sabato 13 giugno 2020

LE FALLE NELLA DIFESA DI CONTE SULLE MANCATE ZONE ROSSE A NEMBRO E ALZANO: TUTTI LO AVEVANO AVVISATO SU COSA STAVA SUCCEDENDO. MA IL PREMIER HA PERSO TEMPO.


E DAVANTI ALLA PM DI BERGAMO FA LO SCARICABARILE: “UNA SCELTA CONDIVISA CON LA REGIONE LOMBARDIA”.

MA SE DOVESSE EMERGERE CHE LA VAL SERIANA ANDAVA CHIUSA PER EVITARE LA STRAGE, CONTE POTREBBE USCIRNE CON UN AVVISO DI GARANZIA.

CON O SENZA FONTANA.

Giuseppe De Lorenzo Andrea Indini per il Giornale

Tre ore di faccia a faccia con la pm di Bergamo Maria Cristina Rota. Durante l'audizione a Palazzo Chigi per far luce sulla mancata zona rossa in Val Seriana, il premier ha ribadito quanto detto in questi mesi e quanto fatto trapelare sui giornali.

E cioè che Regione Lombardia avrebbe potuto agire in autonomia, se solo lo avesse voluto. E che se il governo non si mosse, fu solo perché stava per chiudere l'intera regione. Ma per quanto provi a scaricare le colpe sul Pirellone, non basterà al premier trascinare con sé Attilio Fontana o Giulio Gallera negli abissi della giustizia per sottrarsi da una eventuale incriminazione per "epidemia colposa". C’è una falla nella strategia difensiva di Giuseppe Conte. E questo l'avvocato Giuseppi Conte deve sicuramente saperlo.

ospedale pesenti fenaroli di alzano lombardo ospedale pesenti fenaroli di alzano lombardo

La linea del presidente del Consiglio si dipana infatti lungo due direttive: da un lato sostiene che "in caso di urgenza e necessità la Regione poteva procedere autonomamente, come effettivamente è avvenuto in seguito e come hanno fatto altre Regioni"; dall'altro mette agli atti che si decise di aspettare perché "intanto era maturata una soluzione ben più rigorosa, basata sul principio della massima precauzione, che prevedeva di dichiarare 'zona rossa' l'intera Lombardia e tredici Province di altre Regioni".

alzano lombardo alzano lombardo

In fondo, la sua ricostruzione dei fatti Conte l'aveva già "consegnata" il 6 aprile al Fatto Quotidiano in una intervista pubblicata pure sul sito della Presidenza del Consiglio destinata a infuocare la polemica politica.

Per quanto riguarda la decisione di non intervenire, Conte disse: "La sera del 3 marzo il Comitato tecnico scientifico propone per la prima volta la possibilità di una nuova zona rossa per i comuni di Alzano Lombardo e Nembro. Ormai vi erano chiari segnali di un contagio diffuso in vari altri comuni lombardi, anche a Bergamo, a Cremona, a Brescia. Una situazione ben diversa da quella che ci aveva portato a cinturare i comuni della Bassa Lodigiana e Vo' Euganeo.

alzano lombardo nembro alzano lombardo nembro

Chiedo così agli esperti di formulare un parere più articolato: mi arriva la sera del 5 marzo e conferma l'opportunità di una cintura rossa per Alzano e Nembro. Il 6 marzo, con la Protezione civile, decidiamo di imporre la zona rossa a tutta la Lombardia. Il 7 marzo arriva il decreto". Nella stessa occasione tentò, infine, di scaricare la colpa su Regione Lombardia che "non è mai stata esautorata dalla possibilità di adottare ordinanze proprie, anche più restrittive, secondo la legge 833/1978".

Il punto è che il premier dovrà trovare argomenti più sostanziosi per convincere la Rota a non indagarlo. In una nota, infatti, la pm di Bergamo ha spiegato che la Procura in una prima fase cercherà di ricostruire quanto accaduto (per questo sono stati ascoltati come persone informate sui fatti sia i ministri sia gli amministratori locali); e poi punterà ad "accertare se vi sia stato nesso di causalità tra i fatti come ricostruiti e gli eventi e, in caso affermativo, stabilire a chi fanno capo le responsabilità". Tradotto: se dovesse emergere che la Val Seriana, sulla base dell'andamento epidemiologico, andava chiusa per evitare la strage, bisognerà capire di chi era il compito di prendere una decisione del genere.

giuseppe conte contestato sotto palazzo chigi giuseppe conte contestato sotto palazzo chigi

Certo, Conte tenterà (ancora una volta) di appellarsi al fatto che "anche" la Lombardia avrebbe potuto istituire la zona rossa (cosa tutta da dimostrare, visto che anche per la pm quella era "una decisione governativa").

