giovedì 6 aprile 2017

Così lo Stato fa più danni dello spread

Il principe Carlo si è recato ad Amatrice. E non ne avrà ricavata una buona impressione su come si comporta lo Stato italiano di fronte alle emergenze

Come volevasi dimostrare, i minacciosi strali di Donald Trump sui dazi si sono rivelati un'arma spuntata nell'arco di 48 ore. E non tanto per l'extrema ratio paventata dall'Ue di rivolgersi alla Wto, quanto per ciò che vi dicevo la settimana scorsa: è stata la cosiddetta corporate America a dire al suo presidente che quella scelta rischia di rivelarsi un'arma a doppio taglio molto pericolosa. Il colosso delle motociclette Harley-Davidson, seppur di recente invitata alla Casa Bianca, è uscita allo scoperto contro le barriere verso gli scooter europei, mentre in Iowa, dove con mais e macchinari si contano più suini che persone (sette a uno), i metaforici forconi sono stati impugnati: lo spettro che guerre commerciali ostacolino il suo export - 13 miliardi l'anno per il 12% agricolo, 8 miliardi verso l'Asia oltre che il Messico - ha spinto le sue associazioni imprenditoriali hanno invitato l'amministrazione a «utilizzare estrema cautela». Nella sola carne di maiale in gioco ci sono 100 milioni di export l'anno verso il Messico. In California l'enorme produzione agricola in arrivo dal Sud, a cominciare dagli avocado, sostiene la domanda a vantaggio anche di produttori locali oggi in armi. E Wisconsin, patria del formaggio e Texas, che con il Messico ha un surplus, hanno messo in chiaro di aver molto da perdere. 
Insomma, una cosa è urlare America First nei microfoni, un'altra fare davvero l'interesse del Paese. Eppure, per due giorni i media sembravano impazziti, sembrava che l'economia italiana fosse sotto attacco, quasi colpita al cuore dalle mosse della Casa Bianca: bastava ragionare e quell'allarme sarebbe stato ridimensionato nella culla. Ma dopo, con cosa si riempiono i giornali? I problemi reali, forse? Ci sono infatti altri segnali molto gravi che si lasciano passare come se nulla fosse, sintomi di una malattia chiamata Italia che pesano più del Pil, della disoccupazione, dello spread e della manovra correttiva: l'incapacità di dare risposte ai cittadini nell'emergenza, l'assenza ontologica di credibilità dello Stato. 

Nel fine settimana, il principe Carlo d'Inghilterra è stato in visita ad Amatrice, di fatto città martire del terremoto che lo scorso agosto ha colpito il Centro Italia: nonostante lo sgarbo istituzionale del sindaco cittadino, l'erede al trono ha visitato senza guida istituzionale la zona rossa della cittadina. E cosa ha visto? Lo stesso spettacolo che avrebbe potuto vedere lo scorso ottobre. E novembre. E dicembre. I detriti? Tutti lì, in bella mostra. I prodromi di una ricostruzione credibile? Totalmente assente: solo macerie e abbandono. Il problema non è il giudizio che il principe Carlo avrà rispettivamente a quanto visto, ma il fatto che quel giudizio lo esprimerà ad altri - e, immagino, lo farà con persone di un certo livello - e che, soprattutto, il suo interessamento ha mosso giornali e tv: i quali racconteranno a loro volta al mondo, con parole e immagini, l'immobilismo totale verso quella tragedia, lo stato dell'arte da Terzo Mondo in cui versa una parte del Paese. 

Dove sono i fondi raccolti attraverso gli sms benefici? Bloccati in attesa di stanziamento. Pensate che la gente, mossa dall'emozione, volesse vedere i suoi 5 euro lasciati su un conto corrente o che li volesse impiegati per dare delle risposte all'emergenza, ai bisogni immediati della gente di quelle aree martoriate? E l'economia di quella zona, prevalentemente agricola? La Caritas di Chieti aveva messo a disposizioni 100 strutture per gli animali di contadini e allevatori, al fine di evitare che il freddo dell'inverno li uccidesse: sapete cosa ha risposto la Protezione civile? Mi dispiace, ma non possiamo prenderle, occorre passare attraverso i bandi di gara. Burocrazia, solo burocrazia: ecco cosa ha visto il principe Carlo e di cosa parlerà, se interpellato al riguardo. Certo, racconterà della gentilezza un po' burbera, ma sincera di quella gente meravigliosa, racconterà di quanto fosse deliziosa l'amatriciana preparata solo per lui, racconterà della stretta al cuore che fa vedere quelle rovine. Ma, soprattutto, riproporrà ai suoi interlocutori una domanda, la stessa che immagino gli frulli nella testa da due giorni, conoscendo un po' la mentalità britannica per lunga frequentazione: com'è possibile che dopo oltre 8 mesi dal sisma, la situazione sia ancora quella? 

