giovedì 28 aprile 2016

Il populismo è di moda, ma sappiamo cos'è?

Oggi  “pupulista” è un insulto e lo era spesso anche in passato.   Eppure proprio questa eterogenea matrice ha prodotto l’unica seria opposizione a quegli ideali di “progresso” perseguendo i quali siamo giunti esattamente dove siamo oggi.
Con questo non intendo certo idealizzare la tradizione.   Chi ha vissuto in un paese ancora 40 o 50 anni fa, ha un’idea di quando schiacciante può essere quella “common decency” tanto cara ad Orwell.   Tengo però a far presente è che il populismo odierno ha ben poco in comune con quello del passato.   In particolare per la passione che i movimenti populisti odierni hanno per i capi autoritari, le fantasie nazionaliste e l’ assistenzialismo di stato.   Tutti elementi che i populisti del passato disprezzavano profondamente.

Una differenza che probabilmente dipende dal fatto che i movimenti populisti del passato sorsero ed insorsero in difesa di una tradizione popolare all'epoca ben viva e profondamente radicata.   Una tradizione che la trasformazione dei contadini ed degli artigiani prima in proletari e poi in consumatori ha distrutto.   Della radice antica ed identitaria della gente comune rimane oggi solo un sentimento vago e rabbioso, su cui fanno leva gli "arruffapopolo" di professione. 


Il populismo ieri.


A scuola, sembra che il storia del pensiero politico moderno si riassuma nello scontro fra due grandi scuole: quella liberal-capitalista e quella socialista che né è uscita sconfitta.   La realtà è, come sempre, parecchio più complicata.
Tanto per cominciare, le due citate scuole di pensiero non erano poi così antitetiche.   Condividevano infatti una comune ideologia di fondo: il progresso inteso come inarrestabile processo di miglioramento della condizione umana.   Del resto, entrambe si rivendicavano legittime eredi dell’Illuminismo, visto come la grande rottura fra un “prima” fatto di miseria morale e materiale, oscurantismo, persecuzione e quant'altro.   Ed un “dopo” proiettato in un futuro radioso.   Un concetto nato e maturato nei circoli aristocratici e finanziari del XVIII° secolo che erano quanto di meno "popolare" si potesse immaginare.
Dunque lo scontro fra le due scuole, non di rado sanguinoso, fu sostanzialmente su quali fossero i mezzi più efficaci per raggiungere lo scopo condiviso.   Se mediante un’accumulazione di capitale privato oppure di capitale statale, se tramite una liberalizzazione delle attività economiche, oppure una pianificazione delle medesime, eccetera.   Ma per entrambe contrastare il progresso era affare di aristocratici parassiti, nostalgici, romantici perdigiorno, retrogradi, corporazioni oscurantiste, borghesi bigotti, masse abbrutite dall'ignoranza o nemici del popolo, secondo il caso.
In una serie di post pubblicati su “Effetto Risorse” (qui, e qui) ho cercato di tracciare l’origine di questa singolare visione del mondo.   Qui vorrei accennare invece a quelle “forze oscure della reazione in agguato” che le si opposero.
Secondo la vulgata, in prima fila ci sarebbe stata l’aristocrazia molle e parassita dell’”Ancien régime”, retaggio di un mondo feudale sinonimo di ogni orrore.   Solo che, sorpresa, nel '700 l’Ancien Régime era quanto mai moderno.   Ed era nato proprio dallo sforzo di molti stati di chiudere definitivamente i conti con gli ultimi strascichi di una tradizione feudale oramai decotta.   

La modernità, teorizzata e caldeggiata dai progressisti, nella seconda metà del XVIII secolo erano gli stati nazionali retti da autocrati “illuminati”.   Vale a dire promotori a tempo pieno di quella rivoluzione industriale che cominciava a delinearsi.   Del resto, le grandi famiglie dell’epoca erano composte perlopiù da banchieri, industriali ed alti funzionari.   Le proprietà terriere ed i castelli in qualche caso erano una pittoresca eredità; in altri un acquisto recente destinato a dare lustro a nomi e cognomi privi di storia.
Chi, invece, si oppose fieramente, da subito e per oltre un secolo alla visione progressista del mondo fu un’eterogenea accozzaglia di movimenti in cui confluirono e defluirono personaggi molto diversi.   Anche un certo numero di latifondisti ed intellettuali certo, ma principalmente artigiani, operai e contadini proprietari della terra.   Ivi compresa parte della piccola aristocrazia di campagna, marginalizzata ed impoverita dallo sviluppo dell’industria e della finanza.
rivolte luddiste
Uno dei primi e più famosi di questi movimenti fu quello dei “Luddisti” che sfociò in vere e proprie sommosse represse nel sangue.   Lo scopo che animava questi ribelli era soprattutto la salvaguardia della dignità del lavoro artigianale e manuale.   La meccanizzazione e la specializzazione dei ruoli in fabbrica erano visti infatti come degradanti per i lavoratori.   Ma ancor più era avversata l’istituzione del lavoro dipendente salariato.
Oggi che sempre più gente anela ad un salario che non può avere sembra incredibile.   Ma fin’oltre la metà del XIX secolo l’imposizione del regime salariale era visto da molti dei diretti interessati come una vera e propria forma di schiavitù.
Solo in alcuni casi da questi movimenti nacquero dei veri partiti, come il People’s Party in USA ed il Narodničestvo in Russia, spesso confusi con partiti di matrice socialista.   Ma al contrario dei marxisti, i populisti vedevano nella grande industria, nella meccanizzazione ed elettrificazione nient’altro che potenti mezzi per meglio proletarizzare e sfruttare i lavoratori.
Come fondamento dell’edificio sociale proponevano non già la dittatura del proletariato od il benessere, bensì quell'insieme di valori e comportamenti radicati nella tradizione popolare che davano identità, struttura sociale e resilienza alle classi lavoratrici.  Difendevano quindi la piccola proprietà privata e gli antichi diritti d’uso civico.   Avversavano invece i monopoli ed il latifondo, tanto quanto la statalizzazione dei mezzi di produzione.  In alternativa, tentarono di costituire cooperative che quasi sempre fallirono perché avversate sia dai liberali che dai socialisti, sia pure per opposte ragioni.  Rifiutavano l’ingerenza nelle loro faccende tanto dello stato, quanto dei sindacati di partito.   Preferivano invece organizzarsi autonomamente in strutture di remota tradizione e spesso divenute illegali come le ghilde, le confraternite e le società di mutuo soccorso.
Stalin
Sicuramente il più tragico evento legato a questa tradizione fu l’Holomodor (dai 3 ai 9 milioni di morti secondo le stime) con cui tra il 1932 ed 1933 Stalin chiuse definitivamente la partita con la pretesa dei contadini ucraini di rimanere economicamente autonomi.

Il populismo domani?


Nei due secoli che hanno preceduto la totale egemonia dell’ideologia progressista ci furono anche altri ed importanti movimenti politici, basti citare gli anarchici ed i monarchici, su barricate opposte.   Qui ho voluto rievocare fugacemente il populismo delle origini perché tutti noi stiamo scivolando giù per la china del “dirupo di Seneca” senza reagire.  Le ragioni sono molte e una fra queste penso sia una terribile carenza di idee politiche. Forse conoscere meglio il passato potrebbe stimolare la nostra creatività.  Purtroppo, il fallimento dei sistemi socialisti è stato erroneamente interpretato come la dimostrazione della giustezza del sistema capitalista.
Perfino il movimento ambientalista, che avrebbe potuto rappresentare la vera novità politica del XX secolo, si è dissolto nella matrice progressista, disgregato in un ala filo socialista (maggioritaria in Europa occidentale) ed una filo-liberale (maggioritaria in Europa orientale). E man mano che diventa evidente che anche il capitalismo ha fallito e con lui il progressismo tutto, ci troviamo nel vuoto completo.
E dal vuoto, come diceva Gramsci, nascono i mostri.

Fonte: qui

martedì 26 aprile 2016

Il sistema di difesa aerea S-400: arma fondamentale per la deterrenza russa

1020483972L’S-400 Trjumf è un sistema di difesa aerea ed antimissile di teatro di nuova generazione sviluppato dal Central Design Bureau russo Almaz-Antej. Lo scorso dicembre, il Trjumf fu schierato nella base aerea di Humaymim presso la città portuale di Lataqia per proteggere le Forze Aerospaziali russe che operano in Siria. Lo schieramento avveniva in risposta all’abbattimento di un aviogetto Su-24 russo da parte della Turchia.
Da Lataqia, i missili superficie-aria S-400 potrebbero colpire obiettivi su gran parte di Israele, Mar Mediterraneo orientale e Turchia, oltre il confine della Siria. Il sistema è attualmente schierato in molti distretti militari russi, tra cui Kaliningrad.

