte del paesaggio come la piazza e il campanile, aveva fatto il barbiere per tradizione di famiglia e gli piaceva andare a bottega anche da pensionato, ma era del 1933 e per il coronavirus l’età non è un optional, è un tirassegno. Così se n’è andato con altri 519 in una provincia ammutolita dal dolore che da tre settimane obbliga il quotidiano locale Libertà a forzare i toni.

Le parole
«A Piacenza siamo all’ecatombe», dice il direttore Pietro Visconti, che nei titoli ha aggiornato il lessico delle catastrofi, perché strage, flagello, tragedia sconfinata, non bastano più. In provincia ci si conosce un po’ tutti e per ogni ambulanza che passa si pensa con un brivido a un amico, un parente o un conoscente, poi il giorno dopo si apre la pagina dei necrologi e si fa con rassegnata impotenza la conta degli scomparsi: 20, 25, 29, 30, 33...

coronavirus – l'inchiesta di report sull'altro paziente uno a piacenza 5CORONAVIRUS – L'INCHIESTA DI REPORT SULL'ALTRO PAZIENTE UNO A PIACENZA 
Un po’ come a Bergamo anche a Piacenza non c’è posto al cimitero e le bare finiscono in lista d’attesa, ma per Luigi Alberoni, la dolcezza del sentimento ha reso meno lugubre lo sfoglio delle pagine d’addio. Sotto l’età, 89 anni, è comparso, in corsivo, un insolito titolo onorifico: giocatore di dama.


Un mondo che scompare a causa del virus
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Quando si parla di un mondo che scompare a causa del virus che toglie il respiro, è questo. È il mondo degli anziani come Alberoni, i longevi attivi che in provincia hanno segnato rinascite e riprese, che non si sono mai arresi davanti a niente, che hanno lavorato fino all’ultimo e poi magari hanno sostenuto con risparmi e pensioni le difficoltà di figli e nipoti, integrando bilanci familiari, surrogando emergenze di lavoro e malattia.

«Giocatore di dama» è una categoria ignota ai tempi di Xbox e Playstation, rimanda ai bar di una volta, alle sfide in famiglia fra nonni e nipoti, a qualche oratorio e alle abilità affinate con l’esercizio paziente su una scacchiera. Ma qui, a Piacenza, in questi drammatici giorni, è come una lapide su una generazione invecchiata con un bagaglio di abilità e competenze artigianali e tecniche, «le nostre infrastrutture civili», le chiama Visconti «che hanno accompagnato in questi anni i cambiamenti della società».
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Disperazione
A Piacenza la conta dei morti ha provocato «una disperazione inaudita», afferma la sindaca Patrizia Barbieri appena uscita dalla quarantena del Covid-19 iniziata il 3 marzo. Ma il dolore non ha urlato come altrove, «per giorni abbiamo avuto la sensazione di essere dimenticati, abbandonati tra le sirene delle ambulanze», dice un medico di famiglia. Lutti nell’industria, nell’agricoltura, nel commercio, nel mondo dell’artigianato e nella politica: la vicinanza con Codogno ha accelerato il contagio, l’ospedale è diventato il riferimento obbligato di una comunità, le caserme ormai vuote sono state riaperte e in pochi giorni è stato allestito dai militari un ospedale da campo per i nuovi pazienti.

armaniARMANI
Poi è arrivato il presidente della Regione Bonaccini, ha telefonato il premier Conte, sono giunti i primi aiuti, dalla centrale nucleare di Caorso, ora in dismissione, hanno mandato mille tute per proteggere i sanitari. È stata per giorni sovrastata dal lutto, Piacenza. «Una tristezza senza nome», trattiene le lacrime l’ex ministro e segretario del Pd, Pierluigi Bersani. È un contagio infinito, che tocca ricoveri e case per anziani. Alla clinica Piacenza i cronisti di Report denunciano il caso sospetto del vero paziente uno: un anziano morto e portato via dal personale con tute da biocontenimento.


