IL PREMIER FURIOSO CON LUIGINO: “CI FAI CADERE PER DUE VOTI?”
E RIMPROVERA MATTEO: “COSÌ CI FAI FARE LA FIGURA DEI PASSACARTE”
MA IL MINISTRO DELL’INTERNO NON NE PUÒ PIÙ DEI GRILLINI: "IL 27 MAGGIO, COMUNQUE VADA, METTIAMO FINE A QUESTA STORIA”
CONTE FURIOSO CON DI MAIO: «CI FAI CADERE PER DUE VOTI?»
Adalberto Signore per “il Giornale”
«Luigi, non c' è alcuna alternativa. A meno che tu non voglia far cadere tutto per questa storia. Ma davvero vuoi sacrificare tutti noi solo per rincorrere due punti in più nei sondaggi?». Ieri il ciglio del burrone è stato così vicino che persino Giuseppe Conte ha finalmente deciso di vestire gli abiti del premier e ha alzato il telefono per cercare di riportare Di Maio a più miti consigli.
Dopo giorni di mediazioni fallite, di rimpalli di responsabilità e di ipotesi su come provare a gestire un Consiglio dei ministri dal quale inevitabilmente uno dei due alleati di governo sarebbe uscito sconfitto, Conte ha deciso di tentare l' ultima carta quando sul Blog delle Stelle è apparsa una vera e propria requisitoria in quattro punti su Armando Siri, il sottosegretario della Lega indagato per corruzione.
Una scelta «scellerata», secondo il presidente del Consiglio. Un vero e proprio «atto di guerra» a solo poche ore dal Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto dare il via libera al Decreto Crescita con la cosiddetta norma «salva-Roma» (o «salva-Raggi», come la chiamano i leghisti).
Chi ha avuto occasione di sentirlo racconta di un Conte molto irritato, ormai convinto che Di Maio sia pronto a sacrificare anche lui pur di tirare la volata al M5s in vista delle Europee del 26 maggio.
Altrimenti, è il senso del ragionamento del premier, avrebbe evitato quello che Matteo Salvini non poteva non vivere come un atto ostile. Invece è su Siri che il M5s continua a battere, nel tentativo di «sporcare» la leadership legalitaria che Salvini si è sapientemente costruito in questi anni. Non è un caso che la potente comunicazione dei Cinque stelle insista molto sui possibili legami tra l' inchiesta che coinvolge Siri e la mafia.
Per il ministro dell' Interno una vera e propria onta. Uno scontro ormai all' arma bianca. Ultimo atto di una giornata trascorsa all' insegna di chi la spara più grossa. Divisi su come trascorrere il 25 aprile, su fronti opposti sulla gestione del debito di Roma, distanti anni luce sulla gestione della vicenda Siri e in guerra pure sull' eventualità di migliaia di sbarchi dalla Libia, tra Di Maio e Salvini ormai c' è la totale incomunicabilità.
I due non si parlano neanche e Conte è costretto a tentare disperate mediazioni. Come ieri, quando non sono riusciti neanche a mettersi d' accordo su cosa discutere e quando tenere il Consiglio dei ministri, prima convocato per le 18, poi rimandato alle 19 e infine iniziato alle 20. Ma prolungatosi fino a tarda sera, perché Di Maio ci ripensa.
Prima annuncia che non ci sarà, perché impegnato in un improrogabile impegno (cioè la registrazione di Di martedì su La7), poi cambia idea e si precipita a Palazzo Chigi che sono le nove passate. In mezzo, non un dettaglio, Salvini scende in piazza Colonna e annuncia trionfante lo stralcio del cosiddetto «salva-Roma». «Decisione concordata con Conte e con chi c' era», dice ai giornalisti il ministro dell' Interno. Non a caso, in Consiglio dei ministri sono presenti tutti gli esponenti della Lega e solo Barbara Lezzi, Elisabetta Trenta e Alberto Bonisoli per il M5s.
In verità, pare che più che «concordata» la decisione sia stata «annunciata» da Salvini.
Che preso atto della defezione di Di Maio sarebbe letteralmente sbottato per poi lasciare il Consiglio dei ministri e andare ad incontrare i cronisti. Una decisione che Conte, allo stesso modo degli affondi di Di Maio, non avrebbe affatto gradito. «Una buffonata», si sarebbe lasciato scappare il premier.
Come tutta la giornata di ieri. Con il M5s che smentisce categoricamente Salvini, giura che il Consiglio dei ministri non ha discusso né il Decreto Crescita né il «salva Roma», e Di Maio che si presenta a Palazzo Chigi per riaprire il confronto. Un braccio di ferro permanente. E di cui oggi parleranno tutti i giornali.
Che Eurostat ieri abbia certificato che quasi un quarto del debito pubblico dell' area euro è targato Italia - 2.320 miliardi su 9.860 - finirà nascosto nelle pagine interne. Ma su questo dettaglio Di Maio e Salvini ieri non hanno proprio avuto il tempo di confrontarsi.