L’S-400 (denominazione NATO SA-21 Growler) è l’aggiornamento dell’S-300PMU. Il sistema è stato ufficialmente adottato nel 2007. Il Trjumf integra sistemi radar multifunzionali, da rilevamento autonomo e di puntamento, missili antiaerei, veicoli lanciatori e veicoli di comando e controllo. Può sparare tre tipi di missili (con due versioni del missile 9M) coprendo l’intero inviluppo di volo. I missili hanno le seguenti gittate operative: 400 km (40N6), 250 km (48N6), 120 km (9M96E2) e 40 km (9M96E). Il sistema può affrontare tutti i tipi di bersagli aerei tra cui aerei, velivoli senza equipaggio, missili balistici (fino a 3500 km) e missili da crociera a 400 km di distanza, in volo a quote fino a 30 km con velocità massima di 4800 metri al secondo. Un test riuscito a 400 km di distanza fu effettuato nell’aprile 2015.

Anche aerei stealth come F-22 Raptor, F-35 e B-2 Spirit degli Stati Uniti possono essere affrontati se ci saranno abbastanza batterie S-400 nell’ambito della rete di difesa aerea integrata. La distanza di rilevamento del bersaglio è di 600 km. Il sistema di rilevamento radar panoramico (91N6E) è protetto dai disturbi. L’S-400 può seguire 300 obiettivi contemporaneamente e agganciarne 36, utilizzando un radar a scansione elettronica attiva. La velocità radiale massima, in tutti i casi, è di 4,8 km al secondo (17000 km/h; Mach 14). Il tempo di risposta del sistema è inferiore ai 10 secondi. Il sistema di comando e controllo 55K6E dell’S-400 Trjumf è montato sul veicolo di comando mobile Ural-532301.

Il posto di comando è dotato di consolle con display a cristalli liquidi per elaborare i dati della sorveglianza dello spazio aereo di ogni singola batteria, controllando e monitorando i radar di sorveglianza a lungo raggio, tracciando e scegliendo le prime minacce aeree, coordinando le operazioni tra le altre batterie. L’intero sistema è gestito automaticamente (tra tutti i battaglioni e le risorse esterne anche passive). La distanza massima tra il centro di comando 98ZH6E e il battaglione, utilizzando ritrasmettitori, è di 100 km.

Possono anche essere integrati nelle unità di difesa aerea esistenti e future di altre armi, come la Marina. E’ particolarmente importante per coordinare le attività con le navi da guerra russe ancorate a Tartus, in Siria.

Il sistema di difesa aerea S-400 si distingue per la mobilità. Il sistema può muoversi su strada (60 km/h) e fuori strada a 25 km/h. Può prendere posizione di combattimento in qualsiasi momento entro 5 minuti.

Se saranno su ogni pollice quadrato del Paese, allora non importa ciò che invieranno, sarà affrontato”, ha detto un alto ufficiale dell’Aeronautica dalla vasta esperienza con gli stealth.
Il 1° marzo 2016, il comandante della 14.ma Armata Aerea e di Difesa Aerea Generale Vladimir Korytkov, dichiarava che sei unità S-400 erano state dispiegate nella regione di Novosibirsk. Dalla fine del 2015, undici reggimenti missilistici russi (un reggimento comprende 64 lanciatori) erano dotati di S-400, ed entro la fine del 2016 il loro numero aumenterà a sedici.
L’S-400 gode di grande successo sui mercati esteri. L’India dovrebbe comprare cinque sistemi S-400. Nuova Delhi è il secondo cliente estero del potente sistema missilistico dopo Pechino, che compra sei batterie di S-400. Le consegne dei sistemi di difesa aerea S-400 verso la Cina, col presente contratto, inizierebbero nel primo trimestre del 2017.
L’elenco dei potenziali operatori comprende Armenia, Bielorussia, Egitto, Iran, Kazakhstan, Arabia Saudita e Vietnam. “In poche parole, di tutte le minacce terra-aria affrontate dalla coalizione delle forze aeree sulla Siria, il SAM russo S-400, noto come ‘Trjumf’, e meglio conosciuto nella NATO come SA-21 “Growler”, è il sistema missilistico a lungo raggio di difesa aerea più potente e letale del pianeta”, scriveva Scott Wolf, pilota esperto, ottimo autore, editore e redattore di FighterSweep.
La prestazione eccezionale rende l’S-400 un sistema d’arma molto potente e preciso che può mutare l’equilibrio di potere in qualsiasi teatro di guerra. Non serve essere un esperto militare per sapere che le operazioni militari a terra, in mare e aria sono impossibili senza il controllo dei cieli. Questo è il singolo fattore più importante che decide l’esito di una guerra moderna. Come il Maresciallo Bernard L. Montgomery disse, “Se perdiamo la guerra in aria, la perderemo e in fretta”.
Difficilmente sarà messo in dubbio il fatto che oggi la Russia sia leader mondiale nello sviluppo e nella produzione di sistemi di difesa aerea. Ha una tecnologia unica e le competenze per garantirsi la posizione di leader e avere grandi prospettive. La potenza della difesa aerea russa nega la superiorità aerea a un potenziale nemico. È lo scudo affidabile che protegge il Paese e funge da deterrente contro un’aggressione. La tecnologia superiore offre anche accordi lucrosi con Paesi pronti ad acquistare il meglio che il mondo ha da offrire.
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Le ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line Strategic Culture Foundation.
Andrej Akulov, Strategic Culture Foundation, 20/04/2016
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

sabato 23 aprile 2016

Banche: Unimpresa, 70% sofferenze legate a grandi prestiti non rimborsati

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23 gennaio 2016
l rapporto dell’associazione sui 201,1 miliardi di finanziamenti non ripagati. Ad appena il 2,63% dei clienti (32.608 soggetti, sia imprese sia famiglie, su un totale di 1.240.410 clienti problematici) è riconducibile il 70,35% delle sofferenze bancarie (141,4 miliardi); 25,5 miliardi di sofferenze sono a carico di soli 579 soggetti, lo 0,05% del totale; sul 97% dei clienti (più di 1,2 milioni di soggetti), che hanno prestiti da 250 euro a 500.000 euro, pesa solo il 29% delle sofferenze (59,6 miliardi).

Longobardi: “Problema delle sofferenze da risolvere subito anche se ora emergono gli errori degli istituti che per anni hanno prestato denaro con criteri evidentemente sballati”

Le sofferenze delle banche sono legate ai grandi prestiti non rimborsati: il 70% dei finanziamenti non ripagati da famiglie e imprese si riferisce, infatti, a crediti superiori a 500.000 euro.

Sul totale delle sofferenze pari a 201,1 miliardi di euro, 141,4 miliardi sono relativi a finanziamenti oltre il mezzo milione di euro erogati ad appena 32.608 soggetti, il 2,63% dei clienti “problematici” degli istituti;

25,5 miliardi di sofferenze sono a carico di soli 579 soggetti, lo 0,05% del totale.