Uno dei banchetti apparsi in città
Ma sono la solidarietà e la generosità a emergere in queste ore. A Roncaglia e Borghetto, due negozi hanno messo i banchetti come nel Dopoguerra: «Pane e focaccia gratis», dice un cartello. E l’altro: «Prendi quello che ti serve». Poi è arrivata una lettera di Giorgio Armani con una donazione all’ospedale della sua città. «È sempre stata coraggiosa la mia Piacenza, così riservata e silenziosa, ma pronta a combattere. Si riprenderà, grazie all’energia che conosco e alla sua umanità». Fonte: qui


COSA E’ SUCCESSO A FEBBRAIO NELLA CLINICA DI PIACENZA? SELVAGGIA SCODELLA LA STORIA DI UN BOOM DI CONTAGI 
LE TESTIMONIANZE: "ERAVAMO DUE INFERMIERI CON 40 PAZIENTI CHE SI LEVAVANO L’OSSIGENO, DOVEVAMO SPESSO LEGARE I POLSI AGLI ANZIANI”, FINO AD ARRIVARE ALL’AMMISSIONE SUL PRIMARIO  DELLA CLINICA: “SAPEVAMO CHE AVEVA PRESO IL CORONAVIRUS” 
LA RISPOSTA DELLE CLINICHE

Il coronavirus è stato per settimane un tabù in una clinica privata di Piacenza, che adesso si ritrova al centro di un caso a dir poco inquietante. Ad aprire il classico vaso di Pandora è stata Selvaggia Lucarelli, che ha pubblicato un lungo report su Tpi, basato sulle testimonianze raccolte tra il personale della clinica Sant’Antonino. “Pazienti, medici, caposala, oss, infermieri, donne delle pulizie che si ammalano di coronavirus già a metà febbraio, o forse anche prima, e nessuna informazione esce da lì”: è questo lo scenario tremendo che la Lucarelli mette in evidenza.
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Fino al 16 marzo tutto è passato sotto silenzio: ufficialmente in quella clinica non è successo nulla, almeno fino a quando una donna delle pulizie non viene trovata morta in casa. Dopo questo tragico episodio, molti dipendenti contattano la Lucarelli e iniziano a parlare. Alcune testimonianze sono tremende, specialmente quelle relative alle condizioni di lavoro: da “qui se ti lamenti ti dicono quella è la porta’” a “eravamo due infermieri con 40 pazienti che si levavano l’ossigeno, dovevamo spesso legare i polsi agli anziani”, fino ad arrivare all’ammissione sul primario  della clinica (“sapevamo che aveva preso il coronavirus”). Insomma, la Lucarelli sostiene che a Piacenza in tanti si sono ammalati e alcuni sono anche morti a causa della gestione scellerata di una clinica che ha tenuto nascosto a lungo il coronavirus.


LA CLINICA DI PIACENZA
Selvaggia Lucarelli per www.tpi.it

Clinica privata Sant’Antonino, Piacenza. Una clinica accreditata col servizio sanitario che con “Casa Piacenza”, sua “gemella” e della stessa proprietà (il direttore sanitario Mario Sanna), si trova al centro di un caso molto inquietante: pazienti, medici, caposala, oss, infermieri, donne delle pulizie che si ammalano di Coronavirus già a metà febbraio, o forse anche prima, e nessuna informazione esce da lì. Finché il Fatto quotidiano, il 18 marzo, scoperchia la pentola: una donna delle pulizie muore e si scopre che settimane prima un vecchietto col Coronavirus è stato portato via in fretta dalla struttura.
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La Clinica privata Sant’Antonino, interrogata da me il 6 marzo, tace su tutto dicendo di chiedere alla Ausl, il direttore della Ausl di Piacenza Luca Baldino mi comunica che quello che succede lì non gli interessa e che ha cose più importanti di cui occuparsi. Il 13 marzo, la Ausl di Piacenza annuncia che il Sant’Antonino diventa clinica specializzata Covid e ringrazia la clinica per la sua “sensibilità” in un comunicato ufficiale. E quindi, è forse il momento di aggiungere tutti i particolari della storia, comprese le varie testimonianze raccolte e le nuove “risposte” della dirigenza della Casa Piacenza e Sant’Antonino, anche se ancora una volta sostanzialmente attribuiscono ogni responsabilità alla Asl di Piacenza.