Ma questi sono scaricabarili che valgono in politica, non in Tribunale. Perché, anche qualora i magistrati ritenessero doveroso indagare pure Fontana, alla sbarra dovrebbe comunque finire anche il governo. Se infatti oggi vi sono ancora fortissimi dubbi sul fatto che il Pirellone potesse blindare Alzano Lombardo e Nembro, è ormai appurato che quel potere il governo lo aveva eccome.

Non solo perché attraverso il Viminale gestisce le forze dell’ordine. Ma anche perché governativa fu la decisione di chiudere Codogno e il basso Lodigiano. Se quindi quel fascicolo per epidemia colposa, per ora a carico di ignoti, dovesse trasformarsi in qualcosa in più, allora Conte potrebbe davvero uscirne con un avviso di garanzia. Con o senza Fontana.

Se ripercorriamo a ritroso quei giorni terribili, emerge infatti come tutti quanti abbiano cercato di far capire in lungo e in largo a Conte che la Val Seriana andava chiusa. Gliel'ha messo per iscritto il 2 marzo l'Istituto superiore di sanità, consigliandogli di intervenire anche su Brescia. Glielo ha ribadito il giorno dopo, il 3 marzo, il Comitato tecnico scientifico spiegandogli che ormai, in quelle zone, "l'R0 è sicuramente superiore a 1" e che questo basta a credere abbastanza alto il "rischio di ulteriore diffusione del contagio".

maria cristina rota a palazzo chigi 1 maria cristina rota a palazzo chigi 

E glielo hanno ripetuto a non finire i vertici di Regione Lombardia che, nelle continue telefonate a Palazzo Chigi, continuavano a segnalare situazioni al limite nel Lodigiano, in Val Seriana, nel Bresciano e nella provincia di Cremona. Il 4 marzo però il premier ha ulteriormente temporeggiato, inviando al Cts una richiesta di approfondire i motivi della loro richiesta di istituire una zona rossa.

giuseppe conte al telefono giuseppe conte al telefono

Brusaferro ha risposto il giorno dopo, il 5 marzo, in una nota: "Pur riscontrandosi un trend simile ad altri Comuni della Regione - scriveva - i dati in possesso rendono opportuna l’adozione di un provvedimento che inserisca Alzano Lombardo e Nembro nella zona rossa".

Che il governo fosse indeciso lo dimostrano sia le richieste di Conte di "ulteriori elementi per decidere se estendere la zona rossa" sia l'invio di trecento uomini all'imbocco delle valli bergamasche.

I militari erano pronti a chiudere tutto, ma poi sono stati richiamati indietro. Dove sta, dunque, la verità su quella settimana di black out? Dove stava guardando il premier? Perché ha tentennato tanto? I numeri li aveva lì, sul suo tavolo a Palazzo Chigi, ma non si è mosso.

Fonte: qui

“LE MANCATE ZONE ROSSE A NEMBRO E ALZANO? EMERGEVA RESPONSABILITÀ DEL GOVERNO, OGGI... NON AGGIUNGO ALTRO”

PARLA LA PM MARIA CRISTINA ROTA CHE HA SENTITO IL PREMIER E I MINISTRI SPERANZA E LAMORGESE A PALAZZO CHIGI

SALVINI DIFENDE FONTANA: “LA REGIONE LOMBARDIA SULLE ZONE ROSSE NON HA RESPONSABILITA’”

Da repubblica.it

La pm di Bergamo Maria Cristina Rota ha raccolto oggi a Palazzo Chigi a Roma - dopo tre ore di audizione - la deposizione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, come persona informata sui fatti, nell'inchiesta sulla mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro nel Bergamasco.

"Le audizioni si sono svolte in un clima di massima distensione e di massima collaborazione istituzionale", ha detto la pm al termine dell'incontro durante il quale oltre ad aver sentito il premier, ha ascoltato anche i ministri Roberto Speranza e Luciana Lamorgese, sempre come persone informate sui fatti.