Lo rileva il rapporto del Centro studi di Unimpresa “Sofferenze bancarie divise per dimensione dei prestiti” secondo il quale sul 97% dei clienti (più di 1 milione di soggetti), che hanno prestiti da 250 euro a 500.000 euro, pesa solo il 29% delle sofferenze (52 miliardi).
Secondo l’analisi dell’associazione, basata su dati della Banca d’Italia aggiornati a novembre 2015, il 70,35% delle sofferenze delle banche, cioè 141,4 miliardi su 201,1 miliardi complessivi, è relativo a finanziamenti superiori a 500.000 euro. Ad appena il 2,63% dei clienti (32.608 soggetti, sia imprese sia famiglie, su un totale di 1.240.410 clienti problematici) è riconducibile il 70,35% delle sofferenze bancarie (141,4 miliardi). Nel dettaglio, 17,1 miliardi di sofferenze (8,45%) si riferiscono a finanziamenti da 500.000 euro a 1 milione, erogati a 25.973 soggetti (2,09%); 27,7 miliardi (13,83%) si riferiscono a prestiti da 1 milione fino a 2,5 milioni, concessi a 19.274 clienti (1,55%); 23,8 miliardi (11,84%) sono relativi a crediti da 2,5 milioni a 5 milioni, erogati a 7.386 clienti (0,60%); 47,2 miliardi (23,48%) si riferisce a finanziamenti da 5 milioni a 25 milioni, concessi a 5.369 soggetti (0,43%); 25,5 miliardi (12,72%) è legato a prestiti superiori a 25 milioni erogati a 579 clienti (0,05%).
Meno di un terzo delle sofferenze (29,65%), cioè 59,6 miliardi, è invece legato a finanziamenti di importo minore che vanno da 250 euro a 500.000 euro, concessi a una platea molto vasta di clienti ora in difficoltà, pari a 1.207.802 soggetti (il 97,37% del totale). Nel dettaglio, 6,5 miliardi di sofferenze (3,23%) si riferisce a finanziamenti da 250 euro a 30.000 euro erogati a 758.664 clienti (61,19%); 7,8 miliardi (3,90%) sono relativi a prestiti da 30.000 euro a 75.000 euro concessi a 161.641 soggetti (13,03%); 9,1 miliardi (4,50%) è relativo a crediti da 75.000 euro a 125.000 euro erogati a 93.168 clienti (7,51%); 20,2 miliardi (10,’8%) si riferisce a finanziamenti da 125.000 euro a 250.000 euro concessi a 119.504 soggetti (9,63%); 15,9 miliardi è legato a crediti da 250.000 euro a 500.000 euro erogati a 48.552 clienti (3,91%).
Fonte: qui

venerdì 22 aprile 2016

ANAC - UN VERO E PROPRIO BLUFF IL NUOVO CODICE DEGLI APPALTI VARATO DA RENZI

renzi-cantone-656055-tn-747095L’ ANAC DI CANTONE INTERVERRA’ SOLO SULLE GARE SUPERIORI AI 5,2 MILIONI DI EURO

Tema delicatissimo quello degli appalti pubblici, vera e propria mangiatoia per i politici(e i dirigenti!).

La regola del massimo ribasso (con successive varianti) resta per l’81% delle gare, mentre l’ Anac avrà voce in capitolo solo sul 5% dei bandi

Sergio Rizzo per il “Corriere della Sera
RENZI CANTONE
RENZI CANTONE
«Il massimo ribasso è morto, viva il massimo ribasso!». Avrebbero potuto annunciare così, venerdì scorso, il nuovo codice degli appalti.

Una riforma che avrebbe dovuto rendere più agevole e trasparente la strada delle opere pubbliche, e soprattutto stroncare la corruzione. Dove invece non mancano sorprese: nella migliore tradizione di una politica per cui il confine fra gli interessi della collettività e quelli delle lobby è sempre impalpabile.

I pilastri della rivoluzione dovevano essere solidi e qualificanti. Due, sopra tutti. Il primo: la fine della regola del massimo ribasso. Si tratta del meccanismo per cui le gare vengono assegnate a chi offre il prezzo minore, salvo poi consentire all’impresa di recuperare con lauti interessi grazie a varianti sempre generosamente concesse da compiacenti stazioni appaltanti. Ragion per cui è considerato uno dei principali incubatori della corruzione.
Ecco allora la promessa: non più gare aggiudicate al prezzo minore bensì con la valutazione dell’offerta più vantaggiosa sotto vari aspetti. Una rivoluzione epocale capace di mettere in ginocchio un sistema collaudato da decenni. E i gruppi di pressione si sono subito messi all’opera.
Il braccio di ferro sulla soglia minima dell’importo da cui partire per applicare il nuovo metodo si è rivelato inevitabile, non appena la bozza del codice degli appalti scritta dal governo in base alla legge delega è sbarcato in Parlamento per il parere.
Non soltanto con le imprese e i burocrati degli uffici legislativi, ma pure con le Regioni guidate dal presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, e con l’Anci di Piero Fassino: entrambi esponenti del Partito democratico.
In quindici mesi i due relatori (Stefano Esposito e Raffaella Mariani, entrambi del Pd) hanno cercato di sanare le magagne ed eliminare le pillole avvelenate. Si erano guadagnati anche l’approvazione del presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone, il quale considerava il parere parlamentare un ottimo risultato.
Avevano proposto 150 mila euro come soglia oltre la quale il massimo ribasso doveva essere bandito. E non era stato facile. L’Ance, l’associazione dei costruttori edili presieduta da Claudio De Albertis, chiedeva, all’unisono con la Conferenza Stato-Regioni, di alzare il tetto a due milioni e mezzo.

Sia pure con l’esclusione automatica delle cosiddette «offerte anomale».

Per i due relatori è finita con una mezza Caporetto. Il testo finale varato dal Consiglio dei ministri venerdì 16 aprile non ha tenuto in alcun conto su questo punto, uno dei più delicati, il parere delle Camere. E non ha avuto successo neppure la mediazione del ministero delle Infrastrutture, che puntava su una soglia di 500 mila euro.

Dunque il massimo ribasso, in una forma di fatto identica, sopravviverà pure con il nuovo codice per le gare fino a un milione di euro. Che sono l’81 per cento del totale.

Il secondo pilastro era il coinvolgimento dell’Anticorruzione. La scelta dei commissari di gara sarebbe stata affidata a Cantone, che li avrebbe sorteggiati da un apposito elenco. Questo per evitare qualunque rischio insito nella nomina delle commissioni aggiudicatrici da parte delle amministrazioni locali. Le quali non hanno fatto salti di gioia all’idea di perdere tutto quel potere. E hanno lavorato in profondità. Con successo.

Così i commissari dell’Anac avranno voce in capitolo solo a partire da gare di importo superiore a 5,2 milioni.

Il che equivale a dire che il 95 per cento degli appalti verrà assegnato esattamente come prima.

L’argomentazione che ha convinto il governo?

Regioni e Comuni sostenevano che con i commissari Anac si spendeva troppo: evidentemente scordando che oggi la corruzione fa lievitare del 40 per cento il costo delle opere pubbliche in Italia.

Lo dice una stima del fu governo di Mario Monti. E Renzi, che ha definito il nuovo codice «una riforma strutturale con regole semplici e meno astruse che chiude le strade alla corruzione», se la ricorda?
Fonte: qui

martedì 19 aprile 2016

VOLTA IN BRASILE: LA CAMERA APPROVA L'IMPEACHMENT PER DILMA ROUSSEFF

dilma-787175IL GOVERNO URLA AL GOLPE

PER LE STRADE ESPLODE LA FESTA

E' stata una votazione ad altissima tensione, al termine di una sessione durante la quale a tratti si e' sfiorato anche lo scontro fisico tra i deputati

Dilma esclude le dimissioni

Il governo annuncia battaglia al Senato, l’iter per la destituzione della presidente è ancora lunghissimo

DILMA
DILMA
La Camera dei deputati brasiliana ha approvato, al termine di una maratona cominciata venerdi' scorso, l'apertura di un procedimento di impeachment nei confronti della presidente di sinistra Dilma Rousseff, il cui mandato scade nel 2018. Il governo ha ammesso la sconfitta prima del raggiungimento del quorum di 342 voti, quando i si' erano 304 contro 107 no.
BRASILE CAMERA APPROVA IMPEACHMENT PER DILMA
BRASILE CAMERA APPROVA IMPEACHMENT PER DILMA
''Le possibilita' di invertire il trend sono pari a zero, daremo battaglia al Senato'', ha annunciato il capogruppo alla Camera del Partito dei lavoratori, Jose' Guimaraes. Al momento del raggiungimento del quorum e' esplosa la gioia tra i deputati di opposizione e tra i militanti radunatisi davanti alla Camera e nelle strade di numerose citta', dove erano stati allestiti maxi schermi. Una tv ha paragonato l'esplosione di gioia con quella della vittoria di un mondiale di calcio. Sconforto e lacrime invece tra i sostenitori del governo.
E una ''grande delusione'' anche per Dilma e Lula, che hanno assistito alla votazione nella biblioteca del palazzo presidenziale di Brasilia, assieme ad alcuni ministri e governatori del Pt. E' stata una votazione ad altissima tensione, al termine di una sessione durante la quale a tratti si e' sfiorato anche lo scontro fisico tra i deputati a favore e quelli contrari alla destituzione del primo capo di Stato donna della maggiore economia sudamericana. Si tratta di un voto storico dal forte valore politico e simbolico, ma non ancora definitivo.
dilma lula
dilma lula
L'iter e' infatti ancora lungo: il procedimento deve ora passare al vaglio del Senato, dove il presidente Renan Calheiros dovra' istituire una speciale commissione incaricata di decidere se accogliere o meno la proposta. In caso positivo, l'impeachment sara' votato dall'aula. La presidente avra' poi fino a 180 giorni di tempo per difendersi davanti ai giudici della Corta costituzionale. E, infine, il Senato dovra' votare una seconda volta, dopo aver ascoltato la difesa della presidente.