La storia
A metà febbraio, quando il Coronavirus sembra non essere ancora arrivato in Italia, il paziente anziano Gino B., ricoverato alla clinica Sant’Antonino, si sente male. Comincia ad avere una febbre costante, che non scende. In clinica pensano che dipenda dal fatto che il suo letto è situato di fianco al calorifero. Quella febbre però non passa e a un certo punto si ammala anche il suo vicino di letto. Stanno male anche alcuni dottori. Il 24 febbraio, in clinica, arriva notizia che il dottor Cremonesi, un medico in pensione che svolgeva alcune operazioni presso la clinica Piacenza, è stato ricoverato a Tenerife mentre si trovava in vacanza: ha il Coronavirus. Ne parlano anche i giornali e i tg, ma il nome della Clinica Piacenza non viene mai associato al fatto.
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Ufficialmente, lì dentro, non è successo nulla. Nessuna comunicazione ufficiale del proprietario Mario Sanna, nessuna comunicazione alle famiglie dei pazienti ricoverati, nessuna comunicazione ufficiale a tutto il personale. Gino, il vecchietto trovato positivo, viene portato via alcuni giorni dopo. Il 16 marzo, Monica Rossi, una donna delle pulizie di Casa Piacenza, viene trovata morta in casa. “Avrei potuto salvarla, non me lo perdonerò mai! Vivrò la mia vita con questa croce sulle spalle! Scusami se puoi Monica!”, scrive su Facebook la responsabile del personale di Casa Piacenza Laura Cappellano.

Dunque, cosa è successo da metà febbraio a quel 16 marzo, nelle cliniche private Casa Piacenza e Sant’Antonino? Molte cose, e tutte ben silenziate dalla dirigente assistenziale Nawal Loubadi, dalla figlia del proprietario Lidia Sanna e da tutti i responsabili delle strutture. Molti dipendenti hanno continuato a lavorare, da quel 24 febbraio, in una condizione di incertezza e paura, scoprendo sempre per vie traverse, per confidenze di medici, di infermieri, di oss, che la malattia stava girando nelle cliniche e che tanti di loro si stavano ammalando. Qualcuno era stato contagiato e “andava in ferie” o “veniva messo in malattia” in tutta fretta. La parola “Coronvirus” era tabù.

Dopo la morte della donna delle pulizie però, tutto cambia. I dipendenti iniziano a parlare. E mi contattano in tanti. Un oss della Sant’Antonino mi racconta, tra un colpo di tosse l’altro: “Qui ci sono decine e decine di persone positive da più di un mese. Tutto inizia con il paziente anziano Gino B., nella stanza 8, vicino al termosifone bollente. Aveva sempre la febbre altissima, dal 10 febbraio circa. Lo spostano nella stanza 15, una tripla. Dopo che scoppia il Coronavirus in Italia scoprono, credo con una lastra o un tampone, che è positivo. Lo spostano in una stanza singola, la 5. Riguardo i due pazienti che gli sono stati accanto, uno è deceduto giorni fa”.
selvaggia lucarelliSELVAGGIA LUCARELLI

“Io non lo so come ci è arrivato il Coronavirus qui dentro, ma sicuramente non dai pazienti ricoverati. Qui c’è un infermiere di Casalpusterlengo che ha la mamma che fa l’infermiera all’ospedale di Codogno, mamma che aveva il Coronavirus. Il primario del Sant’Antonino si è preso anche lui il Coronavirus a febbraio e a quanto pare la figlia era stata a cena con un’amica intima della moglie del paziente 1 di Codogno.

