martedì 4 aprile 2017

IL KAMIKAZE DELLA METRO DI SAN PIETROBURGO È UN 22ENNE DEL KIRGHIZISTAN

COME L’ATTENTATORE DI ISTANBUL A CAPODANNO, UN ISLAMICO DELL’ASIA CENTRALE ADDESTRATO IN SIRIA. AL PARI DI ALTRI MIGLIAIA DI COMBATTENTI ATTUALMENTE IMPEGNATI NELLA DIFESA DI MOSUL

iordano Stabile per www.lastampa.it

È un 22enne kirghiso, con nazionalità russa, il kamikaze che si è fatto esplodere ieri nel metrò di San Pietroburgo uccidendo 14 persone. La sua identità è stata ricostruita dai resti nel vagone dell’attentato. I servizi di sicurezza russi lo hanno identificato «come Akbarjon Djalilov, nato a Osh e in contatto con i combattenti siriani». Secondo le ricostruzioni preliminari, il kamikaze si trovava non lontano dalle porte, nella parte centrale del vagone, dove «è stata trovata la sua mano con dei fili». 
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Conferma dal Kirghizistan 
La sua identità è stata confermata dal portavoce dei servizi di sicurezza kirghisi, Rakhat Saoulaimanov. La nazionalità kirghisa conferma quindi la pista dei terroristi centrasiatici, considerati i più pericolosi a disposizione del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Anche l’attentato di Capodanno a Istanbul era stato compiuto da un terrorista dell’Asia centrale, anche lui addestrato in Siria, Abdulkadir Masharipov, uzbeko ma con legami con una rete di kirghisi nella metropoli turca. Kirghisi, uzbeki, kazaki e tagiki formano una legione di migliaia di combattenti e il nucleo degli irriducibili è impegnato nella difesa della Città vecchia di Mosul.
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Irriducibili centrasiatici 
Il Battaglione Uzbeko conta, secondo stime dei Servizi iracheni, su 4 mila combattenti, in maggioranza centrasiatici ma che usano come lingua franca il russo. Il comando della difesa di Mosul è affidato a Gulmurod Khalimov, ex ufficiale dei corpi speciali del Tagikistan, addestrato anche negli Usa. Nel primo video in cui compare è circondato da dodici uomini degli Omon, il corpo speciale della polizia russa. Tutti convertiti alla causa della jihad. Khalimov conosce perfettamente le tattiche della controguerriglia e di antiterrorismo sia russe che americane. Potrebbe essere ancora lui a guidare la difesa della moschea Al-Nouri al-Kabir, assieme a un migliaio di “russi”.

Fonte: qui


L’ATTENTATO A SAN PIETROBURGO NON SORPRENDE: IL JIHADISMO STA CRESCENDO IN RUSSIA

DAGLI ANNI NOVANTA, NETWORK DI MOSCHEE E SCUOLE CORANICHE FONDAMENTALISTE CRESCONO COME FUNGHI NEL CAUCASO, NELLE REPUBBLICHE DELL'ASIA CENTRALE, MA ANCHE A MOSCA CHE È LA CITTÀ EUROPEA CON LA PIÙ GRANDE POPOLAZIONE MUSULMANA, CIRCA DUE MILIONI, PERLOPIÙ IMMIGRATI ARRIVATI IN RUSSIA DALLE PERIFERIE DELL'EX IMPERO SOVIETICO


PUTIN ORA DEVE GESTIRE ROGNE SU 4 FRONTI: L’INTERVENTO IN SIRIA, LE RIBELLIONI NEL CAUCASO, I CINQUEMILA FOREIGN FIGHTERS PARTITI DALLA RUSSIA PER COMBATTERE AL SERVIZIO DELL’ISIS E POI IL FRONTE INTERNO, LA PROTESTA CONTRO IL SUO SISTEMA DI POTERE

1 - LA SFIDA DEL TERRORE A PUTIN
Lorenzo Vidino per “la Stampa”

putin dopo attentato a san pietroburgoPUTIN DOPO ATTENTATO A SAN PIETROBURGO
Se l' esplosione che ha colpito la città nativa di Putin, in un giorno in cui il presidente russo vi si trovava in visita, sia opera del terrorismo di matrice jihadista, come ormai da qualche anno si sospetta istintivamente dopo ogni attentato in qualsiasi angolo del mondo, non è dato saperlo al momento. Certo è che, se lo fosse, sarebbe la tragica ma praticamente naturale evoluzione della parabola jihadista in terra russa.