La magistratura ha acceso un faro per capire se istituire la zona rossa spettasse al governo o alla Regione o a entrambi, se ci siano o meno responsabilità penali e se il non aver isolato i due Comuni, dove già dalla fine di febbraio i contagi erano cresciuti i maniera esponenziale, sia stata una delle cause che ha portato all'alto numero di morti in Val Seriana e nelle sue Rsa, altro tema di indagine assieme a quello del caso dell'ospedale di Alzano.

Sulla vicenda la magistrata ha dovuto precisare con i giornalisti una sua dichiarazione del 29 maggio. "Lei aveva detto che la zona rossa era responsabilità del governo?, le è stato chiesto dai giornalisti. "No. Avevo dichiarato che dalle dichiarazioni che avevamo in atto c'era quella in quel momento. Oggi non ho altro da aggiungere". Ci saranno indagati? Nessun commento, solo un "no, no" allargando le braccia.

Concluse le audizioni romane i pm bergamaschi, che sulla vicenda hanno già sentito tra gli altri il presidente della Lombardia Attilio Fontana e l'assessore al Welfare Giulio Gallera, dovrebbero cominciare a tirare le fila e stabilire se si sia trattato di atti da incasellare in scelte politiche o se ci siano o meno responsabilità penali, quale sia l'ipotesi di reato di certo non facile da formulare e in capo a chi.

Nell'eventualità in cui si dovessero ipotizzare responsabilità a carico di esponenti del governo durante l'esercizio della funzione, il procedimento dovrebbe essere trasmesso al Tribunale dei ministri del distretto e quindi a quello che ha sede presso la Corte d'Appello di Brescia.

Quel che è certo, comunque, è che la ricostruzione sulla mancata zona rossa servirà a inquirenti e investigatori per avere un quadro di fondo per proseguire con gli altri filoni di indagine, quella sull'anomala riapertura del pronto soccorso dell'ospedale di Alzano lo scorso 23 febbraio e le morti nelle Rsa bergamasche.

Le reazioni

Il primo a commentare l'audizione di Conte è il leader della Lega Matteo Salvini che, da Palermo, afferma: "La Regione Lombardia sulle zone rosse non ha alcuna responsabilità. Uso le parole del pm che ha detto che il controllo spettava al governo. A casa mia per presidiare una zona devi mandare i militari e l'Esecito che dipendono dal governo, quindi, non posso essere accusato di utilizzare i magistrati perché di solito accade il contrario. Però sto al pm di Bergamo", aggiunge. Fonte: qui


LA LAMORGESE METTE NEI GUAI IL GOVERNO

LA CIRCOLARE DELLA MINISTRA DELL'8 MARZO ERA CHIARA: ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA ERANO DI ESCLUSIVA COMPETENZA STATALE E LE DECISIONI SULLE ZONE ROSSE VENGONO ADOTTATE ''ESCLUSIVAMENTE DALL' AUTORITÀ NAZIONALE E PROVINCIALI DI PUBBLICA SICUREZZA''.

LA LOMBARDIA MAGARI NON AVRÀ LANCIATO ULTIMATUM (ANCHE SE FONTANA DA GIORNI CHIEDEVA CHE TUTTA LA LOMBARDIA DIVENTASSE ZONA ROSSA), MA IL GOVERNO…

Lorenzo Mottola per ''Libero Quotidiano''

Comunque vada, Giuseppe Conte la sua partita l' ha già persa. Negli ultimi mesi il governo ha fatto di tutto per scaricare sulle istituzioni locali (e a volte anche sui medici, come nel caso di Codogno) le responsabilità per alcuni errori commessi durante l' emergenza. E sull' onda del suo brevissimo e bizzarro momento di popolarità mediatica, il premier ci era anche riuscito, sfruttando il nostro caotico ordinamento costituzionale, che spesso non consente di individuare con chiarezza i limiti tra i poteri statali e regionali. I nodi, però, vengono sempre al pettine.

Oggi l' avvocato sarà costretto a giustificarsi di fronte ai magistrati della Procura di Bergamo, calati su Roma per interrogare lui, i ministri Speranza e Lamorgese e i dirigenti dell' Istituto Superiore di Sanità. Verrà sentito questa mattina come persona "informata sui fatti" per la mancata istituzione della zona rossa nella provincia di Bergamo, ben sapendo che il magistrato a capo dell' inchiesta, Maria Teresa Rota, ha già chiarito di ritenere che fosse di Palazzo Chigi la responsabilità.