Si è ammalato il medico F., il medico C., si sono ammalate l’infermiera S., la caposala C.,”, la fisioterapista F. e così via. “Il servizio di igiene dell’ospedale mi ha chiamato a metà marzo e aveva una lista di dipendenti parziale. Gli ho chiesto se nella lista c’era S., il dipendente di Casalpusterlengo e mi è stato risposto ‘La clinica non ci ha fornito questo nome’. Non avevano vari nomi di alcuni dipendenti malati o delle zone rosse che dovevano rimanere a casa”.

selvaggia lucarelliSELVAGGIA LUCARELLI
“Noi operatori del Sant’Antonino siamo distrutti. Lavoriamo solo per i pazienti. Non abbiamo avuto una mascherina FFP3 per fare l’ossigenoterapia per settimane, quindi ci saremo infettati tutti in quel periodo. Abbiamo visto il panico qui dentro, ma nessuno della dirigenza ha condiviso qualche informazione con noi mortali. A una riunione la mia collega N. ha detto che si sarebbe rivolta al sindacato, le hanno contestato che non era una persona seria. Il problema sanitario poteva accadere, questa omertà no”.

“I Covid li hanno spostati tutti qui alla Sant’Antonino perché a Casa Piacenza c’è la sala operatoria. Potevano quindi continuare a operare e a fatturare, qui siamo stati trattati come spazzatura. Chi si era ammalato da noi ora è mescolato con pazienti Covid mandati dagli ospedali, quindi ora si possono confondere le acque. Se Luca Baldino della Ausl vuole iniziare a indagare, parta dal paziente Gino B.”. “I problemi iniziano da prima dell’emergenza. Qui non abbiamo sapone, garze, giuste pomate per le medicazioni. Ci viene detto, da anni, addirittura di riciclare le bavaglie dove mangiano i pazienti. Qui da sempre è tutto improntato al risparmio, con cazziatoni della dirigenza continui”.
terapia intensiva coronavirus 1TERAPIA INTENSIVA CORONAVIRUS

Un’infermiera del Sant’Antonino mi racconta: “Io da un turno all’altro mi sono trovata qui 80 pazienti col Covid senza sapere come gestirli. In una settimana sono morte 20 persone. Una tizia della Ausl ci ha fatto una lezione veloce su come usare le tute, dicendoci: ‘Non dovete neppure guardarli i pazienti, sono tutte persone che moriranno'”. L’infermiera piange, mentre lo racconta. “Io li lavo, mi prendo cura di tutti, per me sono tutti come fossero mia mamma, se ne salvo uno sono contenta. Ma siamo troppo pochi qui, certe volte trovo i pannolini del giorno prima.

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Stamattina un paziente mi ha strappato l’anima. Mi ha preso la mano e mi ha chiesto: ‘Come sta mia moglie, per favore, dimmelo’. La moglie stava male, muoiono soli, come le mosche. Almeno farli morire con dignità. Se io mi lamento che serve personale, mi dicono: se non vuoi lavorare qui, quella è la porta”. “Abbiamo chiesto tamponi per settimane, si sono ammalati di Coronavirus pazienti che erano entrati a fine gennaio e poi hanno avuto sintomi a febbraio.

Se avessero fatto il tampone a tutti, avrebbero chiuso perché sarebbero rimasti senza personale”.  “Io vedo pazienti morire come pesci senz’acqua, questo è solo un posto dove vengono i pazienti molto anziani a morire, almeno un po’ di dignità per loro e di sicurezza per noi. L’Ausl deve vigilare sul rigore con cui lavora il privato, quella di Piacenza cosa fa? Qui da quando non sono entrati più i parenti, si è fatto quel che si voleva, chi ha controllato?”.