E, attenzione, il mio non è un atto d'accusa contro il governo Renzi o contro l'attuale o contro il commissario Vasco Errani, il mio è un j'accuse verso un Paese che sembra godere nel farsi male. L'Italia è molto meglio di come sembra e di come raccontiamo noi stessi al mondo e a confermarlo ci hanno penato gli stessi cittadini di quelle zone che, nel fine settimana, hanno manifestato divisi in due gruppi, uno di fronte a Montecitorio e uno sulla Salaria. Una loro rappresentante, presa la parola, ha detto poche parole, ma pesanti come le pietre che ancora ricoprono le strade di quei paesi: «Tutto ciò che è stato fatto finora è stato fatto dagli italiani, dal popolo, non dalle istituzioni. È stato fatto dai Vigili del fuoco, dalla Protezione civile, dai volontari, dai privati. Non dallo Stato». Direte voi, Protezione civile e pompieri sono lo Stato: peccato che per fare qualcosa di concreto, abbiano dovuto spesso esondare dalle loro responsabilità, abbiano dovuto lavorare oltre l'orario sapendo che lo straordinario non sarebbe stato pagato, abbiano dovuto anticipare dei costi, abbiano loro stesso dato qualcosa. 

Lo Stato lo portano sulla divisa e nel cuore, ma quello stesso Stato ha abdicato ai suoi doveri. Primari, perché ricordarsi dei terremotati solo quando serve a strappare flessibilità a Bruxelles, salvo non muovere un dito in concreto. è la peggiore pubblicità che possiamo fare a noi stessi: cosa pensate, che un investitore straniero guardi davvero al rating di credito di Standard&Poor's - screditata dai fatti insieme alle sue sorelle, senza bisogno di processi mediatici a Trani - prima di decidere se puntare o meno sull'Italia? Credete che l'unico spread che conti sia quello tra Btp e Bund e non quello, ben più serio, tra un Paese dove le emergenze sono tali e gli si fa fronte e un altro che, invece, si fa imbrigliare dalla burocrazia? Con quale spirito pensate che un uomo d'affari metta mano al portafoglio, dopo aver visto quanto sta accadendo nelle zone terremotate? Pensate che si fidi di uno Stato che, di fronte a una calamità, reagisce con i riflessi di un bradipo? E se un domani accadesse nell'area in cui ha scelto di aprire la sua aziende, la sua impresa? 

Perché pensate che il Giappone, Paese con la ratio debito/Pil peggiore al mondo e con una seria crisi demografica davanti a sé, sia comunque ritenuto più che allettante per il business?  Perché come mostra un video su YouTube diventato virale, una mega-buca (larga 30 metri e profonda 15) apertasi in una strada di Fukuoka è stata riparata in due giorni. Due. Guardando a quell'efficienza e a quella serietà, qualcuno avrà pensate ai rating? Al debito? Alla popolazione che invecchia? Alla Bank of Japan che s è inglobata il mercato obbligazionario? No, ha pensato alla fiducia, il vero driver dell'economia. Quale immagine dell'Italia porterà invece con sé, invece, il principe Carlo? Un Paese dove il sindaco della città che lo ospita si mette a fare i capricci, dopo aver svolto un lavoro egregio per tutti questi mesi: se c'era una cosa da non fare era voltare le spalle a un ospite istituzionale, sia per garbo, sia perché - ancorché utiltaristico - per Amatrice può fare più un erede al trono che tanti nani e ballerine andati lì finora a farsi un selfie e a mostrarsi prostrati in favore di telecamera, salvo stanziare 5 euro con un sms. Racconterà alla Londra che conta di macerie ovunque e farà fatica a spiegare il fatto che il sisma si sia verificato ad agosto scorso e non due o tre settimane fa. Racconterà di volti segnati, ma dignitosi, orgogliosi di quell'amatriciana fatta per l'ospite d'onore con il guanciale migliore e il pecorino più buono: peccato che, andato via l'ospite, tutto tornerà come prima. Niente casette, niente ricostruzione, niente di niente. 

Certo, l'inverno è passato, ma le bestie sono morte, di cosa camperanno contadini, allevatori e pastori? Le cento pecore donate dalla Sardegna sono un gesto meraviglioso, ma l'ennesima riprova che di quelle terre si sta occupando solo il popolo, la gente comune, lo spontaneismo della solidarietà, un qualcosa che noi italiani abbiamo nel dna. Ma non basta, perché di fronte a emergenze simili, servirebbe uno Stato degno di questo nome. Destra, sinistra, centro non importa: otto mesi fuori di casa, senza un tetto o una prospettiva, sono cose da terzo mondo, non da G7. E se l'inverno è alle spalle, pensate sia piacevole dormire sotto una tenda di plastica quando l'estate porterà 35 gradi all'ombra, il tutto con bagni in comune per qualche centinaio di persone? È dignitoso? È materia da G7? 

Pensiamoci, perché vi assicuro che i ricordi e le impressioni di Carlo d'Inghilterra faranno più danno al nostro Paese di cento rating negativi o del balzo all'insù dello spread: sotto quelle macerie resta sepolta la credibilità dell'Italia come nazione e come sistema, non solo la speranza di migliaia di cittadini senza colpa. 

MAURO BOTTARELLI

Fonte: qui

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