LUCIANA LAMORGESE LUCIANA LAMORGESE

D' altra parte la linea difensiva che il premier riproporrà oggi di fronte ai pm - dopo averla sbandierata a mezzo stampa per settimane - fa decisamente acqua: «Anche la Regione poteva istituire la zona rossa, come previsto dall' articolo 32 della legge 23 dicembre 1978 n.833». Una tesi che non regge, vediamo perché.

LA COSTITUZIONE

Prima di tutto, l' interpretazione della norma non è corretta. Come spiegato dall' ex giudice dalla Consulta Sabino Cassese, l' articolo citato dall' avvocato pugliese fa riferimento a decisioni ordinarie "in materia di igiene e sanità pubblica", ma in questo caso ci troviamo sicuramente di fronte a una "profilassi internazionale", ovvero alla necessità di arginare un' epidemia. E l' articolo 117 della Costituzione (lett. "q") chiarisce che questa è competenza dello Stato al 100%, senza discussioni.

D' altra parte, questa tesi fino a marzo pareva essere condivisa da chiunque anche all' interno della maggioranza. Il ministro Boccia aveva dichiarato in un' audizione alla Camera che «in caso di emergenza nazionale decide lo Stato» e «spetta allo Stato e solo allo Stato intervenire».

Nessun dubbio anche per il ministro degli Interni Luciana Lamorgese, che l' 8 marzo, in un passaggio della circolare diffusa per chiarire alle prefetture i contenuti del decreto con il quale l' intera Lombardia veniva dichiarata "zona rossa", spiegava che «va rilevata l' esigenza che in ogni caso, e soprattutto in questo delicato momento, non vi siano sovrapposizioni di direttive aventi incidenza in materia di ordine e sicurezza pubblica, che rimangono di esclusiva competenza statale e che vengono adottate esclusivamente dall' autorità nazionale e provinciali di pubblica sicurezza». Di cosa si parla? Ma ovviamente delle ordinanze per «evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori in questione, nonché all' interno dei medesimi».

Da notare: Attilio Fontana non ha a disposizione forze di polizia. E la prefettura, come spiega il documento, aveva l' ordine di ascoltare solo le disposizioni di Roma. Come avrebbe potuto il governatore fermare le valli bergamasche senza militari e poliziotti? In pratica si sarebbe dovuto mettere personalmente a fermare le auto per strada con Giulio Gallera.

IL DOSSIER DELL' ESECUTIVO

A peggiorare la situazione di Conte, poi, ci hanno pensato proprio i suoi consulenti sanitari. Il giurista foggiano nei giorni scorsi ha realizzato un dossier che verrà presentato oggi ai magistrati. La tesi di fondo: fermare Alzano e Nembro era inutile, perché ormai il contagio era troppo diffuso in Lombardia. Meglio chiudere tutta la Regione. Gli esperti di Palazzo Chigi, però, avevano dato indicazioni diverse. Il presidente dell' Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro è stato sentito dai pm e ha detto di aver ben chiarito in una serie di documenti spediti alla presidenza del Consiglio i rischi che avrebbe comportato una mancata chiusura delle valli bergamasche, consigliando di fermare tutto nei primi giorni di marzo.

giuseppe conte attilio fontana 1 giuseppe conte attilio fontana 

Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, lo ha ripetuto anche ieri su Raitre ad Agorà: «Noi abbiamo sollevato l' attenzione sulle aree dove c' era il numero maggiore di casi e sono state fatte, con una tempistica stringente e non perdendo assolutamente tempo, tutte le analisi che hanno permesso al decisore politico di fare le scelte del caso». Invece sono stati persi vari giorni. Va notato, infatti, che il livello di "sicurezza" della zona rossa regionale istituita l' 8 marzo non è certo stato quello di Codogno, ovvero uno stop completo, che verrà deciso solo il 22 marzo. Ed è questo ciò che gli esperti di Palazzo Chigi avevano chiesto.

