L’EX DIRETTORE DEL “CORRIERE” DELLE ÉLITE E DEL “SOLE 24 ORE” DI CONFINDUSTRIA AMMETTE IL FALLIMENTO DELLA CLASSE DIRIGENTE (DI CUI E' PARTE): “HA COLPE EVIDENTI. SPESSO SI DIMOSTRA ITALIANA SOLO QUANDO LE CONVIENE. PARLO ANCHE DI QUELLE IMPRESE CHE DIFENDONO IL MADE IN ITALY, E POI SE NE VANNO IN SVIZZERA O IN LUSSEMBURGO"
''I SOVRANISMI NON SONO UN ERRORE DELLA STORIA, C'È CHI HA PREPARATO LORO IL CAMPO"
"NON ABBIAMO SAPUTO COMPRENDERE LA PARTE PIÙ SOFFERENTE DEL PAESE, QUELLA CHE..."
Federico Novella per “la Verità”
«Il governo deve sfidare l' Europa, ma con intelligenza».
I sovranismi?
«Non sono un errore della storia, c'è chi ha preparato loro il campo».
La sinistra ha dimenticato gli italiani?
«Anche noi giornalisti dovremmo fare autocritica: non abbiamo saputo comprendere la parte più sofferente del Paese, quella che si sente incapace di decidere della propria vita».
Eppure, nonostante il momento delicatissimo, l'Italia non è perduta. Lo dice e lo scrive Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, presidente di Vidas e autore di un saggio dal titolo che oggi suona quasi fantascientifico: Ci salveremo. Appunti per una riscossa critica (Garzanti). La lettera del premier a Bruxelles. La gita di Matteo Salvini a Washington. La minaccia della procedura di infrazione sui conti. Il destino del governo ancora avvolto nell' incertezza.
Crede ancora nel lieto fine, anche in questi giorni di tensione con l'Europa?
«Credo che gli spazi per la trattativa ci siano. Se andiamo a guardare, alla fine i dirigenti europei non ci stanno chiedendo grandi sforzi. Solo alcuni miliardi, reperibili tentando una spending review, un contenimento delle spese».
Questo mentre il Tesoro chiede alla Cassa depositi e prestiti un'extra cedola da 960 milioni.
«Ecco, questa mi sembra una scorciatoia molto pericolosa. Si rischia di far passare la Cdp per una banca di Stato».
Se l'Europa ci punisse, affonderebbe con noi?
«L'Europa ha tutto l'interesse a non esasperare i toni di un conflitto con l' Italia, quindi non penso voglia metterci in un angolo. Non siamo certo la Grecia».
Anzi.
«Dal punto di vista della bilancia commerciale siamo in una situazione più equilibrata rispetto al 2011. Dunque spero prevalga il buon senso. Poi si potrà tentare benissimo l'introduzione della flat tax, come vorrebbe Matteo Salvini».
Ci sono davvero le condizioni per una riduzione delle aliquote?
«Sì, se Salvini dicesse: facciamola, ma non in deficit. Prima tagliamo le spese, e poi riduciamo le tasse. Se facessimo questo discorso, l'Europa non potrebbe dirci di no».
Tagliamo le spese, dunque. Ma quali?
«Le possibilità ci sono. Abbiamo detrazioni e deduzioni per 54 miliardi l'anno, che spesso rappresentano nient'altro che un regalo ad alcune categorie. In aggiunta possiamo ridurre alcuni sussidi alle Regioni o alle aziende, peraltro già beneficiate da quota 100. E poi bisognerà fare anche un ragionamento sull' Iva».
L'incubo delle clausole di salvaguardia.
«Aumentare l'Iva non sarebbe uno scandalo. Ricordiamoci che l'Italia ha aliquote agevolate più basse di altri Paesi».
Non affosseremmo i consumi?
«Non credo, se si interviene in maniera intelligente».
Fin qui la sua visione ottimistica. Ma qual è il suo timore?
«L'isolamento italiano è un dato oggettivo: non facciamo parte delle famiglie europee che decideranno gli equilibri delle istituzioni. E poi c'è il rischio di perdere credibilità nei confronti della Commissione, che pure ha le sue colpe evidenti».
Quest'Europa è tutta da riscrivere?
«È difficile proporre una riscrittura generale delle regole europee mentre si cerca di scongiurare una procedura d' infrazione. Conta la fiducia, adesso. La credibilità che mi auguro Giuseppe Conte e Giovanni Tria possano far valere».
Insomma, bisogna affrontare l'Europa con il fioretto più che con la sciabola?
