venerdì 24 gennaio 2020

Cosa avviene esattamente dentro un reattore a fusione nucleare


Fincantieri si aggiudica un ordine da quasi 100 milioni di euro per il progetto ITER, il reattore sperimentale che dovrebbe verificare la fattibilità scientifica e tecnologica del processo di fusione nucleare controllata necessaria per passare al reattore dimostrativo operativo, DEMO.




fusione nucleare 

AFP 

Fusione nucleare, illustrazione

Il cantiere del reattore a fusione sperimentale ITER (International Thermonuclear Experimental Reactorè a Cadarache, nel sud della Francia, ed è il frutto di una collaborazione internazionale fra Europa, Giappone, Stati Uniti, Russia, Cina, India e Corea del Sud.

Gli obiettivi che il progetto si propone sono essenzialmente due e rappresentano l’espressione più alta della tecnologia legata a questa particolare forma di produzione energetica. Ne parleremo a breve.
L’ultima importante notizia appena arrivata è che Fincantieri entra in questo importante programma che potrà offrire fra qualche decina d’anni una fonte di energia pulita, soprattutto nell’ottica ambientale, dato che essa – come avviene anche per la produzione di energia da fissione nucleare – non produrrà gas serra.

Differenza tra fusione e fissione nucleare

La fusione nucleare può essere considerata una sorta di “alternativa nucleare” alla fissione. In quest’ultima, si spezzano i legami energetici del nucleo di un atomo pesante per ottenere due suoi frammenti con restituzione di una parte dell’energia spesa per tenerli uniti; nella fusione invece si parte da nuclei di elementi leggeri per “fonderli” insieme generando nuclei di elementi più pesanti. È ciò che avviene nel Sole (e in genere nelle stelle), in cui si uniscono nuclei di idrogeno per ottenere nuclei di elio (più pesante).
Il numero di componenti liberi (cioè non legati) di un nucleo atomico (protoni e neutroni) totalizza un “peso” maggiore rispetto allo stesso numero di componenti legati nel nucleo: la differenza di massa (spesa in energia di legame) in questo caso costituirà il termine di produzione di energia nucleare da fusione.
Si dovrebbe essere più precisi e dire che in queste reazioni sono presenti anche i neutroni. Infatti, in ITER verrà utilizzata una miscela di due isotopi dell’idrogenodeuterio e trizio: il nucleo del primo è costituito da un protone insieme con un neutrone; il secondo è invece formato, oltre che dal solito protone, anche da due neutroni - opto per una migliore comprensione e semplificazione concettuale a spese di un appesantimento più rigoroso ma maggiormente tecnico. Mi sia perdonato.

Cosa serve per la fusione nucleare

Per raggiungere l’obiettivo della fusione, è necessario che i nuclei di idrogeno, che ospitano – come abbiamo visto – un protone (con carica positiva), possano avvicinarsi a piccolissima distanza da altri nuclei di idrogeno che però contano ancora altri protoni. Ciò affinché le forze nucleari possano legarli poi insieme per produrre una particella più pesante.
E qui iniziano i problemi.
Chi è che da bambino non ha mai giocato con i magneti? Questi presentano due poli, Nord e Sud e i nostri primi esperimenti scolastici ci ricordano che poli opposti si attraggono e poli omologhi si respingono. E in questo caso, è veramente difficile tenerli l’uno accanto all’altro perché è possibile verificare la presenza di una forte reciproca repulsione.
Per i protoni, che sono positivi, accade un po’ la stessa cosa: avvicinarli al punto di metterli quasi a contatto esige una forza veramente notevole a causa della repulsione. Come fare, allora?
Il riscaldamento potrebbe funzionare: il calore agita termicamente le nostre particelle e nel loro moto disordinato queste riuscirebbero forse alla fine anche a urtarsi e quindi a legarsi... ma esse rimangono pur sempre tutte positive, continueranno a respingersi, bisognerà scaldarle davvero tanto... Infatti, occorrerà arrivare almeno a un centinaio di milioni di gradi!
Quale recipiente per contenere tale processo potrà mai resistere a questa temperatura? Nessun materiale ci riuscirebbe. Ma il calore elevatissimo (e quindi l’energia) utilizzato per scaldare un gas contenente idrogeno arriverebbe a strappare l’elettrone al suo nucleo, lasciando quest’ultimo con la sua sola carica positiva (ionizzazione). Ed ecco che il gas di idrogeno, composto da moltissimi atomi, riscaldato a queste temperature si presenterebbe con due diverse correnti, una negativa di elettroni strappati al nucleo e l’altra positiva fatta dei rimanenti protoni (con carica totale nulla): il gas è diventato un plasma. Le correnti generate a questo punto sarebbero sensibili ai campi magnetici. E infatti, soltanto un campo magnetico potrà riuscire a intrappolare e confinare nelle proprie spire un plasma, mantenendolo lontano dalle pareti di contenimento.