Il fondamentalismo islamico arriva in Russia e nei Paesi circostanti con il crollo dell' Unione Sovietica.
iniziale sospettato per attentato a san pietroburgoINIZIALE SOSPETTATO PER ATTENTATO A SAN PIETROBURGO
Predicatori e organizzazioni wahhabite finanziate dai petrodollari del Golfo Arabo importano un' interpretazione della fede totalmente estranea a quella storicamente adottata pre-comunismo dalle popolazioni locali: tollerante, aperta ad altre fedi e con forti tendenze mistiche e sufi.

Dagli Anni 90 network di moschee e scuole coraniche fondamentaliste crescono come funghi nel Caucaso, nelle repubbliche dell' Asia Centrale, ma anche nel cuore della Russia (stupisce come dato, ma Mosca è la città europea con la più grande popolazione musulmana, circa due milioni, perlopiù immigrati dalle periferie dell' ex impero russo).
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Ricalcando dinamiche viste nei Balcani o in Africa sub-Sahariana, l'islam tradizionale della regione ha fatto fatica a competere con il fondamentalismo di importazione, sia per via di un forte gap di risorse sia per gli attacchi, verbali e fisici, da parte degli adepti del wahhabismo. L'inevitabile prodotto di questo cambiamento teologico è la crescente mobilitazione di tipo jihadista nella regione.
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Già negli Anni 90 la guerriglia cecena, nata inizialmente come puramente nazionalista, aveva assunto toni sempre più religioso-fondamentalisti. Una parte, minoritaria ma importante, assunse presto ideologia, tattiche (inclusi attentati suicidi e drammatiche esecuzioni di ostaggi) e obiettivi propri non del nazionalismo ceceno, ma del jihadismo globale, creando anche legami operativi col mondo di al Qaeda. Ed il fenomeno si è esteso presto a tutto il Caucaso, regione economicamente depressa e malgovernata insanguinata da una insorgenza islamista di bassa intensità ma comunque difficile da estirpare.

iniziale sospettato per attentato a san pietroburgoINIZIALE SOSPETTATO PER ATTENTATO A SAN PIETROBURGO
Negli ultimi anni Putin aveva tenuto la situazione sotto controllo attraverso l' utilizzo di tre tattiche. In primis, aveva stretto alleanze con gli uomini forti delle province russe a maggioranza musulmana.
Usando tattiche spesso di una brutalità inusitata, leader come Kadyrov in Cecenia sono infatti riusciti a limitare la minaccia jihadista nei loro territori. A fronte dell'utilizzo della forza con i jihadisti, Putin ha anche cercato di aprire un dialogo con l'islam moderato nei suoi territori, rafforzandone i leader e spingendo un messaggio di inclusione nella società russa.
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Il terzo tassello della pax putiniana contro il jihadismo made in Russia è stato quello di vedere, cinicamente, il conflitto siriano come una valvola di sfogo per potenziali jihadisti. L' antiterrorismo russo ha infatti spinto molti jihadisti locali a migrare nei territori del Califfato, dove i foreign fighter con passaporto russo (stimati attorno ai 5000) svolgono un ruolo di primaria importanza.

La mossa non ha brillato per lungimiranza, visto come il conflitto siriano sia poi divenuta palestra per jihadisti con brame globali. E non deve sorprendere quindi che militanti dell' area ex Urss si siano resi protagonisti negli ultimi mesi di una lunga serie di attentati in vari Paesi, in particolare in Turchia. Stupisce solo che un attentato in Russia- se la matrice jihadista per l'attentato di San Pietroburgo verrà confermata - sia arrivato solo ora.
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Se infatti la manovalanza abbonda, non mancano nemmeno le motivazioni per cui il movimento jihadista vuole attaccare la Russia. Oltre alle mai sopite dinamiche interne, l' intervento russo in Siria, unico vero ostacolo all' avanzata dello Stato Islamico, costituisce un movente enorme, cosa che la propaganda del gruppo da mesi ribadisce incitando i propri adepti a vendicarsi contro Putin.