«Giuseppe Conte dovrebbe sfidare l'Europa chiedendo flessibilità. Ma non per finanziare le spese, bensì, ad esempio, per promuovere la digitalizzazione del Paese. Oppure per aiutare i giovani. Così facendo metteremmo in difficoltà i burocrati di Bruxelles: faremmo debito, ma sarebbe debito di qualità, poiché finalizzato agli investimenti necessari a far ripartire la crescita».
Salvini a Washington ha utilizzato Donald Trump in chiave antieuropea? O forse Trump ha utilizzato Salvini?
«Sia Trump sia Vladimir Putin hanno lo stesso interesse a disarticolare l'Europa. Gli americani evidentemente vogliono allontanare Salvini dalla Russia, e questa è una contraddizione che il leader della Lega prima o poi dovrà affrontare».
Nel suo libro critica anche l'elite, quella «classe dirigente con i figli all'estero», graniticamente pro euro, quella che ha avuto il potere di salvarsi dalla crisi, mentre i cittadini si sono impoveriti.
«La classe dirigente ha tutte le sue colpe evidenti. Spesso si dimostra italiana solo quando le conviene. Parlo anche di quelle realtà imprenditoriali che difendono il made in Italy, e poi se ne vanno in Svizzera o in Lussemburgo, ben inserite nelle reti internazionali. Di fronte a questi comportamenti non dobbiamo meravigliarci se la gente poi vota in un certo modo, o si fa prendere da dubbi legittimi sull'utilità dell' euro».
Oggi la frattura è tra centro e periferia, tra ricchi e poveri?
«O se preferisce, tra valle e collina. Vedo un abisso tra establishment e popolo, un distacco che in qualche modo va colmato».
È la sinistra, in prima battuta, a dover prendersene carico?
«Sì, ma qual è la proposta economica della sinistra italiana? Anche io francamente faccio fatica a capirlo».
A sinistra si interpreta la vittoria del populismo come una malattia del Paese?
«E non è così. La stagione dei sovranismi non è un incidente della storia. Sbaglieremmo nel pensare che si tratti d' una parentesi che si chiude con questo governo. Arriva da lontano. È stata preparata da altri populismi di governo, da un cattivo comportamento della classe dirigente e forse anche da una certa miopia del mondo dell' informazione».
C'è un mondo di italiani a cui sono state voltate le spalle?
«Questa critica ha del fondamento. Non abbiamo compreso fino in fondo il senso di esclusione di una parte del Paese, una maggioranza sofferente che non si sente più arbitra del proprio destino. Questo "spossessamento" sconfina nella solitudine, e talvolta si trasforma in indifferenza e rancore».
Ci siamo fidati troppo dei numeri e troppo poco dei sentimenti delle persone?
«Diciamo che come giornalisti avremmo dovuto essere più cronisti. Cioè più vicini alla gente. A volte le risposte possono essere sbagliate, ma le domande che arrivano dal popolo sono sempre legittime. E lo sono anche le paure sull' immigrazione. A prescindere dalle statistiche, il senso di insicurezza, la paura dello straniero, esiste e va compresa. E poi dovremmo occuparci un po' di più anche di un altro genere di migrazione».
Quale?
«Quella dei ragazzi italiani. Ci siamo persi una Regione grande come la Valle d' Aosta, fatta di laureati fuggiti all' estero. È uno spreco inaccettabile di capitale umano e finanziario. Spendiamo soldi per formare i nostri giovani, e poi li regaliamo agli altri Paesi».
Insomma, prima gli italiani?
«Se proprio vogliamo, mi lasci dire: "Prima i giovani italiani". Anzi, faccio una proposta: intendiamo occuparci dei due milioni e 800.000 ragazzi che non studiano e non lavorano?
Chiediamo risorse straordinarie per aiutarli: nessuno in Europa potrebbe opporsi. Formiamo una sorta di esercito del bene, per effettuare una manutenzione straordinaria di questo Paese. Basterebbe un gesto di questo tipo per recuperare parte della credibilità perduta».
Mentre infuriano i populismi, il mondo moderato cerca punti di riferimento. Forza Italia con una dirigenza rinnovata, da una parte, Matteo Renzi e Carlo Calenda dall' altra, intendono presidiare il centro del quadro politico. Chi prevarrà?
«Forze moderate di centro sono sempre utili per riequilibrare spinte pericolose e nazionaliste. La politica è come la fisica, ci sono azioni e reazioni.
Qualcosa nascerà e sarà comunque il prodotto della vitalità di questo Paese».
Da dove partirà la riscossa italiana?
