Dicono tutti che dopo le Europee il Governo non cadrà. Ma le tensioni nella maggioranza ci sono.
E ci sono quelli che lavorano per un Governo post-gialloverde.
In primis il presidente della Repubblica
I palazzi della politica italiana sono già proiettati alla mattina del 27 maggio. Quel giorno infatti si conosceranno i nuovi rapporti di forza fra Lega e Movimento Cinque Stelle. E sempre quel giorno tutti i riflettori saranno puntati sul Colle più alto, dove risiede il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Dalla sua scrivania, armato di penna e calamaio, l’inquilino del Quirinale farà di conto sulle maggioranze possibili e alternative all’attuale esecutivo gialloverde.
Risulta chiaro, ai massimi livelli, che qualcosa succederà, anche se ancora ieri Matteo Salvini e Luigi Di Maio continuavano a declamare all’unisono che «non succederà nulla dopo le Europee». Che tutto resterà invariato: i ministri, il governo, la legislatura. Né tantomeno osano pronunciare la parola «rimpasto». Non sia mai. «L’esecutivo durerà altri quattro anni, fatevene una ragione», mormorano i peones della Lega e dei Cinque Stelle.Eppure nei giorni dell’affaire Siri, dello scontro sull’autonomia e, soprattutto, dell’apertura del piddino Delrio ai pentastellati – poi smentita - su una sorta di mini-agenda che ruoterebbe attorno ai tagli della politica, alla sanità pubblica, al conflitto di interesse.
Ecco, nei giorni dell’apertura dei democrat ai grillini c’è chi sostiene che dietro ci sarebbero i piani della politica. Leggi alla voce: Quirinale. Mattarella è stato eletto per essere un notaio della Repubblica dopo il settennato più uno di Giorgio Napolitano. Tifoso della stabilità, nel corso delle famose consultazioni dopo il 4 marzo 2018 il presidente della Repubblica provò ad eterodirigere lo stato maggiore di Pd e del M5S. L’obiettivo era un esecutivo giallorosso per istituzionalizzare i grillini. Anche perché all’interno del Nazareno c’è chi ancora oggi sostiene che «I grillini sono dei compagni che sbagliano».
Il potenziale esecutivo, allora, venne annientato dal no di Matteo Renzi e dei suoi fedelissimo, ma in politica quattordici mesi rappresentano un’eternità. E di conseguenza il 27 maggio 2019 qualsiasi scenario appare non peregrino. Non a caso, si dice con una certe contezza, che «all’indomani del voto che segnerà con molta probabilità l’exploit del Carroccio il quadro politico cambierà». Come? Non è dato sapere. Di certo, in quel momento che Salvini potrà decidere se stare dentro e continuare l’esperienza di governo. Oppure se incassare e tornare al voto.
A Montecitorio sotto traccia in pochi si dicono convinti che il tappo salterà e si andrà alle urne. In primo luogo perché la finestra elettorale è ridotta. Difficile che si possa votare nel mese luglio. Né tantomeno ai primi ottobre a pochi giorni dall’invio della legge di bilancio ai commissari di Bruxelles. E allora se i due contraenti, di Maio e Salvini, dovessero decidere di rompere «il patto generazionale» la parola passerebbe al Quirinale. Pare difficile che Mattarella sciolga le Camere. E allora gli tornerebbe utile, non solo il numeroso di drappello di parlamentari che tutto desiderano fuorché tornare a casa. Sono di ogni colore, ma in particolare i tifosi della legislatura annoverano: renziani, grillozzi, berlusconiani.
Il motivo è presto detto. Le truppe del giovin fiorentino sanno bene che in caso di elezioni anticipate il neo segretario Zingaretti taglierebbe all’osso la delegazione renziana. E anche i grillini riconoscono a taccuini chiusi che «il nostro gruppo sarebbe più che dimezzato alla luce delle attuali percentuali». Per non parlare dei berluscones. Gli azzurri si augurano soltanto cosa: un governo di centrodestra o destracentro anche con Salvini premier. È questo il contesto in cui si dovrà muovere Mattarella. Il quale lavora di cesello e ha già attivato i suoi fidati uomini all’interno del Pd – su tutti il democristiano Dario Franceschini e la sua corrente – per provare a sondare sulla possibilità di un esecutivo arcobaleno con una serie di responsabili che vanno dagli ex grillini ai berlusconiani di rito antisalviniano. Sembra questo il punto di caduta. Ed è per questo che il capogruppo Delrio, in un’intervista alla Stampa, ha provato ad aprire e a fare un passo in avanti verso la galassia pentastellata. È vero, Di Maio ha risposto picche, costrigendo un imbarazzato Delrio, da par suo, a controreplicare in aula affermando che «Di Maio danneggia l’Italia». Ma in questa fase la politica è drogata dalla campagna elettorale. Il 27 maggio la musica cambierà. È questo le alte sfere della classe dirigente italiana lo sa bene. Benissimo.
Fonte: qui
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