Un’addetta alle pulizie, collega della donna delle pulizie morta, mi dice: “Io lavoro alla Casa Piacenza. Sono distrutta. A me fa male respirare, mi fa male la testa, ho tanta paura, ho famiglia. Lavoravo con Monica, quindi potrei aver preso anche io il Coronavirus. Lei aveva la febbre, si è fermata qualche giorno, poi è tornata al lavoro con la febbre e alla fine è morta in casa.

Una mia collega è positiva, il marito se l’è preso anche lui da lei, è finito in ospedale. Qui il tampone lo hanno fatto a chi pareva a loro”. “Nel frattempo io andavo avanti da settimane con una mascherina che andrebbe usata 8 ore e che ho usato 1 settimana. Io non voglio morire, ho un figlio. Le mie colleghe sono tutte con le febbre, io vedevo tutti i giorni il primario e non sapevo che era malato, ho saputo che aveva il Coronavirus dopo una settimana. Idem il dottor C. e chissà quanti altri”.
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Un’altra infermiera rivela: “Non so come sia entrato qui al Sant’Antonino il Coronavirus. Prendevamo emoculture senza sapere che girava il virus. Poi un giorno scopro che è morta la madre del primario. Che il primario ha il Coronavirus. La nostra caposala è di Codogno. Hanno fatto tamponi solo ad alcuni, poi ci hanno detto che i tamponi erano finiti, ma io li ho visti in un armadietto, c’erano. La mia collega L. aveva la polmonite interstiziale. Tutti ammalati.

Qui ora ci fanno la tac, se non hai sintomi come febbre e tosse lavori anche con la polmonite. Non siamo dipendenti, siamo discarica”. “Si è ammalata ed è morta una paziente che stava nella stanza ‘Sollievo’ da 3.000 euro al mese a Casa Piacenza che non era positiva e si è presa qui il virus. Siamo due infermiere su 40 malati, non sappiamo dove girarci. Siamo carne da macello, noi e i poveri malati. Abbiamo la delibera per legare i polsi per il loro bene perché non possiamo guardarli tutti, sennò si levano l’ossigeno. Noi non possiamo fare niente, scarseggia pure l’Urbason per le terapie, alle volte lo prendo dal carrello delle urgenze. Se ci lamentiamo ci dicono che c’è la fila fuori dalla porta per lavorare lì, possiamo andarcene. Molti di noi hanno deciso di parlare e questo è un bene. I problemi qui sono esplosi col Covid, ma sono iniziati dalla gestione di Mario Sanna, prima col Dottor Agamennone qui si lavorava bene”.

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Luisa racconta: “Mia suocera è stata ricoverata il 13 marzo al Sant’Antonino con febbre e tosse. Mio marito aveva la febbre altissima, ma la Ausl non ha voluto fare il tampone. Il sabato chiamiamo e non riusciamo a parlare con nessuno. Chiamiamo tre volte ma mi dicono che non conoscono ancora bene i pazienti. La sera mi buttano giù il telefono. La domenica dicono che mia suocera risponde alle cure e di portare un cambio. Il giorno dopo non ci rispondono. Alla fine mio cognato va in clinica col cambio il giorno dopo alle 13.00. Gli chiedono il nome della signora, arriva un dottore dopo 30 minuti e lo informano che mia suocera è morta durante la notte. Nessuno ci aveva avvisati! Non abbiamo mai avuto una diagnosi, nulla. L’avranno curata per il Covid? È una cosa oscena”.
terapia intensiva coronavirus 2TERAPIA INTENSIVA CORONAVIRUS 