LE URLA DI CONTE E L' IRA DEL CARROCCIO " INUTILE ANDARE AVANTI DOPO LE EUROPEE"
Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”
Matteo Salvini torna al primo piano di Palazzo Chigi. In piazza Colonna ha appena annunciato a una selva di giornalisti che il "salva Roma" non esiste più. Giuseppe Conte lo blocca prima di entrare in consiglio dei ministri. «Perché l' hai fatto? Basta pagliacciate. Come ti viene in mente di farci fare la figura dei passacarte!». È livido, il premier.
Poco prima aveva voltato le spalle a Luigi Di Maio, accettando in una riunione a tre con Salvini e Giancarlo Giorgetti lo stralcio imposto dal Carroccio. È l' unico modo per salvare - forse - il decreto crescita ed evitare la crisi a trentatre giorni dalle Europee.
Adesso però capisce che l' effetto di quella sceneggiata sarà devastante. E infatti, Di Maio legge le agenzie del collega vicepremier, chiude in fretta la registrazione a "Di Martedì" e punta il muso della sua berlina verso la sede del governo. Dal quel momento saranno urla, insulti, minacce di fine mondo. L' ultima la pronuncia il ministro dell' Interno, ma è contenuta in un messaggio inviato ad alcuni ras del partito dopo le 22. «Non possiamo andare avanti con questi qua - è il senso - Il 27 maggio, comunque vada, mettiamo fine a questa storia».
Impossibile capirci qualcosa senza riavvolgere il nastro a cinque ore prima. L' orologio di Giuseppe Conte segna le 17. Con due telefonate in rapida sequenza si decide il tramonto triste e litigioso del governo populista.
«Se il Movimento insiste con la norma "salva Roma" - gli dice Matteo Salvini - io mi presento con tutti i ministri della Lega e voto contro». La seconda chiamata è diretta a Luigi Di Maio: «Non c' è alternativa, vuoi fare cadere tutto per questa storia? Sacrifichi tutto per rincorrere due punti nei sondaggi?». Il presidente del Consiglio sceglie di frenare il decreto per mettere al riparo il governo. Ma è come acqua fresca per curare l' influenza.
Quando Salvini si presenta a Palazzo Chigi per il consiglio dei ministri, Di Maio è lontano.
Furibondo. Deciso a far disertare assieme alla gran parte dei suoi ministri la riunione. Manda soltanto Barbara Lezzi, alla quale si aggiungeranno Elisabetta Trenta e Alberto Bonisoli. Il copione di quel che accade da questo momento in avanti è surreale. Anzi, crepuscolare. Il segretario leghista torna dallo strappo in piazza come se nulla fosse. La ministra per il Sud sale sulle barricate. È quello che le ha chiesto Di Maio, tenere alta la tensione finché non sarà conclusa la registrazione televisiva a cui ha preferito la riunione di governo. La grillina non si fa pregare. «Non accettiamo ricatti, vuoi far pagare a Roma i tuoi problemi politici!».
Salvini replica sprezzante. Conte osserva il disfacimento del suo esecutivo. «Serve una soluzione, gli italiani ci guardano». Alle 21 irrompe nella sala Di Maio. I due vice si rinfacciano gli scandali che hanno coinvolto la Lega e quelli che affliggono il Comune di Roma a guida pentastellata. «Per un tuo capriccio - attacca Di Maio penalizzi i romani. Ti comporti in modo allucinante. Mi accoltelli alle spalle, ma andrai a sbattere». «Continua così - replica Salvini parla quanto ti pare, ma tanto questa norma, così com' è, non passerà mai».
Nel cestino finisce l' ultimo tentativo di mediazione, una dichiarazione d' intenti da affiancare al "salva Roma", una promessa di allargare la platea dei comuni interessati durante il passaggio parlamentare. «Voteremmo comunque contro», è l' ultima parola di Salvini. Nella notte allora diventa inevitabile uno stralcio pasticciato.
Nell' aria resta la sensazione di una fine imminente. Per il segretario della Lega non si può più andare avanti. Dopo le Europee, se tutto non precipiterà addirittura prima, è pronto a dare retta ai suoi falchi, ormai la stragrande maggioranza del gruppo dirigente. «L' ho detto anche a Conte, se non esercita il suo ruolo è ovvio che salti tutto». Proprio Conte sembra il primo ad essere piegato dagli eventi.
Considera devastante per gli equilibri di governo la strategia di comunicazione imposta dallo staff di Di Maio nelle ultime settimane. «Lo capisci che non possiamo farcela, se non abbassi i toni? », l' aveva pregato prima di Pasqua. Adesso, però, non gli resta che sostenerlo, fino alla fine. Resta una variabile. E risponde al nome di Siri. Di Maio è convinto che la storia colpirà e affonderà il Carroccio. Non ne fa più mistero. Tanto che d' un tratto, verso la fine del consiglio dei ministri, fa calare il gelo quando guarda Salvini e sibila: «Continua così, fai pure. Forse non l' hai capito, ma la tua sarà una vittoria di Pirro...». Fonte: qui
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