lunedì 15 aprile 2019

IL DOSSIER DEGLI 007: SEIMILA PROFUGHI PRONTI A PARTIRE PER L’ITALIA DALLA LIBIA

NELLE INFORMATIVE CONSEGNATE AL PREMIER GIUSEPPE CONTE I RISCHI CHE IL CONFLITTO SCATENI I GRUPPI COLLEGATI ALL’ISIS 
L’INTELLIGENCE: “TEMIAMO CHE DIVENTI UNA NUOVA SIRIA”
Fiorenza Sarzanini per www.corriere.it

HAFTAR E GIUSEPPE CONTEHAFTAR E GIUSEPPE CONTE
La maggior parte vive ammassata nei centri di detenzione dove l’acqua e il cibo sono sempre più scarsi. Altri sono stipati negli edifici e nelle baracche sulla costa. E poi ci sono i detenuti stranieri. Tutti in attesa di riuscire a liberarsi e partire. L’intensificarsi dei combattimenti per la conquista di Tripoli rende più concreto e drammatico il pericolo che la catastrofe umanitaria coinvolga direttamente l’Italia. Perché è nel nostro Paese che i profughi cercheranno di arrivare in qualsiasi modo, con qualsiasi mezzo.

I rischi su quel che potrà accadere sono stati più volte evidenziati dall’intelligence nei report riservati consegnati in queste ore al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ma anche nel corso dell’audizione di fronte al Copasir del direttore dell’Aise — l’agenzia per la sicurezza all’estero — Luciano Carta. E paventano la possibilità che ci siano almeno 6.000 stranieri determinati a imbarcarsi pur di sfuggire all’inferno libico. Tra loro moltissime donne e bambini. Senza tralasciare i rischi legati al terrorismo, il pericolo che la guerra civile scateni una nuova offensiva dei gruppi legati all’Isis.

al serraj haftar giuseppe conteAL SERRAJ HAFTAR GIUSEPPE CONTE
Gli incontri segreti
Nelle ultime settimane ci sono stati diversi incontri tra emissari del governo italiano e le due parti in conflitto. Il dialogo è sempre rimasto aperto sia con il presidente del governo riconosciuto Fayez al Sarraj, sia con il generale Khalifa Haftar in una posizione «dove tutti — viene sottolineato — sono a conoscenza del nostro operato e soprattutto dell’attività di mediazione che cerchiamo di portare avanti, consapevoli che un conflitto provocherebbe conseguenze disastrose non soltanto nell’area, ma anche negli Stati del Mediterraneo, primo fra tutti l’Italia».

conte haftarCONTE HAFTAR
Ecco perché il nostro Paese continua a porsi come interlocutore in un’attività di mediazione che al momento trova «sponda leale nella Germania». E se il trascorrere delle ore fa aumentare il rischio di guerra, la tela che si sta tessendo serve a tentare di mettere in sicurezza le aziende che operano in Libia, tenendo conto che soltanto alcune hanno deciso di evacuare il personale.

Ma soprattutto perché appare più che mai necessaria la protezione dalle interferenze estere. Non a caso durante la riunione urgente che si è svolta venerdì a palazzo Chigi è stata ribadita la volontà di tenere fede a tutti gli impegni presi anche dai governi precedenti, compresa quell’autostrada che deve attraversare la Libia. Un affare che confermerebbe il ruolo chiave dell’Italia nella gestione delle «commesse».
NAUFRAGIO DI UN BARCONE IN LIBIANAUFRAGIO DI UN BARCONE IN LIBIA

Scafisti e milizie
Con il conflitto in corso e le milizie impegnate a difendere le postazioni, il controllo del territorio inevitabilmente rimane appannaggio della criminalità. Ma è pur vero che senza gli aiuti «esterni» — vale a dire finanziamenti e approvvigionamento dei mezzi — organizzare le partenze in queste ore appare complicato. Ecco perché «i trafficanti di uomini stanno cercando di organizzarsi nel reperimento di barche e gommoni», in modo da prepararsi al trasporto dei profughi in fuga.

Una situazione che lo stesso Conte ha ben presente, non a caso ha ribadito di voler «coordinare ogni iniziativa», comprese quelle legate all’arrivo delle navi nei porti italiani. Ieri il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha voluto ribadire la «linea dura» ma appare pressoché scontato che — in caso di guerra — potrebbe essere necessario non soltanto autorizzare gli sbarchi e prevedere corridoi umanitari.
NAUFRAGIO DI UN BARCONE IN LIBIANAUFRAGIO DI UN BARCONE IN LIBIA

Ai 6.000 profughi che sono già chiusi nei centri e nelle prigioni, bisogna infatti aggiungere altre migliaia di persone che erano giunte dal deserto proprio per intraprendere il viaggio verso l’Europa. Senza tralasciare — è questa l’altra incognita — la capacità della Guardia costiera libica di tenere sotto controllo quel tratto di mare, ma soprattutto la certezza che Tripoli certamente non possa essere considerato «porto sicuro».

L’esercito e l’Isis
Secondo le informazioni a disposizione dell’Aise, «Haftar può contare su un esercito composto da 25mila persone, tra loro anche molti ragazzini». Ma con l’avanzare verso la capitale può avere problemi logistici, le ultime informazioni giunte dal campo parlano di «numerose “tecniche” — i pick up utilizzati dai soldati ed equipaggiati con le mitragliatrici — rimaste ferme perché senza carburante». Proprio su queste difficoltà si cercherà di fare leva a livello diplomatico per cercare di scongiurare il conflitto finale. L’intelligence evidenzia nei dossier «la presenza tuttora massiccia di gruppi presenti nel Paese e direttamente collegati all’Isis, determinati a sfruttare la situazione di caos, pronti a trasformare la Libia nella nuova Siria».