Silvia Bettini, di Piacenza, aveva il papà al Sant’Antonino, ricoverato il 13 febbraio. “Io l’ho visto l’ultima volta il 23. Giorni dopo al telefono mi comunicano che è ventilato. Nessuno ci dice che lì gira il Coronavirus, ma io lo scopro per vie traverse. Una sera quindi mio fratello chiama la clinica minacciandoli, dicendo ‘So cosa succede lì dentro, portate mio padre subito al pronto soccorso di Piacenza!’. Dopo mezz’ora ci chiamano dal pronto soccorso e ci dicono che mio padre era arrivato malnutrito e disidratato. Stava morendo e gli avrebbero fatto la morfina. È morto poche ore dopo, di notte. Ci hanno detto che aveva sicuramente il Coronavirus, per via di una polmonite interstiziale gravissima. Lui non ha mai avuto le cure per il Coronavirus”.

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Andrea, figlio di una donna che è stata ricoverata al Sant’Antonino, mi dice: “Mia madre era stata operata all’ospedale di Piacenza a fine gennaio e poi è andata al Sant’Antonino per la riabilitazione. Mi avevano sconsigliato tutti quella clinica. È entrata il primo febbraio ed è rimasta fino al 25, ci siamo ammalati di Coronavirus io e mia madre. Io mi sono ammalato il 26. Negavano che ci fossero casi di Coronavirus, mi arrabbiavo perché una signora che era nella stessa stanza di mia madre aveva badanti che cambiavano continuamente e venivano due volte al giorno, quando già era scoppiato il caso Codogno. Erano tutte con tosse e raffreddore, raccontavano di parenti malati. Io ci litigavo e andavo dalle infermiere a informare della situazione. Il 25 ho chiesto di dimetterla: mia madre torna a casa e resta con la badante. Il 26 io mi ammalo.

La badante il 29 mi chiama e mi dice che mamma sta male, il 118 la vanno a prendere e scoprono la polmonite. Alla fine fa il tampone ed è positiva. Io dentro al Sant’Antonino ho visto un clima terribile di paura e omertà, i medici mi dicevano ‘Non parliamo qui per favore, ci sentono!’. Hanno lasciato sani e infetti insieme a lungo, non hanno informato noi parenti del fatto che gli stessi primari e medici con cui avevamo parlato erano infetti, siamo andati tutti in giro per Piacenza malati. Loro hanno fatto delle tac a febbraio a pazienti quando hanno capito cosa succedeva, me lo ha confermato un medico lì, ma hanno scelto di non dire la verità come andava fatto e subito a tutti i coinvolti”.
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Dopo il mio primo articolo su Casa Piacenza uscito su Il Fatto il 18 marzo, alcune mie fonti nelle strutture mi hanno riferito che i responsabili delle cliniche hanno avuto un atteggiamento intimidatorio nei confronti dei dipendenti, minacciando licenziamenti se avessero scoperto le mie fonti. Riguardo la morte della donna delle pulizie Monica Rossi, la Ausl ha confermato alla sorella Marina la positività del tampone: “Ma il medico di base ha scritto che mia sorella Monica è morta di ictus e – sai cosa? – Senza aver mai visto la sua salma dopo la morte! Quando gli ho chiesto spiegazioni è stato vago e poi non mi ha più parlato”.

La risposta delle cliniche
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Tramite l’avvocato delle due cliniche coinvolte, l’avvocato Sacchelli, ho posto alcune domande scritte alla dirigenza, che mi ha fatto arrivare le seguenti risposte.
1) Avete dipendenti delle zone rosse di Codogno? Se sì, vi risulta siano stati contagiati o abbiano parenti contagiati? L’ospedale di Piacenza, che aveva un infermiere di Codogno risultato positivo, ne ha dato comunicazione già a febbraio, per trasparenza. Come vi siete comportati voi? Sì, abbiamo dipendenti delle zone di Codogno.

L’Organo preposto alla gestione delle comunicazione sulla positività di operatori o loro parenti (compresi quelli delle due case di cura) è il Servizio di Igiene dell’Ospedale di Piacenza.

