SAREBBE UNA COLPO ABBASTANZA PESANTE PER BIG PHARMA, CHE HANNO SCOPERTO QUESTE CURE E SI TENGONO BEN STRETTI I COSTOSISSIMI BREVETTI
LA SCAPPATOIA È CHE SI TRATTEREBBE DI UN PROCEDIMENTO, PIÙ CHE UN FARMACO. E INFATTI I NOSTRI OSPEDALI HANNO GIA' COMINCIATO A FABBRICARLE E A TRATTARE IN VIA SPERIMENTALE UNA TRENTINA DI PAZIENTI
Paolo Russo per “la Stampa”
Le Car-T, la nuova terapia capace di sconfiggere tumori fino ad oggi incurabili, potranno essere prodotte dai laboratori super-tech dei nostri ospedali più all' avanguardia. Una soluzione che consentirà di ridurre gli altissimi costi delle infusioni, aggirando l' ostacolo dei brevetti e dei prezzi fino a un milione di dollari, imposti dall' industria che li detiene. Una mossa che faciliterebbe l' accesso dei pazienti alle nuove cure, ma che rischia di spiazzare big-pharma e in particolare le due industrie, Novartis e Gelead, che quel metodo di cura hanno per prime scoperto.
«La sfida è di rendere fruibili ai pazienti le innovazioni come le Car-T», afferma il Ministro della salute Giulia Grillo. Che subito dopo a La Stampa scopre le sue carte: «In questo modo potremmo produrle nelle self factory dei nostri ospedali, abbattendone i costi e facilitandone l' accesso ai pazienti». E per la presidenza del Css è in pole position il professor Franco Locatelli, che le Car-T ha già iniziato a crearle nel laboratorio ultra tecnologico dell' ospedale romano Bambin Gesù di Roma, dove con le rivoluzionarie cellule reingegnerizzate degli stessi pazienti sono stati curati con successo 21 bambini affetti da leucemie prima incurabili.
In Usa, dove le Car-T sono già in commercio, il loro prezzo va dai 350 mila al milione di dollari. Costi insostenibili per i nostri ospedali. Alcuni dei quali, i più attrezzati, hanno così cominciato a fabbricarle in casa in barba ai brevetti. E in finanziaria ci sono 5 milioni per le self factory degli ospedali. Perchè le super-cellule anti-cancro non sono un farmaco che si prende dallo scaffale.
Il procedimento infatti è questo: prima si prelevano i globuli bianchi dal singolo paziente, linfociti T compresi, che poi negli impianti di produzione vengono modificati affinchè riconoscano e attacchino le cellule tumorali. Quindi le cellule vengono somministrate al paziente. Detta così sembra semplice ma non lo è, perché il processo di produzione necessita di laboratori con tecnologie molto avanzate. Per non parlare dei possibili e gravi effetti tossici della terapia, che richiedono un attento monitoraggio dei pazienti.
E proprio per ovviare a questi rischi le Car-T prodotte da Locatelli al Bambin Gesù hanno modificato lo schema originale, inserendo una specie di «gene suicida» attivabile in caso di eventi avversi. A riprova che nella nostra sanità le eccellenze non mancano. Come quelle delle 18 officine autorizzate dall' Agenzia del farmaco (Aifa) a produrre terapie avanzate, che potrebbero ricomprendere anche le Car-T. Un numero destinato a crescere perché altri ospedali, come il Gemelli e l' Ifo di Roma, si stanno attrezzando.
Il Direttore generale dell' Aifa, Luca Li Bassi, ha le idee chiare. «Le Car-T sono assimilabili a un procedimento più che a un farmaco, perché si tratta di una procedura che usa cellule autologhe del paziente, poi modificate tramite vettore virale e quindi re-infuse".
"Anche se -aggiunge- è necessario che le procedure vengano controllate dalle autorità regolatorie per garantire ai pazienti la massima sicurezza. Ed Aifa ha già iniziato questo percorso certificando diverse officine per la terapia genica cellulare».
Una mossa che, come sottolinea lo stesso Li Bassi, consentirà di contenere i costi, ma anche di superare il collo di bottiglia della produzione, che oggi non va oltre i 500 trattamenti nel mondo. Pochi per terapie che, come spiega il Professor Locatelli «hanno dimostrato rilevante efficacia clinica nelle leucemie linfoblastiche acute e nei linfomi non-Hodgkin a grandi cellule B. Mentre sono in corso studi nella cura del mieloma multiplo e nelle neoplasie solide, come il neuroblastoma, il tumore extracranico più frequente dell' età pediatrica». Intanto i primi risultati sono incoraggianti. I pazienti trattati in via sperimentale in Italia sono già una trentina. Con remissione della malattia nel 50% dei casi. E la strada per accedere alle nuove terapie salva-vita è pronta ad essere allargata.
Fonte: qui
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