«Dal settore del volontariato possono arrivare segnali di riscatto civico. È una realtà che spesso da 5 stelle e Lega viene vista con sospetto o accusata di buonismo. Però ha consentito di reagire alla crisi, soprattutto nelle piccole comunità. In generale credo che la società italiana sia molto più stabile della sua classe politica. Quindi il buon senso e la capacità di lavoro del nostro tessuto sociale consentiranno comunque di trovare un equilibrio. E di salvarci, senza correre rischi inutili».
Fonte: qui
Federico Novella per “la Verità”
«Il governo deve sfidare l' Europa, ma con intelligenza».
I sovranismi?
«Non sono un errore della storia, c'è chi ha preparato loro il campo».
La sinistra ha dimenticato gli italiani?
«Anche noi giornalisti dovremmo fare autocritica: non abbiamo saputo comprendere la parte più sofferente del Paese, quella che si sente incapace di decidere della propria vita».
Eppure, nonostante il momento delicatissimo, l'Italia non è perduta. Lo dice e lo scrive Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, presidente di Vidas e autore di un saggio dal titolo che oggi suona quasi fantascientifico: Ci salveremo. Appunti per una riscossa critica (Garzanti). La lettera del premier a Bruxelles. La gita di Matteo Salvini a Washington. La minaccia della procedura di infrazione sui conti. Il destino del governo ancora avvolto nell' incertezza.
Crede ancora nel lieto fine, anche in questi giorni di tensione con l'Europa?
«Credo che gli spazi per la trattativa ci siano. Se andiamo a guardare, alla fine i dirigenti europei non ci stanno chiedendo grandi sforzi. Solo alcuni miliardi, reperibili tentando una spending review, un contenimento delle spese».
Questo mentre il Tesoro chiede alla Cassa depositi e prestiti un'extra cedola da 960 milioni.
«Ecco, questa mi sembra una scorciatoia molto pericolosa. Si rischia di far passare la Cdp per una banca di Stato».
Se l'Europa ci punisse, affonderebbe con noi?
«L'Europa ha tutto l'interesse a non esasperare i toni di un conflitto con l' Italia, quindi non penso voglia metterci in un angolo. Non siamo certo la Grecia».
Anzi.
«Dal punto di vista della bilancia commerciale siamo in una situazione più equilibrata rispetto al 2011. Dunque spero prevalga il buon senso. Poi si potrà tentare benissimo l'introduzione della flat tax, come vorrebbe Matteo Salvini».
Ci sono davvero le condizioni per una riduzione delle aliquote?
«Sì, se Salvini dicesse: facciamola, ma non in deficit. Prima tagliamo le spese, e poi riduciamo le tasse. Se facessimo questo discorso, l'Europa non potrebbe dirci di no».
Tagliamo le spese, dunque. Ma quali?
«Le possibilità ci sono. Abbiamo detrazioni e deduzioni per 54 miliardi l'anno, che spesso rappresentano nient'altro che un regalo ad alcune categorie. In aggiunta possiamo ridurre alcuni sussidi alle Regioni o alle aziende, peraltro già beneficiate da quota 100. E poi bisognerà fare anche un ragionamento sull' Iva».
L'incubo delle clausole di salvaguardia.
«Aumentare l'Iva non sarebbe uno scandalo. Ricordiamoci che l'Italia ha aliquote agevolate più basse di altri Paesi».
Non affosseremmo i consumi?
«Non credo, se si interviene in maniera intelligente».
Fin qui la sua visione ottimistica. Ma qual è il suo timore?
«L'isolamento italiano è un dato oggettivo: non facciamo parte delle famiglie europee che decideranno gli equilibri delle istituzioni. E poi c'è il rischio di perdere credibilità nei confronti della Commissione, che pure ha le sue colpe evidenti».
Quest'Europa è tutta da riscrivere?
«È difficile proporre una riscrittura generale delle regole europee mentre si cerca di scongiurare una procedura d' infrazione. Conta la fiducia, adesso. La credibilità che mi auguro Giuseppe Conte e Giovanni Tria possano far valere».
Insomma, bisogna affrontare l'Europa con il fioretto più che con la sciabola?
«Giuseppe Conte dovrebbe sfidare l'Europa chiedendo flessibilità. Ma non per finanziare le spese, bensì, ad esempio, per promuovere la digitalizzazione del Paese. Oppure per aiutare i giovani. Così facendo metteremmo in difficoltà i burocrati di Bruxelles: faremmo debito, ma sarebbe debito di qualità, poiché finalizzato agli investimenti necessari a far ripartire la crescita».
Salvini a Washington ha utilizzato Donald Trump in chiave antieuropea? O forse Trump ha utilizzato Salvini?