La ricetta di un reattore a confinamento magnetico

Ed ecco ottenuta la ricetta di un reattore a confinamento magnetico, generalmente realizzata in una struttura toroidale (a ciambella, come negli impianti sperimentali chiamati “Tokamak”).
Come si può immaginare, visti i numeri che sono in gioco, per mantenere un plasma alla temperatura che permetterebbe la reazione di fusione fra nuclei di idrogeno occorrerà spendere molta energia (ma la forza con cui, una volta in reciproca prossimità, due protoni si incolleranno tra loro formando un nucleo più pesante, sarà oltre un centinaio di volte più forte di quella che li allontanerebbe per la repulsione: è la forza nucleare!).
Importante però è che l’energia prodotta dalle reazioni nucleari di fusione risulti superiore a quella spesa per ottenerla. Il rapporto fra l’energia ottenuta (o meglio, la potenza) e quella spesa si chiama fattore di guadagno (Q). Ma non è ancora sufficiente.
Purtroppo, il plasma è un oggetto molto difficile da tenere imbrigliato. E’ quindi necessario che sia stabile, cioè confinato, per un tempo adeguato. Temperatura e tempo di confinamento sono parametri essenziali per dimostrare la fattibilità della fusione nucleare.
E adesso torniamo ai due obiettivi del progetto ITER. Uno di questi è che sia possibile ottenere Q  ≥ 10 per un tempo di almeno 400 secondi e Q  ≥ 5 per cicli più lunghi o in condizioni di stazionarietà.
Il secondo obiettivo è più tecnologico ed è legato alla prova dei costituenti necessari ai reattori a fusione, come i magneti (superconduttori) o i divertori, che sono i principali componenti per lo smaltimento della potenza termica del plasma.

Il contributo dell'Italia

L'ENEA partecipa alla realizzazione di ITER attraverso l’agenzia europea Fusion for Energy, offrendo  contributi nei campi della superconduttività, della componentistica interfacciata al plasma, della neutronica, della sicurezza, dei sistemi di “remote handling” mediante bracci robotizzati e della fisica del plasma. Oltre a essere presente (e lo è storicamente) nello sviluppo della tecnologia per la fusione nei vari progetti, essa  coordina il programma nazionale di ricerca sulla fusione ed è leader nel progetto DTT (Divertor Tokamak Test), che ha ideato in collaborazione con CNR, INFN, Consorzio RFX, CREATE e alcune tra le più prestigiose università italiane. La macchina sarà installata presso il Centro di Frascati e diventerà un riferimento nazionale e internazionale nella ricerca sulla fusione.
Con l’ingresso di Fincantieri per forniture e installazioni di componentistica di alto profilo, l’Italia mantiene quindi una forte leadership nel campo della fusione nucleare. Essa contribuisce ai grandi programmi di ricerca internazionali (come ITER e DEMO, il reattore dimostrativo previsto per il 2050) ed è partner delle agenzie europee  EUROfusion e della già citata Fusion for Energy. A livello industriale, sono coinvolte a diverso titolo più di mezzo migliaio di imprese. Fonte: qui

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