ROMA «Chi vota contro il blog è fuori». Luigi Di Maio non usa mezzi termini con i suoi. Riecheggia le parole pronunciate in assemblea da Paola Taverna e inasprisce i toni contro il dissenso, che monta prepotentemente anche nella base: «Non penso avranno il coraggio, ma se qualcuno decidesse di votare per l’autorizzazione a procedere contro Salvini, sarebbe espulso all’istante. Ma ora ripartiamo. Siamo il Movimento che cambia il Paese, ricordiamocelo». Sembra parlare a se stesso Luigi Di Maio, mentre sprona i suoi a ricominciare, per ridare vigore e sostanza all’orgoglio ferito per l’ennesima capitolazione verso l’alleato/antagonista Matteo Salvini.
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Il capo del Movimento è stato costretto a usare il blog per uscire dal vicolo cieco, per rendere corresponsabile il popolo dei militanti della perdita di innocenza. Ma nonostante questo, si sente sempre più solo. E teme che la rivolta cresca, tanto che non è più tabù la parola «scissione».
Così indurisce i toni e si prepara a cambiare il Movimento, a trasformarlo in qualcosa di molto simile agli odiati «partiti», con referenti che rispondano direttamente a lui. Un modo anche per uscire dall’isolamento, visto che deve combattere la battaglia su più fronti. A partire da quello interno, dove Beppe Grillo è ormai una scheggia impazzita («nei prossimi giorni pranzo con lui», dice Di Maio), Davide Casaleggio un padre molto ingombrante, e cresce il disagio dei parlamentari vicini a Fico che si salda a quello degli «ortodossi» (Nicola Morra e Alberto Airola, tra gli altri) e alla rivolta delle sindache. Non bastasse, il suo asso nella manica per le Europee, Alessandro Di Battista, si è dimostrato un boomerang: troppi eccessi verbali e scarso gradimento nei sondaggi, tanto che dopo l’esibizione non entusiasmante a «DiMartedì» (con tanto di richiesta di applausi al pubblico), l’ex deputato si è eclissato. Contro Di Maio si è schierato il «Fatto Quotidiano», con Marco Travaglio che parla di «suicidio» del Movimento.
Di Maio sorride in pubblico ma è irritato. Soprattutto dall’ultima uscita del deputato Luigi Gallo, vicinissimo a Fico: «Non liquiderei così il voto su Salvini. Il 41 per cento degli iscritti al M5S chiede ai vertici un cambio di passo e il ritorno ai nostri principi. Il 41 per cento è un numero enorme». Va oltre, Gallo, riferendosi alle parole di Paola Taverna e alle minacce di Di Maio: «C’è qualcuno che dice che il 41% deve andarsene, qualcun altro vuole etichettarlo come dissidenza. Io so invece che il 41 per cento è pronto a mobilitarsi». E sul web scoppia la rivolta dei militanti inferociti contro il «tradimento».
Di Maio, come racconta una deputata, ha cercato di sviare l’assemblea post voto, parlando per ben tre volte: «È stata un’assemblea surreale. Si è discusso per ore solo dell’organizzazione e quasi per niente di Rousseau e di Salvini». Con un pugno di fedelissimi Di Maio si è rifugiato alle tre di notte, al ristorante La Base di via Cavour, ritrovo notturno del Movimento, per ricavare ferro e proteine da una gigantesca bistecca argentina.
E per pensare a che fare se arrivasse, come pare, una richiesta di autorizzazione per lui stesso e per il premier Conte. Di Maio potrebbe decidere di non rischiare e di non richiamare all’opera i militanti digitali con un nuovo voto su Rousseau, variabile pericolosa. Ma Roberto Fico fa sapere ai suoi: «Se una richiesta di autorizzazione arrivasse a me, io mi farei processare».
Problemi imbarazzanti per il leader maximo dei 5 Stelle, che vede accumularsi le sciagure: dopo la sconfitta abruzzese, rischia nel prossimo turno in Sardegna e le Europee promettono male. Per questo Di Maio ha puntato i piedi anche contro Casaleggio. E ha ottenuto una mezza vittoria: non la fine del doppio mandato, come aveva chiesto, ma almeno il radicamento territoriale e l’alleanza con le liste civiche. Poco, ma un appiglio almeno, per provare a uscire dall’angolo.
Fonte: qui
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