Fonte: qui

TRUMP TELEFONA AD HAFTAR E SI CONGRATULA

Notizia: Trump ringrazia il  Gen Haftar  di “mettere in sicurezza le risorse petrolifere della Libia” mentre infuria la battaglia per Tripoli.  Il presidente USA ha parlato al telefono con Haftar all’inizio della settimana. Nel comunicato della Casa Bianca, si legge che “ha riconosciuto il ruolo significativo del feldmaresciallo (sic) Haftar  nella  lotta al terrorismo e  nel mettere  in sicurezza le risorse petrolifere della Libia”.
Si noti   che ai primi di aprile invece Mike Pompeo  aveva  dichiarato: “Ci opponiamo all’offensiva militare delle forze di Khalifa Haftar e  sollecitiamo l’immediata fermata a queste operazioni militari contro la capitale libica , “Pompeo ha detto in quel momento”.
Domani i media vi diranno che Trump ha  così punito l’Italia per la nostra adesione alla Nuova Via della  Seta. Magari il motivo vero è  che: Khalifa Haftar ha l’appoggio di Egitto, Russia, Francia; è sostenuto dai sauditi perché il “governo” Sarraj  è una enclave dei Fratelli Musulmani che loro  temono ed odiano, stesso motivo per cui al Cairo Al-Sisi preferisce la vittoria di Haftar. I sauditi, si sa, possono aver messo una buona  parola a Washington, dove hanno qualche amico (uno di nome Jared). Per di più, a Washington si sono ricordati che Haftar ha vissuto per  un ventennio negli USA (dopo  un tentativo andato a male di rovesciare Ghedafi), abitava a due passi da Langley  ed era l’agente della Cia sulla Libia.  Alla Cia si saranno ricordati di  avere ancora il suo numero, e Trump ha alzato il telefono.  Perché continuare ad essere  ostili?  Se Haftar sta vincendo, perché non riprendere i contatti?
Invece il governo Gentiloni ha sostenuto Al Serraj  su istruzioni di Obama  e di Hillary Clinton. Istruzioni ampiamente scadute, ma il nostro ministro degli esteri appartiene a quella covata, e continua ad eseguirne gli ordini. E’ una delle incredibili continuità del  governo “del cambiamento”.  Lo abbiamo riempito di motovedette perché   ci salvi dai gommoni degli scafisti. In  pratica sosteniamo la Fratellanza Musulmana in Libia. “Sosteniamo” del resto è una parola grossa. L’ ultima  lezioncina che si può apprendere è che  quando non si ha una forza armata, e quel poco l’abbiamo sparso nel mondo secondo i comandi della NATO, dell’ONU, della UE, quindi de-nazionalizzati, in quelle aree non si conta nulla.

Resta da  dire che Haftar ha più forti e solide le relazioni internazionali, di quanto ne abia all’interno.  Quasi metà dei gruppi armati nell’ovest della Libia non  sono alleati né di Sarraj né di  HAftar, ed anche i rispettivi “eserciti”  sono composti di multiple e disparate milizie.
Secondo una valutazione risalente al 2014, la Libia aveva allora circa 1.600 gruppi armati. Per questi gruppi, far parte di una potente coalizione impedisce ai rivali locali di acquisire influenza politica, militare e territoriale. La coalizione tra gruppi armati è quindi un fattore chiave per gli sviluppi sul terreno.
Non c’è “un” conflitto in Libia, ci sono più conflitti interconnessi e disconnessi. Il nostro primo avviso evidenzia quattro importanti teatri. In tutti i teatri, ci sono molte linee di faglia locali e interessi in gioco;
La principale frattura nazionale è tra il governo di National Accord (GNA) e l’esercito nazionale libico (LNA , ossia HAFTAR  ). La posizione militare della LNA è migliorata. L’uomo forte della LNA Khalifa Haftar riceve sempre più riconoscimenti diplomatici internazionali;
La Libia è principalmente una preoccupazione per l’Europa a causa delle pressioni migratorie e della minaccia terroristica. È improbabile che la Libia diventi presto un nuovo conflitto geopolitico per procura, dato che l’amministrazione Trump non ha preso grande interesse mentre il coinvolgimento russo è limitato, cauto ed economicamente motivato. I libici generalmente considerano il coinvolgimento esterno con sospetto;
L’Europa è stata divisa nel suo approccio alla Libia e una politica europea veramente integrata non è decollata. Ufficialmente, l’UE segue il processo di mediazione guidato dall’ONU. L’ex colonizzatore italiano ha sostenuto la GNA (principalmente per ridurre la migrazione) mentre la Francia ha sostenuto Haftar (principalmente per contrastare il terrorismo) che ha portato a tensioni tra entrambi i paesi dell’UE e conflitti locali in Libia;
Sono coinvolti anche attori regionali. Dei vicini della Libia, la Tunisia e l’Algeria adottano un approccio alla “grande tenda”, cercando un accordo integrale, mentre l’Egitto sostiene la LNA in vari modi. Inoltre, la spaccatura del Golfo ha un impatto sul conflitto con la parte saudita / emiratina che sostiene la LNA e la parte del Qatar / Turchia che sostiene tacitamente la GNA.

Fonte: qui

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