 

FREGATO DAI SUOI

Locatelli e Brusaferro, come ormai noto, avevano proposto le loro tesi già in un importante vertice il 3 marzo, chiedendo la serrata (il primo marzo il governo aveva emanato un altro DPCM per modificare lo status delle zone rosse e arancioni, mantenendo quindi il pieno controllo sulla pratica). All' incontro era presente anche un emissario lombardo: l' assessore Gallera, il quale aveva a sua volta espresso parere positivo alle chiusure. Tutti d' accordo, insomma, compreso il ministero della Salute.

E tutti si aspettavano che il giorno dopo la prefettura predisponesse i posti di blocco. In effetti quest' ordine viene dato da Roma e l' esercito si prepara a fermare i collegamenti. Dopodiché nel giro di 24 ore arriva un contrordine dal governo, che continuerà a lasciare libera la circolazione.

FONTANA E CONTE FONTANA E CONTE

Al termine del vertice pareva chiaro che si sarebbe proceduto con un ordine governativo, esattamente come successo a Codogno. Tornare a Milano e emanare un' ordinanza identica sarebbe stato da pazzi, tanto più che la Regione ha sempre cercato di mantenere buono (o almeno, decente) il rapporto con Roma nelle prime fasi. Le cose da allora sono molto cambiate.

 

LA DIFESA DI PALAZZO CHIGI E DEL VIMINALE LAMORGESE: NON SPETTAVA A ME DECIDERE

Marco Conti e Cristiana Mangani per il Messaggero

Oggi è il giorno, quello in cui i pm di Bergamo interrogheranno il premier Giuseppe Conte e a seguire i ministri Roberto Speranza e Luciana Lamorgese. È il giorno in cui il governo in carica si troverà per la prima volta a dover affrontare una inchiesta giudiziaria, con interrogatori come persone informative sui fatti. Fatti particolarmente dolorosi che hanno portato alla morte di centinaia di persone.

L'ORDINE

SILVIO BRUSAFERRO SILVIO BRUSAFERRO

E allora la linea che i tre rappresentanti dell'esecutivo hanno pensato di tenere è diversa tra loro, proprio perché diversi sono i ruoli che rivestono. La titolare del Viminale aveva già spiegato che, come responsabile dell'ordine pubblico, aveva inviato 250 uomini delle forze dell'ordine, oltre ai militari di Strade sicure, e che erano pronti a chiudere e a cinturare le zone di Alzano e Nembro, ma che l'ordine non è arrivato. Ai magistrati potrebbe decidere di dire che non spettava a lei definire una zona rossa e che non aveva voce in capitolo per farlo. E che quanto era di sua competenza è stato fatto.

Diversa la posizione di Conte e Speranza, anche se in più occasioni è stato chiarito, da parte loro, che le regole sono state rispettate e che si è intervenuti tempestivamente. E comunque che, se la regione Lombardia, avesse voluto emanare ordinanze restrittive avrebbe potuto farlo in base alla legge 833 del 78, così come avevano fatto altre regioni.

Nel frattempo, i pm hanno già ascoltato il presidente dell'Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, e ieri Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza e ordinario di Igiene generale e applicata all'Università Cattolica. Entrambi hanno ricostruito le fasi dell'emergenza, quando il Comitato tecnico scientifico del Dipartimento della Protezione civile aveva ritenuto necessaria la chiusura della zona, focolaio già il 3 marzo. A quel punto, Conte aveva chiesto approfondimenti per capire se fosse sufficiente isolare l'area o l'intera Lombardia. E il 5 marzo Brusaferro aveva dato il suo parere, e cioè che sarebbe bastato chiudere i due comuni. Poi, invece, il decreto ha trasformato l'intera Lombardia e altre 14 province in zona rossa, e il decreto è entrato in vigore lunedì 9 marzo.

Il lavoro dei magistrati è proseguito anche nella raccolta del materiale, come carteggi, verbali interni del comitato tecnico scientifico della Protezione Civile, delibere e Dcpm, per ricostruire passo a passo cosa sia accaduto esattamente dal 3 al 7 marzo. Alla ministra Lamorgese verrà anche chiesto come si è svolta l'interlocuzione con il prefetto di Bergamo, quando in quei giorni si decise il rinforzo del personale chiamato a presidiare l'area che poi non venne più chiusa.