Solo in caso di voto favorevole, a maggioranza dei due terzi degli 81 senatori, Dilma Rousseff decadrebbe dall'incarico e il vice presidente Michel Temer, che assumerebbe l'interim durante i 180 giorni di sospensione della presidente, si insedierebbe ufficialmente.

L'impeachment della presidente Rousseff ha un solo precedente nella storia del Brasile post dittatura, quello di Fernando Collor de Mello, che si dimise prima del voto del Senato travolto dalle accuse di corruzione. Dimissioni escluse, almeno per il momento, da Dilma, che ha annunciato l'intenzione di volersi battere ''con tutte le forze'' contro quello che definisce ''un golpe contro il governo democraticamente eletto''.
Dilma, come ha ammesso anche il leader dell'opposizione, Aecio Neves, da lei sconfitto alla presidenziali del 2014, paga soprattutto "per la sua incapacità di governare il Paese", alle prese con una grave crisi economica che lo ha portato alla recessione. Ad incrinare l'immagine dell'ex guerrigliera marxista di origine bulgara anche gli scandali di corruzione che hanno decapitato i vertici del suo Partito dei lavoratori ed hanno coinvolto direttamente anche l'ex presidente Lula, suo mentore politico.
FESTA PER LE STRADE DEGLI ANTI-DILMA
FESTA PER LE STRADE DEGLI ANTI-DILMA
Due fattori che hanno convinto gli alleati centristi a voltarle le spalle e a stringere accordi con la destra per governare il Paese. Un golpe bianco, secondo Dilma. Il vice presidente Temer è convinto che l'impeachment passerà anche al Senato ma rischia anch'egli una analoga procedura, che spianerebbe la strada al presidente della Camera, Eduardo Cunha, che Dilma ritiene essere il suo vero sicario politico.
Cunha è coinvolto in numerosi procedimenti giudiziari per presunta corruzione e un suo governo, hanno messo in guardia sindacati e movimenti sociali, innescherebbe forti tensioni sociali nel Paese. Per questo motivo, il Pt sta cercando di raccogliere il maggior numero di adesioni alla proposta di elezioni anticipate, che comincia ad essere vista con favore anche da alcuni dei 25 partiti presenti in parlamento.

lunedì 18 aprile 2016

Mutui truccati. I soldi che gli italiani dovrebbero riavere indietro

125512343-980x45015 febbraio 2016 - ROMA (WSI) – Tassi di interesse truccati, mutui truccati in Europa. Ma le banche europee sono protette anche perché, se dovessero risarcire i clienti, sarebbero davvero nei guai. E Bruxelles sta dalla loro parte.

La notizia non è affatto nuova. Ma con il parlare del problema degli attacchi contro le banche italiane, delle varie riforme del governo Renzi, dei casi Deutsche Bank e altro, forse qualcuno si è dimenticato di ricordare che il conto -si apprende salato – per la manipolazione dell’indice Euribor, che avvenne tra il 2005 e il 2008, non è stato ancora pagato.

Il Fatto riporta che:

“secondo Il Sole 24 Ore la manipolazione dell’Euribor riguarda una massa di prodotti finanziari (dai derivati ai mutui casa) superiore ai 400 mila miliardi di euro, circa 200 volte il debito pubblico italiano.

Se le banche europee dovessero restituire anche solo l’1 per cento di quella cifra, si troverebbero di fronte un conto da 4 mila miliardi di euro

Per avere un’idea delle dimensioni del caso basta l’esempio dei mutui casa italiani. Tra il 2005 e il 2008 si può stimare che le famiglie italiane con mutuo a tasso variabile fossero indebitate con le banche per circa 220-230 miliardi e che in quegli anni abbiano pagato, per la quota degli interessi commisurati all’Euribor, circa 30 miliardi.

Secondo le ipotesi di Sorgentone  avvocato italiano, Andrea Sorgentone, collegato all’associazione Sos Utenti, che sta preparando un ricorso alla Corte di Giustizia europea contro il successore di Almunia, la commissaria Margrethe Vestager), 16 di quei 30 miliardi dovrebbero essere restituiti.
Ma c’è anche l’ipotesi più estrema, sostenuta da Antonio Tanza, legale dell’Adusbef: l’irregolarità renderebbe nulli i contratti di mutuo e le banche dovrebbero dunque restituire, come minimo, tutti i 30 miliardi”.

Tutto nasce appunto da una gigantesca truffa, che viene portata avanti per ben tre anni sull’Euribor, il tasso sulla cui base vengono calcolati diversi tassi, tra cui quelli sui mutui.

Ma in generale, scrive Il Fatto, “chiunque avesse debiti a tasso variabile o derivati legati all’andamento dei tassi ha pagato alle banche (a tutte le banche, non solo alle quattro colpevoli) più del dovuto”.

Le quattro banche colpevoli sono Barclays, Deutsche Bank, Royal Bank of Scotland e Société Générale, che nel dicembre del 2013 sono state multate per 1,7 miliardi di euro dall’Antitrust europea, guidata dal vicepresidente della Commissione Joaquìn Almunia. 

Ma “da allora quella sentenza è segretata” e la Commissione europea  è in grave imbarazzo, in quanto ben consapevole delle perdite che le banche subirebbero nel caso in cui dovessero risarcire i clienti che per anni hanno pagato di più di quanto dovessero.
Tra l’altro, “la multa affibbiata da Almunia, poi ridotta a poco più di un miliardo dal patteggiamento, è basata sulla “confessione” della Barclays, che pentendosi si è guadagnata il perdono”.
Nel 2013, Almunia annunciò la severa decisione con parole di fuoco: “La cosa scioccante dello scandalo Euribor non è solo la manipolazione degli indici, ma anche la predisposizione di veri e propri cartelli tra un certo numero di attori della finanza. Vogliamo trasmettere chiaramente il messaggio che la Commissione è determinata a combattere e a multare questi cartelli del settore finanziario”.

Ma Il Fatto riporta come dal giorno dopo gli uffici di Bruxelles abbiano fatto di tutto pur di non pubblicare la sentenza, che dunque non puà essere mostrata ai tribunali e di conseguenza in questo modo è inutile, in quanto chi vuole non può fare ricorso.

Sorgentone ha fatto la sua prima richiesta due anni fa, nel gennaio 2014, e gli fu risposto che la “versione pubblica” della sentenza non era ancora pronta.
La risposta è stata un vero e proprio schiaffo dall’Ue nei confronti dell’avvocato, che ha continuato tuttavia a insistere. Fino a quando, il 28 ottobre scorso, ha ricevuto una lettera del direttore generale della direzione Concorrenza, il tedesco Johannes Laitenberger, braccio destro di Margrethe Vestager.

“La richiesta di accesso agli atti è stata respinta per due ragioni. La prima è che la divulgazione del documento “arrecherebbe pregiudizio” alle indagini ancora in corso contro altre banche. La seconda è che le regole europee tutelano la riservatezza delle banche condannate: con la sentenza verrebbero divulgate “informazioni strategiche circa i loro interessi economici e le operazioni e lo sviluppo dei loro affari”. È vero, ammettono gli uomini della Vestager, che questo diritto alla riservatezza soccombe di fronte all’interesse pubblico, ma Sorgentone ha chiesto copia della decisione sul caso AT/39914 per usarla nella causa di un suo singolo cliente contro la Banca Nazionale del Lavoro. E nella sua domanda “non ha addotto argomenti che consentano di individuare un interesse pubblico prevalente”.

Non che questo trattamento sia stato riservato agli italiani, dal momento che anche “la società tedesca Edeka Handelsgesellschaft Hessenring ha fatto identica richiesta, ha incassato identico diniego e ha fatto ricorso”

domenica 17 aprile 2016

Rivolta civile in arrivo: élite si comprano bunker

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NEW YORK (WSI) – Il fenomeno che terrorizza le menti delle élite benestanti, più di ogni altra cosa anche della diffusione di una malattia epidemica o di uno tsunami, è lo scoppio di una rivolta civile.