«Sia Trump sia Vladimir Putin hanno lo stesso interesse a disarticolare l'Europa. Gli americani evidentemente vogliono allontanare Salvini dalla Russia, e questa è una contraddizione che il leader della Lega prima o poi dovrà affrontare».
Nel suo libro critica anche l'elite, quella «classe dirigente con i figli all'estero», graniticamente pro euro, quella che ha avuto il potere di salvarsi dalla crisi, mentre i cittadini si sono impoveriti.
«La classe dirigente ha tutte le sue colpe evidenti. Spesso si dimostra italiana solo quando le conviene. Parlo anche di quelle realtà imprenditoriali che difendono il made in Italy, e poi se ne vanno in Svizzera o in Lussemburgo, ben inserite nelle reti internazionali. Di fronte a questi comportamenti non dobbiamo meravigliarci se la gente poi vota in un certo modo, o si fa prendere da dubbi legittimi sull'utilità dell' euro».
Oggi la frattura è tra centro e periferia, tra ricchi e poveri?
«O se preferisce, tra valle e collina. Vedo un abisso tra establishment e popolo, un distacco che in qualche modo va colmato».
È la sinistra, in prima battuta, a dover prendersene carico?
«Sì, ma qual è la proposta economica della sinistra italiana? Anche io francamente faccio fatica a capirlo».
A sinistra si interpreta la vittoria del populismo come una malattia del Paese?
«E non è così. La stagione dei sovranismi non è un incidente della storia. Sbaglieremmo nel pensare che si tratti d' una parentesi che si chiude con questo governo. Arriva da lontano. È stata preparata da altri populismi di governo, da un cattivo comportamento della classe dirigente e forse anche da una certa miopia del mondo dell' informazione».
C'è un mondo di italiani a cui sono state voltate le spalle?
«Questa critica ha del fondamento. Non abbiamo compreso fino in fondo il senso di esclusione di una parte del Paese, una maggioranza sofferente che non si sente più arbitra del proprio destino. Questo "spossessamento" sconfina nella solitudine, e talvolta si trasforma in indifferenza e rancore».
Ci siamo fidati troppo dei numeri e troppo poco dei sentimenti delle persone?
«Diciamo che come giornalisti avremmo dovuto essere più cronisti. Cioè più vicini alla gente. A volte le risposte possono essere sbagliate, ma le domande che arrivano dal popolo sono sempre legittime. E lo sono anche le paure sull' immigrazione. A prescindere dalle statistiche, il senso di insicurezza, la paura dello straniero, esiste e va compresa. E poi dovremmo occuparci un po' di più anche di un altro genere di migrazione».
Quale?
«Quella dei ragazzi italiani. Ci siamo persi una Regione grande come la Valle d' Aosta, fatta di laureati fuggiti all' estero. È uno spreco inaccettabile di capitale umano e finanziario. Spendiamo soldi per formare i nostri giovani, e poi li regaliamo agli altri Paesi».
Insomma, prima gli italiani?
«Se proprio vogliamo, mi lasci dire: "Prima i giovani italiani". Anzi, faccio una proposta: intendiamo occuparci dei due milioni e 800.000 ragazzi che non studiano e non lavorano?
Chiediamo risorse straordinarie per aiutarli: nessuno in Europa potrebbe opporsi. Formiamo una sorta di esercito del bene, per effettuare una manutenzione straordinaria di questo Paese. Basterebbe un gesto di questo tipo per recuperare parte della credibilità perduta».
Mentre infuriano i populismi, il mondo moderato cerca punti di riferimento. Forza Italia con una dirigenza rinnovata, da una parte, Matteo Renzi e Carlo Calenda dall' altra, intendono presidiare il centro del quadro politico. Chi prevarrà?
«Forze moderate di centro sono sempre utili per riequilibrare spinte pericolose e nazionaliste. La politica è come la fisica, ci sono azioni e reazioni.
Qualcosa nascerà e sarà comunque il prodotto della vitalità di questo Paese».
Da dove partirà la riscossa italiana?
«Dal settore del volontariato possono arrivare segnali di riscatto civico. È una realtà che spesso da 5 stelle e Lega viene vista con sospetto o accusata di buonismo. Però ha consentito di reagire alla crisi, soprattutto nelle piccole comunità. In generale credo che la società italiana sia molto più stabile della sua classe politica. Quindi il buon senso e la capacità di lavoro del nostro tessuto sociale consentiranno comunque di trovare un equilibrio. E di salvarci, senza correre rischi inutili».
Fonte: qui
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