Il presidente del Consiglio verrà ascoltato in mattinata. Ieri a palazzo Chigi si faceva sfoggio di estrema tranquillità anche se la coincidenza dell'arrivo a Roma dei pm con gli Stati generali che domani iniziano a Villa Pamphilj, ha fatto storcere il naso al presidente del Consiglio che pensava di aver già spiegato come si arrivò alla scelta di chiudere tutta la Lombardia. Il problema per Conte è che il presidente della Lombardia Fontana e l'assessore Gallera, sentiti come testimoni, hanno sostenuto con i pm che ribadito che sulla questione della possibile chiusura di alcuni comune, la Regiona fece un passo indietro sapendo che il governo aveva già mobilitato i soldati. Argomento che però potrebbe non sollevare il governatore dalla responsabilità di non aver agito pur avendone il potere.

Fonte: qui


INDUSTRIE APERTE DURANTE IL CONTAGIO LA NUOVA INDAGINE SULLA VAL SERIANA

Paolo Russo per “la Stampa”

 

coronavirus fabbrica1CORONAVIRUS FABBRICA

La mancata proclamazione della zona rossa in Val Seriana non sembra più essere la sola questione al centro dell'attenzione della Procura di Bergamo, che sta acquisendo i documenti necessari a capire perché, in un arco temporale molto più ampio, che va dall'8 al 23 marzo, nelle fabbriche della Bergamasca e del Bresciano si continuasse a lavorare a pieno ritmo.

 

Nonostante medici e scienziati chiedessero a gran voce di «chiudere tutto e subito». Gli inquirenti per ora hanno acquisito l'appello congiunto di imprese e sindacati, che il 27 febbraio chiedevano «di riavviare tutte le attività ora bloccate».

 

Un pressing che è durato a lungo, specie da parte degli imprenditori, fino alla serrata totale decisa dal governo il 23 marzo, mentre Cgil, Cisl e Uil Lombardia si sono smarcati il 12 marzo, con la nota unitaria "Prima la salute".

 

coronavirus fabbricaCORONAVIRUS FABBRICA

Quel che la Procura cercherà di capire è cosa possa aver indotto imprese, governo e regione a far continuare a muovere 500 mila lavoratori nelle due province martiri dell'epidemia. Con effetti difficili da quantificare, ma certamente più gravi della ritardata chiusura di 5 giorni della Val Seriana, quelli che vanno dall'allarme lanciato il 3 marzo del comitato scientifico fino alla proclamazione della Lombardia "zona arancione" dell'8 marzo.

 

alzano lombardoALZANO LOMBARDO

Il blocco delle imprese, infatti, arriva soltanto il 23 marzo, perché il lockdown proclamato il 10 aveva chiuso gli esercizi commerciali, ma lasciato libere le aziende di continuare a produrre. Comprese le 84 mila di Bergamo nelle quali lavorano 385 mila dipendenti e quelle di Brescia, per un totale di 107 mila ditte e 402 mila lavoratori impiegati.

 

Due province che già allora contavano oltre 8.000 contagi, uno su cinque di quelli rilevati all'epoca in tutta Italia. «State a casa», ripetevano ossessivamente governo, medici e scienziati. Più facile dirlo che farlo nelle due delle province d'Europa a più alto tasso di produttività. E infatti era la stessa Confindustria Lombardia a confidare che il 73% di piccole, grandi e medie imprese stava andando avanti, come del resto in tutta la regione.

 

coronavirus fabbrica2CORONAVIRUS FABBRICA2

Come dire che nelle aree più epidemiche ben mezzo milione di lavoratori continuava a fare avanti e indietro casa-lavoro, anche se poi in fabbrica si è cercato di sanificare e modificare le linee di produzione per garantire quel famoso metro di distanziamento sociale. A Brescia nel settore industriale vero e proprio furono raggiunti 63 accordi per la sicurezza anti-Covid sul lavoro.

 

A Bergamo soltanto 2. Briciole rispetto al mare di imprese delle due province. Che non potesse bastare per contenere la crescita esponenziale dei contagi lo pensavano i tecnici del comitato scientifico, che suggerirono a Conte di «fermare tutto salvo le filiere che producono beni di consumo essenziali». Che è quanto poi decise il Governo. Ma solo 15 giorni dopo la zona arancione lombarda.