Per questo si sta registrando un incremento della domanda per rifugi di lusso ultra sicuri a prova di bomba. Sono bunker sotterranei che in alcuni casi garantiscono protezione per un anno di tempo nel caso in cui scoppi una ribellione di massa dei meno abbienti.

Una delle società di costruzione di tali complessi abitativi blindati, Vivos, ha spiegato che i bunker sono pensati per “mettere al sicuro le persone con patrimoni elevati” nell’eventualità che si manifestino scenari apocalittici in cui la vita di milioni di persone sarebbe a rischio.
Se scoppia il pandemonio, hai un posto dove scappare?”, si chiede nel video promozionale la società che fornisce i rifugi di lusso (vedi video sotto).
La giornalista Lynn Parramore è andata a visitarne alcuni e racconta che il punto di forza di questi bunker sono la ‘location’ e gli optional. In molti casi si trovano a poche distanza dai mezzi di trasporto e da punti di potenziale crisi, come in una regione a rischio tsunami o in un centro abitato dove potrebbero manifestarsi eventuali tensioni sociali.
Il mondo è un luogo che non viene più percepito come sicuro dai più ricchi. Parigi, Roma, Chicago e New York sono alcune delle città che stanno vivendo un esodo in massa dei milionari e in cui chi rimane sta cercando un moto per mettersi al riparo da furti, rapine, rivolte sociali e guerre urbane.

Prezzo di partenza dei bunker: 35 mila dollari

Esistono bunker di estremo lusso, da 283 mila metri quadrati, tanto che ormai secondo Parramore rifugiarsi sottoterra è un po’ come prenotare una suite di lusso in un hotel. Questi bunker “sono creati per le persone più benestanti, che hanno paura che si verifichi un disastro di qualche sorta. Ma la paura principale è che scoppi una rivolta civile, la ribellione del 99%”.

Il riferimento è alla parte della popolazione mondiale ‘svantaggiata’. Il movimento di protesta Occupy Wall Street nato il 17 settembre del 2011 a Manhattan ha creato lo slogan “we are the 99%“, ovvero siamo il 99% della gente che non può gode dei favoritismi e vantaggi dei più ricchi, l’1%.

Il prezzo di partenza per i bunker lussuosi sotto terra, che dispongono anche di cibo e acqua, è di 35 mila dollari, ma i più grandi possono anche costare $3 milioni.

La costruzione più imponente si chiama Europa One e si trova in Germania. Si tratta di “uno dei rifugi di sopravvivenza sotterranea più fortificati che si possano trovate sulla Terra”. È situato nell’estrema profondità di una montagna calcarea ed è “al sicuro dal resto della popolazione, essendo protetto da mura sigillate, cancelli e porte blindate“.
La giornalista Lynn Parramore è andata a visitare un altro bunker simile, questa volta negli Stati Uniti, nell’Indiana, che ai tempi della Guerra Fredda veniva usato come centro di comunicazione. È attrezzato in modo da offrire rifugio per un anno di tempo, senza bisogno di dover tornare in superficie.


Soros e i Putin-Papers, quando il pesce puzza dalla testa

2437306«Quando ho aperto le news, questa mattina, mi è venuto da sorridere: Putin fra coloro che nascondono i propri soldi nei paradisi fiscali. E ti pareva – ho pensato – ora ci manca solo che scoprano che è un pedofilo, e il ritratto del grande babau sarà finalmente completato».

Così Massimo Mazzucco liquida immediatamente la super-sparata giornalistica destinata a screditare il leader russo.

Ed è in buona compagnia: la stessa Wikileaks, scrive la “Stampa”, accusa gli Stati Uniti e il miliardario americano d’origine ungherese George Soros di essere dietro i “Panama Papers”, e in particolare dietro all’attacco sferrato contro il presidente russo.

Lo twitta l’organizzazione di Julian Assange, secondo cui tutto sarebbe passato attraverso l’Occrp (Organized Crime and Corruption Project), finanziato da Usaid, l’agenzia Usa per lo sviluppo. La struttura che fa capo a Soros, si legge sul sito di Wikileaks, oltre che da Usaid è appoggiata dalle Open Society Foundations, nonché da organizzazioni giornalistiche come l’International Consortium of Investigative Journalists, da “Scoop” e dal Cpi, Center for Public Integrity.
Il magnate George Soros«La notizia dei Panama Papers, infatti, non avrebbe nulla di sconvolgente, se non fosse per il risalto esagerato che si è voluto dare alla figura del leader russo all’interno di questo presunto nuovo scandalo», scrive Mazzucco su “Luogo Comune”. «Ma quando vedi che tutte le testate occidentali – dal New York Times alla Bbc, dall’Espresso alla Cnn – mettono l’accento su Vladimir Putin, allora ti viene da sorridere: è chiaro che si tratta di una operazione di discredito progettata a tavolino». La cosa più “divertente”? «Tutte queste testate si danno un gran da fare per riempire la prima pagina con le foto dei vari personaggi coinvolti nello scandalo – da Cameron a Montezemolo, da Messi a Jackie Chan – ma il primo in alto a sinistra è quasi sempre lui: Vladimir Putin». Un’altra cosa che salta all’occhio, in una rosa così forbita di grossi personaggi mondiali, è «la totale assenza di un qualunque nome americano di rilievo». È come se il Dipartimento di Stato avesse chiesto alla Cia: avete qualcosa da poter utilizzare contro Putin? Sì, certo. Un bel mazzo di grossi nomi, che nascondono i loro soldi a Panama. Basta aggiungerci quello di Putin e far circolare lo “scoop” sui soliti canali, avendo però cura si “sbianchettare” gli americani.
«La predominanza totale della figura di Putin da un lato, e la totale assenza di grossi nomi americani dall’altro, porta automaticamente a sospettare che questa sia la classica operazione telecomandata da Washington, per portare avanti la campagna di discredito contro il leader russo», conclude Mazzucco. «La tragedia è che ora, pur di stare al gioco, i giornalisti di mezzo mondo fanno finta di credere che se davvero un uomo come Putin volesse nascondere i soldi dalle tasse, sarebbe costretto a mettersi nelle mani di una qualunque holding di offshore panamense (pronta a ricattarlo in qualunque momento)».
Non è credibile, secondo l’analista italiano, che il capo del Cremlino abbia dovuto far ricorso a simili sistemi di elusione fiscale: «Queste cose le fanno gli industriali e i personaggi pubblici di mezzo mondo, non le fanno gli ex-capi del Kgb»
Fonte: qui

sabato 16 aprile 2016

LA RESPONSABILE SICUREZZA, SALUTE E AMBIENTE DEL CENTRO OLI DI VIGGIANO ERA GIA’ STATA ARRESTATA PER CORRUZIONE E POI PRESCRITTA

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ROBERTA ANGELINI OGGI E’ AI DOMICILIARI: SECONDO I PM NASCONDEVA I DATI DELL’INQUINAMENTO E TRUCCAVA I CODICI DEI RIFIUTI PER SMALTIRLI PIU’ LIBERAMENTE

Perché ENI ha scelto, per guidare i controlli ambientali a Viggiano, un funzionario che a Viggiano 9 anni prima offriva le vacanze al capo dei vigili del fuoco?