2) Il vostro primario C., positivo, risulta avere un familiare, la figlia, che era stretta conoscente di un’amica della moglie del paziente uno di Codogno. Sarebbero state informazioni importanti da comunicare a parenti di pazienti e pazienti entrati in contatto col primario, per permettere di ricostruire la catena dei contagi, anche all’interno della clinica Sant’ Antonino e nelle zone di Piacenza e Codogno. L’avete fatto? L’Organo preposto alla gestione delle comunicazione sulla positività di operatori o loro parenti (compresi quelli delle due case di cura) è il Servizio di Igiene dell’Ospedale di Piacenza. Abbiamo fornito al Servizio di igiene tutti i dati che ci hanno richiesto sul caso di specie.
3) Perché non è stata comunicata la positività del primario (senza specificare la sua identità, ma più genericamente di un dipendente) e di dottori e caposala? È stato fatto tramite il Servizio di Igiene dell’Ospedale di Piacenza.
4) Perché negli altri ospedali viene comunicato per trasparenza e nell’interesse di pazienti e cittadini il numero dei dipendenti e pazienti postivi per contagio avvenuto all’nterno e voi lo tacete? È stato fatto, in numeri dei pazienti sono quelli pubblicati 80 CCPSA e 90 CCPP, i dati sono quelli dell’Asl di Piacenza di cui noi facciamo parte come Struttura Privata Convenzionata.

5) Quanti sono ad oggi i dipendenti di Piacenza e Sant’Antonino contagiati? Sono dati che ha Servizio di Igiene dell’Ospedale di Piacenza.
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6) Come commentate il comunicato interno in cui invitavate i dipendenti a lavorare anche con tac positiva e che i tamponi erano terminati? La Tac è un esame non previsto nel protocollo ma lo è il tampone. La proprietà ha dato a disposizione la Tac gratuitamente come strumento di screening a maggior tutela dell’operatore. “Operatori con Tac positive ma in assenza di sintomi”: sono gli operatori che hanno in evidenze alterazioni strutturali del polmone non sicuramente riconducibili a polmonite interstiziali da virus, ma riconducibili a patologie virali (Rino virus), influenza virus avute in precedenza.
7) Come mai non avete fatto una comunicazione al personale tra infermieri, oss e addetti alle pulizie sui numeri del contagio all’interno dell’ospedale e li avete lasciati inconsapevoli e spaventati? Come mai avete fatto tamponi solo ad alcuni dipendenti? Abbiamo seguito il Protocollo Regionale
8) Il primo caso di paziente contagiato al Sant’Antonino risulta essere il signor Gino B., aveva la febbre già a metà febbraio, perché, pare, gli è stato fatto il tampone (positivo) solo a marzo? Da quel momento avete comunicato a tutti i parenti dei ricoverati, per esempio a quelli del paziente Gino B. e Bettini (ricordiamo che l’ospedale non era Covid ai tempi) la positività? Abbiamo seguito il Protocollo Regionale.
9) E avete comunicato ad altri parenti dei pazienti contagiati, tra cui alcuni della sezione Sollievo che erano lì da moltissimi mesi, la situazione? Subito appena ricevuti i Protocolli Regionali e le disposizioni Prefettizie.
10) Alcuni dipendenti dichiarano di aver avuto disposizione di legare i polsi ai pazienti e di averlo fatto. Volete commentare? Parla delle misure di contenzione previste da qualunque protocollo Ospedaliero.
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11) Medici e Oss parlano di un personale risotto all’osso, due/tre infermieri per 40 pazienti. È un problema mondiale la carenza di operatori, il personale che c’è, sta lavorando al massimo per garantire un servizio alla comunità.
12) Come si è conclusa la vicenda dei ricoveri truccati, in cui è stata coinvolta la Clinica Piacenza? (avrebbe operato interventi in regime di ricovero seppur breve, anziché ambulatoriale, per ottenere rimborsi superiori dal servizio sanitario) C’è un procedimento in corso.
Fonte: qui