 

coronavirus fabbricaCORONAVIRUS FABBRICA

Nonostante il Presidente dell'Ordine dei medici di Milano, Roberto Carlo Rossi, affermasse che «mandare avanti la produzione fosse un gravissimo errore» e chiedesse di «chiudere tutto», considerando «una follia vedere ancora capannoni e cantieri pieni di gente». Gli inquirenti cercheranno ora di capire se ci siano state delle responsabilità dietro quella «follia». Che nelle due province fece andare avanti aziende tutt' altro che essenziali, come quelle di chiusure industriali per capannoni, verniciature, calcestruzzi, strumenti elettronici. Ma anche di armi o di lussuosi bolidi. Mentre molto più lentamente sfilavano via da Bergamo i camion pieni di bare.

fabbrica coronavirus 2FABBRICA CORONAVIRUS 

 

"ABBIAMO SOLO PROVATO A EVITARE LA CHIUSURA DI TUTTE LE AZIENDE MA POI HANNO DECISO I POLITICI"

Francesco Rigatelli per “la Stampa”

 

«Ammesso e non concesso che noi industriali abbiamo fatto pressioni per tenere aperte le aziende, al dunque siamo rimasti impotenti davanti alle scelte della politica». Marco Bonometti, 65 anni, presidente di Confindustria Lombardia e di Officine meccaniche rezzatesi, esce da un periodo nero per le aziende del Nord, mentre gli ultimi dati sulla produttività non promettono niente di buono.

marco bonometti 1MARCO BONOMETTI 

 

Col senno di poi è stato un errore fare pressione contro la zona rossa di Bergamo? «Nessuna pressione. Di quella zona rossa non si è mai parlato nei dettagli, l'idea era di chiudere le province di Bergamo e di Brescia, ma il governo ha optato per l'intera Lombardia.

 

Le decisioni in quel momento difficile, ma facile da analizzare col senno di poi, le ha prese l'esecutivo e noi imprenditori le abbiamo seguite».

 

coronavirus fabbrica 3CORONAVIRUS FABBRICA 

Ma l'11 marzo non si incontrò con Fontana per chiedere di lasciare aperte le aziende?

«Ci incontrammo per un protocollo d'intesa per permettere alle aziende che potevano continuare senza mensa, con le distanze, con le protezioni e con lo smart working di farlo. Abbiamo sempre salvaguardato le attività essenziali, dal settore alimentare al farmaceutico. Senza la Dalmine sarebbero finite le bombole d'ossigeno».

 

marco bonomettiMARCO BONOMETTI

Non sono rimaste aperte molte aziende oltre a quelle essenziali?

«Tutte quelle che non potevano rispettare le regole si sono fermate. Gli imprenditori hanno messo al primo posto la salute, ma va considerato che per alcune aziende non essenziali legate a filiere internazionali questo significa perdere commesse e chiudere per sempre, come purtroppo dimostrano gli ultimi dati».

 

In che senso?

«Nel primo trimestre la produzione industriale segna -10, mentre ad aprile arriva a -44 e a maggio a -33. La situazione è drammatica: cala il fatturato, la liquidità viene meno e saltano i posti di lavoro».

 

Un problema solo italiano?

«In tutto il mondo le persone si sono abituate a consumare meno, la produzione rallenta e i lavoratori sono in eccesso. Il coronavirus ha portato la decrescita infelice».

 

Il presidente di Confindustria Bonomi parla di un milione di disoccupati in più entro l'anno e lei?

matteo salvini marco bonomettiMATTEO SALVINI MARCO BONOMETTI

«È ottimista, solo ad oggi sono 400 mila. Se va bene ci vorranno un paio d'anni per tornare ai livelli di prima».

 

Dunque si può recuperare?

«Sì, ma bisogna affrontare i limiti storici italiani di competitività, infrastrutture e burocrazia. Le priorità sono la liquidità per non fare fallire le aziende, gli investimenti bloccati dalla burocrazia e gli incentivi per il mercato interno come l'auto».

 

Meglio il governo Conte o un nuovo esecutivo per gestire l'emergenza?

bonomi conteBONOMI CONTE

«Basta un qualsiasi governo che agisca e metta al centro l'impresa. Solo rilanciando le aziende usciremo dalla crisi, mentre ora le si vuole accusare di aver aiutato il contagio».

 

La Lombardia tornerà ad essere la locomotiva d'Italia?

«Bisogna sperarlo per tutto il Paese. Se c'è una regione in grado di trainare l'Italia questa è la Lombardia. Però serve un potenziamento del sistema sanitario territoriale per evitare un ritorno del contagio. Non ci possiamo permettere una seconda ondata». Fonte: qui

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