Marco Lillo per il “Fatto Quotidiano”
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ROBERTA ANGELINI
Eni si ispira ai principi di correttezza, trasparenza, onestà e integrità", si legge nella home page del sito internet del colosso petrolifero controllato dal Governo.
Cinque funzionari dell' Eni sono finiti agli arresti domiciliari il 31 marzo scorso perché secondo i pm nascondevano i veri dati di inquinamento e truccavano i codici dei rifiuti per smaltirli più liberamente.
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ENI CENTRO OLI VIGGIANO
Secondo quanto ha dichiarato ieri durante un' audizione alla Commissione parlamentare sulle ecomafie il comandante dei Carabinieri del NOE , Sergio Pascali, il risparmio annuo oscillerebbe tra i 40 e i 100 milioni di euro.
Il responsabile dei controlli e della sicurezza ambientale dell' Eni a Viggiano, Roberta Angelini, è stata intercettata mentre scherzava sui superamenti delle soglie. "Oltre a fare superamenti che fate?" chiede al collega Vincenzo Lisandrelli, che risponde ridendo: "ee' Robe' ci stiamo preparando per i fuochi di artificio".
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ENI CENTRO OLI VIGGIANO
È il 30 dicembre 2014 e quando, poche ore dopo, l' Organizzazione Lucana Ambientalista organizza un presidio, Angelini sbotta: "Hanno indetto persino una riunione per stasera.. sti stronzi figli di buona donna guarda …se andiamo la ci fanno neri".
Il punto è che Roberta Angelini era già finita ai domiciliari 12 anni fa per un' altra indagine, sempre della Procura di Potenza, sempre per il centro oli di Viggiano.
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ENI CENTRO OLI VIGGIANO
In quel caso il pm Henry John Woodcock la accusava di avere messo a disposizione del comandante dei Vigili del Fuoco di Potenza una vacanza (pagata poi da una società che lavorava per ENI ) da 2 mila euro in un lussuoso albergo di Ischia e poi una notte in hotel a Ravenna. Woodcock era convinto che ENI volesse ammorbidire il comandante dei Vigili del fuoco per evitare una variante al progetto del centro oli di Viggiano che avrebbe allungato i tempi di costruzione.
Il 13 agosto del 2003 Angelini chiama il comandante dei Vigili e fa il tour operator: "Abbiamo trovato una possibilità per quello che mi aveva detto..(…) per Ischia (…) Le può andar bene? Cristallo Palace Hotel Terme, con Orizzonti come tour operator? (…) località Casamicciola (…) un pacchetto da 4 notti (…)trattamento che chiamano pausa di benessere già incluso".
Il comandante dei vigili risponde ridendo: "Ah, ah perfetto". I due poi furono rimessi in libertà dal Tribunale del riesame e rinviati a giudizio dal Gup. Nel 2011, alle prime battute del processo iniziato dopo un tempo scandaloso, c' è stata la sentenza di non luogo a procedere per prescrizione.

Così il comandante ha proseguito la sua carriera. E Roberta Angelini è stata nominata nel luglio 2012 "responsabile sicurezza, salute, ambiente e permitting" proprio del centro oli di Viggiano. Ora nella nuova indagine è stata messa per la seconda volta ai domiciliari. Con altri quattro funzionari Eni è accusata di avere qualificato "in maniera del tutto arbitraria e illecita" i rifiuti permettendo così a ENI "di smaltire ingenti quantità di reflui liquidi con un trattamento non adeguato e notevolmente più economico".
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ENI CENTRO OLI VIGGIANO
ENI sostiene di avere agito secondo correttezza. Roberta Angelini potrebbe ottenere anche stavolta la prescrizione o l' assoluzione. Il punto però non è Roberta Angelini ma l' atteggiamento dell' ENI rispetto ai controllori. Perché ENI ha scelto, per guidare i controlli ambientali a Viggiano, un funzionario che a Viggiano 9 anni prima offriva le vacanze al capo dei vigili del fuoco?
Il funzionario della Regione, Salvatore Lambiase ora è indagato perché non avrebbe vigilato sullo smaltimento corretto dei rifiuti di ENI. Per i pm di Potenza avrebbe "palesato una posizione di anomala vicinanza ai vertici ENI instaurando con la Angelini un rapporto assolutamente privilegiato". La sensazione è che quel tipo di rapporti con i pubblici ufficiali che per i pm sono una colpa per l' ENI siano invece un merito.

Fonte: qui

venerdì 15 aprile 2016

Un Parlamento illegittimo modifica la Costituzione: scaricate e depositate la denuncia per usurpazione del potere politico, fermiamo il colpo di Stato.

Dopo i drammatici fatti degli ultimi giorni, un Parlamento composto, sono parole della Corte di Cassazione, in grave alterazione dei principi di rappresentatività democratica, ha avuto l’arroganza inaudita di approvare un’ampia revisione costituzionale su ordine diretto del Governo.  Trattasi di un atto eversivo dell’ordinamento senza precedenti che la Magistratura penale ha il dovere di fermare. Ecco la denuncia in integrale che potrete scaricare e depositare in ogni Procura della Repubblica italiana.

Clicca qui sotto per il pdf:

Penale usurpazione potere politico

PROCURA DELLA REPUBBLICA
ATTO DI DENUNCIA – QUERELA
Promosso da __________________________________________________ nato/a a _______________________ il ____________________ e residente in_______________________,
via ____________________________ ed ai fini del presente atto elettivamente domiciliato presso lo studio e la persona dell’Avv. Marco Mori (C.F.: MRO MRC 78P29 H183L – Tel e Fax: 0185.231221 – Pec: studiolegalemarcomori@pec.it), sito in Rapallo (GE), C.so Mameli 98/4.
* * *
L’art. 1 della Costituzione Italiana recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”;
L’art. 287 c.p. punisce: Chiunque usurpa un potere politico, ovvero persiste nell’esercitarlo indebitamente, è punito con la reclusione da sei a quindici anni”.
* * *
PREMESSO IN FATTO
1) Con provvedimento 21 dicembre 2005 n. 270 il Parlamento italiano approvava la nuova legge elettorale, meglio nota con il termine dispregiativo di “Porcellum”, termine di fatto coniato dallo stesso autore del disegno di legge, Roberto Calderoli, che autodefinì il suo lavoro “una porcata”;
2) Le criticità del porcellum erano principalmente due, il premio di maggioranza e l’abolizione del voto di preferenza con cui gli elettori potevano scegliere di premiare uno specifico candidato;
3) Come noto, con sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014, il “porcellum” è stato dichiarato incostituzionale per violazione degli artt. 3, 48, 56 e 58 Cost. In sostanza il voto, in forza di tale legge elettorale, non è più stato espletato dai cittadini in modo eguale, diretto, libero e personale;
4) La Cassazione, con sentenza n. 8878/14, ha potuto poi ribadire il gravissimo vulnus democratico che ha travolto la nostra democrazia affermando, con molta più durezza e decisione della Corte Costituzionale, che: “E in effetti, la dedotta lesione v’è stata per il periodo di vigenza delle disposizioni incostituzionali, poiché i cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto, personale, eguale, libero e diretto, secondo il paradigma costituzionale, per la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, a causa del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, intrinsecamente alterato dal premio di maggioranza disegnato dal legislatore del 2005, e a causa della impossibilità per i cittadini elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento”;
5) Come noto il Parlamento è il fulcro della nostra democrazia, ma non è sovrano di per se stesso, è sovrano solo perché è composto secondo i principi di rappresentatività democratica. La sovranità infatti appartiene al popolo ex art. 1 Cost., che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, limiti oggi palesemente violati;
6) Non vi è dubbio che le Camere avrebbero dovuto essere sciolte, da Giorgio Napolitano prima e da Sergio Mattarella poi, visto il grave vulnus democratico già accertato dalla Magistratura, ma ciò non è avvenuto per grave colpa dei due Presidenti, che tuttavia in merito a tale scelta godono di immunità ai sensi della Costituzione;
7) Ad ogni buon conto tale immunità non riguarda i restanti usurpatori del potere politico, che oggi continuano ad imporre la propria volontà a discapito del popolo italiano;
8) Il semplice mantenimento abusivo del potere politico, che dopo le due sentenze citate è palesemente doloso, avrebbe dovuto portare ad un’incriminazione d’ufficio ex art. 287 c.p. in capo a tutti coloro che hanno proseguito ad esercitarlo indebitamente. La Magistratura non ha avuto il coraggio di operare tale scelta, rinunciando di fatto, sino ad oggi, alla sua indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato, ovvero al potere legislativo e all’ormai sempre più ingombrante ed autoritario potere esecutivo;
9) Un Parlamento composto in violazione dell’art. 1 Cost. ha riformato la Costituzione una prima volta con Legge Cost. n. 1/2012. Con essa è stato inserito, tra l’altro, il vincolo del pareggio in bilancio in Costituzione emendando l’art. 81 Cost. e creando un evidente contrasto interno tra tale norma e l’art. 47 Cost., che al contrario impone alla Repubblica l’adozione di politiche di deficit nel lungo periodo al fine di creare risparmio diffuso;
10) Tale intervento normativo è avvenuto prima della pronuncia della Corte Costituzionale e può dunque esservi dubbio sul dolo necessario alla punibilità della condotta criminosa. Tuttavia visto che lo stesso autore della legge elettorale l’aveva definita “una porcata”, a sommesso avviso di chi scrive, il dolo era già sussistente poiché tutti sapevano della palese incostituzionalità del porcellum;
11) Ad ogni buon conto, tale ragionamento non vale certamente per quanto avvenuto in questi giorni, giorni nei quali ha trovato dimostrazione, con tutta la possibile evidenza materiale, quanto sia stato grave il deficit democratico degli ultimi dieci anni nel Paese;
12) Il Governo ha proposto un’ampia riforma Costituzionale, la più ampia della storia Repubblicana, che il Parlamento ha approvato grazie alla maggioranza artificialmente ottenuta in forza della legge elettorale dichiarata incostituzionale;
13) Un Parlamento composto in accertata violazione dei principi di rappresentatività democratica ha modificato, su ordine del Governo, la Costituzione. Se non si applica l’art. 287 c.p. in un caso del genere, non si vede quando lo si dovrebbe applicare;
14) L’azione penale è obbligatoria per legge e l’inerzia delle Procure non è a questo punto ulteriormente accettabile, è ora che si metta fine alla fase di sospensione democratica che si protrae nel nostro Paese da dieci anni e che ha portato la nostra democrazia ad un passo dal suo definitivo tramonto.
IN DIRITTO
L’art. 287 c.p. punisce chi: Chiunque usurpa un potere politico, ovvero persiste nell’esercitarlo indebitamente, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Usurpare significa arrogarsi ovvero assumere un potere che per legge non spetta.
Come detto nelle premesse il Parlamento non è sovrano di per se, la sovranità appartiene, ex art. 1 Cost. al popolo, che delega il suo esercizio ai propri rappresentati, scelti secondo le forme costituzionali del voto eguale, diretto, libero e personale.
Se l’Ill.ma Procura non “crede” all’Avv. Marco Mori, autore materiale della presente denuncia, allora potrà trovare più credibili i membri della nostra Assemblea Costituente, ovvero i Padri della Costituzione italiana del 1948.
Il vice Presidente dell’Assemblea, l’On. Umberto Tupini, ci ricordava come: Punto centrale di tutto l’ordinamento è il Parlamento. Noi auspichiamo che il Parlamento possa, in avvenire, rappresentare per il nostro popolo come il palladio delle sue libertà e l’istituto senza il quale la democrazia è nome vano e artificioso. Anche il regime fascista parlava di democrazia ma il Parlamento era ridotto ad una smorfia ed a una contraffazione di se stesso”.
L’On. Meuccio Ruini nel progetto di Costituzione, ancor più chiaramente, ribadiva quello che è il concetto cardine per la configurazione del reato di cui si dibatte: “La sovranità del popolo si esplica, mediante il voto, nell’elezione del Parlamento e nel referendum. E poiché anche il referendum si inserisce nell’attività legislativa del Parlamento, il fulcro concreto dell’organizzazione costituzionale è qui, nel Parlamento; che non è sovrano di per se stesso; ma è l’organo di più immediata derivazione del popolo; e come taleriassume in sé la funzione di fare le leggi e di determinare dirigere la formazione e l’attività di governo.
Ricordiamo che nel caso di specie il D.D.L. di riforma Costituzionale è stato firmato da un membro del Governo (Maria Elena Boschi), fatto che da solo già costituisce usurpazione di un potere politico sulla base degli assetti della carta del 1948, in cui ovviamente doveva essere appunto il Parlamento a dirigere l’attività di Governo e giammai il contrario.
Mentre un membro del Governo può certamente proporre un disegno di legge ordinaria al Parlamento, non è possibile che il Governo si occupi di riforme Costituzionali, essendo tale azione, sic et simpliciter, un’eversione dell’ordinamento democratico. Ovvio che con un Parlamento di “nominati”, l’equilibrio tra potere esecutivo e legislativo si è completamente dissolto, trattasi di un altro evidente e nefasto effetto del porcellum.
In ogni caso, se è chiaro che la piana lettura della Costituzione e l’interpretazione autentica di essa dei Padri Costituenti, conducono ad affermare con certezza che il Parlamento è sovrano solo in virtù dell’investitura popolare, viene assolutamente spontaneo chiedersi come possa, un Parlamento composto secondo la Corte di Cassazione in grave alterazione dei principi di rappresentatività democratica, approvare un’ampia riforma Costituzionale scritta oltretutto dal Governo?
Semplicemente non può.
Il fatto che si stia esercitato indebitamente un potere politico è già giurisprudenzialmente accertato, la conseguente commissione del delitto di cui all’art. 287 c.p., da parte di chi ha scritto e voluto la riforma costituzionale e da parte di chi l’ha approvata senza essere investito della sovranità per farlo, è una fatto di sconcertante pacificità.
Si pretende dunque la punizione dei responsabili di questo reato che è ad oggi ancora in corso ovvero specificatamente dei membri del Governo, a partire dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi e dei Parlamentari tutti che, malgrado non avessero alcuna legittimazione democratica, hanno comunque votato a favore della riforma.
Pare davvero appena il caso ricordare, onde evitare sciocche controdeduzioni difensive, che il fatto che la legge costituzionale sarà sottoposta a referendum confermativo ex art. 138 Cost. non esclude affatto l’usurpazione del potere politico, che si è comunque verificata a prescindere dall’esito del futuro referendum.
Un “no” alla riforma eviterà le ulteriori conseguenze del reato commesso, ma ovviamente non retroagisce alla sua consumazione, che palesemente si individua nel momento stesso in cui il potere politico è stato usurpato e trattenuto indebitamente.
Lasciamo alla Procura il compito poi di valutare se, in generale, la prosecuzione della legislatura dopo la sentenza n. 1/2014 sia in toto usurpazione del potere politico e dunque tale usurpazione non si verifichi solo dove sia stata toccata la Costituzione, ma anche nell’ordinaria azione legislativa.
Lo scrivente aderisce a tale tesi in quanto la Corte Costituzionale, laddove definisce un fatto concluso le elezioni che hanno formato il presente Parlamento, legittimando l’azione ordinaria dello stesso (ma non già quella straordinaria!) ha detto una clamorosa sciocchezza, che in ogni caso non incide assolutamente sull’obbligatorietà dell’azione penale.
Anzi a dirla tutta che la Corte abbia legittimato un’usurpazione del potere politico mi avrebbe indotto, senza esitazione alcuna, ad inserirne i membri tra i denunciati in questo atto. Solo l’immunità dei suoi membri rende inutile farlo, ma non c’é dubbio che quella sentenza sia uscita, anche sotto il profilo penale, dai binari di uno Stato di diritto.
Se il Parlamento non è sovrano di per se, come scritto nero su bianco dai nostri Padri Costituenti, in caso di violazione dei principi di rappresentatività democratica, esso non può proseguire nella sua attività.