2 - I 4 FRONTI DELLO ZAR
Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”

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La Russia, un gigante con una storia marcata dal terrore. A volte ambiguo, come per le esplosioni negli appartamenti di Mosca nel 1999, attribuiti ai ceceni ma per i quali si è sempre sospettato un «lavoro interno». In altre occasioni gli assassini hanno operato in modo netto, con il martirio dei bambini di Beslan nel 2003. Nel mezzo le vittime soffocate dai gas nel teatro Dubrovka, le bombe sugli aerei e sui bus, le vedove nere, i kamikaze, gli attentati contro civili inermi. Vent'anni dove le piste dell' estremismo si sono intrecciate con i giochi del Cremlino. Lo spartito non è cambiato, sono solo aumentati i fronti.

RITORSIONE PER LA SIRIA
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Il primo è quello «lontano». L'intervento russo in Siria ha scatenato contraccolpi violenti. Per i jihadisti di Isis e al Qaeda Mosca è diventata ancora più nemica. Così si sono vendicati, distruggendo il Metrojet nel cielo del Sinai, abbattuto - dicono - da un ordigno infilato nella stiva. Ad Ankara hanno assassinato l'ambasciatore di Mosca. Messaggi per sottolineare che ogni mossa ha un prezzo. A farlo pagare gli islamisti, da soli o con la mano interessata di qualche servizio arabo.

LA FILIERA CAUCASICA
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Il secondo fronte è alla periferia dell'Impero, nel Caucaso. Il Daghestan e altre zone fanno da teatro ad una ribellione tenace. Sono gli eredi della lotta cecena, continuatori del sogno di Osama e Zawahiri di sfondare tra questi monti, oggi pronti a fare da sponda ai piani del Califfato. La pericolosità del fenomeno sta nella sua doppia natura: è locale, però capace di muoversi lungo direttrici che portano, da un lato, al Medio Oriente, dall' altro alle stesse città russe. I militanti si muovono, stabiliscono collegamenti, ritornano in patria creando il terzo segmento.

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I FOREIGN FIGHTERS
Per i servizi di sicurezza sono quasi 5 mila i volontari che si sono uniti a fazioni radicali attive dalla Siria all' Iraq. Un buon numero ha aderito all'Isis diventando la forza d'urto. Non pochi sono confluiti invece nella realtà qaedista, della ex al Nusra. È un bacino dove la Jihad per l'insurrezione siriana si unisce alla campagna internazionale.

Un legame che si alimenta dell'odio provocato dai massacri dei civili ad Aleppo, Homs e Hama. Se bombardi in modo indiscriminato un quartiere non puoi pensare che il nemico dimentichi. Infatti hanno minacciato azioni in Russia. La filiera «caucasica» è molto temuta. È la copia di quella franco-belga, con dirigenti che occupano posizioni nelle gerarchie del movimento ma anche mujaheddin che devono eseguire gli ordini.
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È un network che ha già ferito la Turchia, dove hanno agito i «soldati» del ceceno Ahkmad Chataev, presunta mente del massacro all' aeroporto di Istanbul, luglio 2016. Qualche mese dopo è stato di nuovo un figlio di una ex Repubblica sovietica a sparare con il kalashnikov sui clienti del night club nella città del Bosforo. A conferma che la componente ha assunto un ruolo primario.

STRATEGIA DELLA TENSIONE
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La guerra dichiarata dagli islamisti non ha però cancellato l' eterna teoria della strategia della tensione per favorire Putin. È il quarto fronte sospinto dai contrasti politici - molto intensi -, dagli intrighi, dagli oppositori fatti fuori e dal sospetto che attribuisce manovre all' uomo forte al fine di consolidare ancora di più il proprio potere. Nella stagione delle molte verità c' è spazio anche per questa.


Fonte: qui

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