Dove non è intervenuta la Corte Costituzionale, laddove non sono intervenuti due discutibili Presidenti della Repubblica, deve intervenire la Magistratura penale.
La critica argomentata alla sentenza della Corte, già chiara in queste parole, merita comunque una spiegazione che si trae pedissequamente, trascrivendola, dal libro “Il tramonto della democrazia – analisi giuridica della genesi di una dittatura europea, 2016, Agorà & Co.” scritto proprio dall’autore materiale del presente atto, Marco Mori:
L’illegittimità del Parlamento avrebbe dovuto portare ad un ovvio “reset” istituzionale, con la restituzione della sovranità al popolo (suo unico legittimo proprietario) per l’immediato ripristino della rappresentatività democratica, ma ciò non è quello che è accaduto.
La Corte Costituzionale nella parte motiva della pronunzia, dopo aver dichiarato l’incostituzionalità della legge, si è purtroppo anche così espressa:
È evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere.
Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio «che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. “retroattività” di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiaratainvalida» (sentenza n. 139 del 1984).
(N.d.a. – se vale appena la pena ricordarlo, perché la Corte si è affannata a specificare questo concetto? Forse perché esso palesemente sovverte la naturale efficacia retroattiva delle sue sentenze? Quantomeno ambiguo: excusatio non petita, accusatio manifesta).
Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti (n.d.a. – clamorosamente falso visto che l’art. 66 Cost. dispone: “ciascuna camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità ed incompatibilità”. Quale causa sopraggiunta d’illegittimità è più grave di una pronuncia di incostituzionalità della legge elettorale? Non posso immaginarne alcuna).
Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.
Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. È pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio – è appena il caso di ribadirlo – che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finché non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.)”.
La Corte chiaramente ha affermato che la composizione attuale dei due rami del Parlamento costituisce situazione giuridica esaurita e che dunque la legittimazione, anche a legiferare, delle Camere ad oggi permane. Tuttavia la situazione è ben diversa rispetto a quanto prospettato nella citata sentenza, che risulta affetta da gravi errori, sia sotto il profilo logico, che giuridico. Pare davvero una volontaria, ed assai improbabile, arrampicata sugli specchi.
La Corte Costituzionale ha certamente sbagliato, rendendo lecito il dubbio che il porcellum stesso abbia demolito il suo ruolo di garanzia nell’imporre il rispetto della democrazia costituzionale, ruolo possibile solo se l’indipendenza dei suoi componenti dagli altri poteri dello Stato resta assoluta.
Per i giuristi è venuto il momento di smettere di voltarsi dall’altra parte e dire le cose come stanno, le conseguenze infatti sono troppo gravi. Il fatto che siano magistrati in forza alla Corte Costituzionale a scrivere sciocchezze non ci impone di osservare un omertoso silenzio in segno di un rispetto a questo punto largamente immeritato.
Il diritto di opinione, fortunatamente, resta. Ma andiamo con ordine.
In primo luogo, per capire il punto, occorre ovviamente chiedersi quali siano i poteri della Corte Costituzionale e se, conseguentemente, la stessa avesse o meno la possibilità di pronunciarsi, con gli effetti propri del giudicato, su qualcosa di diverso dalla mera declaratoria di incostituzionalità della norma oggetto del suo esame, o di quelle consequenziali ad essa.
Effettivamente vi sono solidi argomenti giuridici per ritenere che la pronunzia in merito all’attuale legittimazione del Parlamento sia, oltre che palesemente errata, anche assolutamente incidentale e dunque non vincolante nel nostro ordinamentoe ciò in quanto la determinazione degli effetti dell’incostituzionalità di una norma non rientra affatto nei poteri che la Costituzione conferisce ai sensi dell’art. 134 alla Corte stessa. In claris non fit interpretatio.
A fondamento della propria presa di posizione circa la piena legittimazione dell’attuale Parlamento la Corte richiama due norme di legge. Tuttavia, proprio menzionando tali norme, la stessa finisce per evidenziare compiutamente i vizi del proprio ragionamento.
Le norme richiamate infatti codificano gli effetti della declaratoria d’incostituzionalità sancendone la piena retroattività. Esaminiamole.
L’art. 136 Cost., a piena conferma del mio ragionamento, dispone:
Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”.
Dunque è la Costituzione a determinare quali siano gli effetti della declaratoria d’incostituzionalità e non la Corte Costituzionale secondo il suo arbitrio.Secondo la Costituzione la norma dichiarata incostituzionale non viene abrogata ma perde efficacia nell’ordinamento.
La perdita di efficacia è qualcosa di ben più profondo di una semplice abrogazione in quanto presuppone la retroattività degli effetti della pronuncia della Corte. Di palmare evidenza che, se un Parlamento illegittimo nella sua composizione continua tranquillamente a legiferare, gli effetti della norma dichiarata incostituzionale permangono vivi più che mai nell’ordinamento. In verità più il Parlamento legifera e più gli effetti della legge dichiarata incostituzionale si diffondono e si moltiplicano!
Se poi il Parlamento da il via ad un ampia revisione Costituzionale, volta peraltro a cancellare la sovranità e l’indipendenza del Paese, siamo davvero difronte ad un atto sostanzialmente eversivo che la Corte non ha saputo fermare sul nascere, malgrado ne avesse l’evidente obbligo.
D’altro canto, una situazione giuridica può dirsi logicamente esaurita unicamente laddove non continui a determinare nuovi effetti (conseguenze) nell’ordinamento.
Ad ulteriore conferma dell’assoluta erroneità del ragionamento della Corte basta anche solo rammentare che la Costituzione prevede un meccanismo atto ad assicurare la continuità dello Stato laddove dispone, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti “finché non siano riunite le nuove Camere” (art. 61 Cost.).
Pertanto, non corrisponde al vero neppure l’ulteriore esternazione che si legge in sentenza, ovvero che la perdita di poteri in capo al Parlamento avrebbe creato pregiudizio al corretto funzionamento delle istituzioni democratiche. Il Parlamento avrebbe ben potuto legiferare in via d’urgenza fino all’avvento delle nuove elezioni.
Poter legiferare nanti ad una situazione di necessità certamente non significa “fregarsene” dell’alterazione della rappresentatività democratica e portare a termine il mandato parlamentare come se nulla fosse accaduto: così si entra a pieno titolo nel diritto penale, data l’evidente appropriazione di un potere politico che apparterrebbe esclusivamente al popolo (art. 287 c.p.).
Il pregiudizio, al contrario, sussiste solo laddove si consente ad un Parlamento illegittimo di proseguire nella sua attività.
L’art. 30 Legge n. 87/1953, ad ulteriore conferma delle tesi che affermo con il necessario furore che scaturisce dall’assistere impotente al tradimento dei valori repubblicani, recita:
La sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, entro due giorni dal suo deposito in Cancelleria, è trasmessa, di ufficio, al Ministro di grazia e giustizia od al Presidente della Giunta regionale affinché si proceda immediatamente e, comunque, non oltre il decimo giorno, alla pubblicazione del dispositivo della decisione nelle medesime forme stabilite per la pubblicazione dell’atto dichiarato costituzionalmente illegittimo. La sentenza, entro due giorni dalla data del deposito viene, altresì, comunicata alle Camere e ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario adottino i provvedimenti di loro competenza. Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”.
Dunque, anche la seconda delle norme richiamate dalla Corte Costituzionale a sostegno delle proprie ragioni, in realtà, non limita affatto la retroattività degli effetti della pronuncia d’incostituzionalità di una legge in riferimento ai soli rapporti giuridici tuttora pendenti.
L’apodittico assunto della Corte circa la non retroattività degli effetti della propria pronuncia non può avere gli effetti propri del giudicato.
Peraltro, ed è appena il caso di sottolinearlo nuovamente, ai sensi dell’art. 1 Cost.“La sovranità appartiene al popolo”.
Non si riesce ad immaginare nulla che possa contravvenire maggiormente a tale fondamentale precetto (non a caso espresso nell’articolo 1) di un Parlamento che continui a legiferare, nonostante la sua elezione sia avvenuta proprio in violazione del rispetto della sovranità popolare stessa.
Come può la Corte Costituzionale definire tale stato di cose una situazione giuridica “esaurita”? Molto semplicemente non può e la realtà di questi giorni lo conferma pienamente. Gli “abusivi” si sono infatti elevati a Padri Costituenti.
Ritengo che la storia sarà addirittura più dura di me quando, tra qualche decennio, si tornerà a dibattere su quanto accaduto in questi tempi oscuri per la ragione.
Altrettanto infondato è infine ritenere che la nomina a parlamentare sia un fatto giuridico esaurito anche in riferimento all’art. 66 Cost., che dispone l’esatto contrario:
Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.
Ergo, se la nomina di un Parlamentare diventa illegittima, anche successivamente al voto, può comunque essere travolta, con buona pace dell’assurdità di ritenere fatto esaurito la composizione di un Parlamento. Non si vede causa di ineleggibilità sopraggiunta più clamorosa di quella che dichiara incostituzionale, per violazione dei principi di rappresentatività democratica, la legge che ha portato una determinata persona in Parlamento.
In merito poi alle norme emanate dall’attuale Parlamento composto da abusivi le argomentazioni sopra esposte conducono alle seguenti conclusioni.
Le leggi precedenti alla sentenza della Corte sono legittime (si possono effettivamente ritenere un fatto giuridico esaurito), quelle successive invece, tra cui anche l’ampia riforma istituzionale, sono sic et simpliciter un fatto illecito, a mio avviso ampiamente all’interno, al di là delle irrilevanti osservazioni della Corte Costituzionale sul punto, all’ambito di operatività della fattispecie penale di usurpazione del potere politico punito ex art. 287 c.p.
Ma a livello pratico tutto ciò cosa comporta realmente?
Comporta la morte dello Stato di diritto e l’apertura di una fase di assoluta incertezza degli equilibri istituzionali del Paese. Infatti, innegabilmente, ancora oggi è possibile sostenere in giudizio che qualsivoglia legge emessa dal Parlamento, successivamente alla pubblicazione della sentenza n. 1/2014, sia costituzionalmente illegittima.
Solo laddove tale questione arrivasse nuovamente sul tavolo della Corte Costituzionale sarebbe possibile per la stessa pronunziare sentenza avente efficacia di giudicato sul punto (augurandoci che questa volta la Corte faccia diritto anziché politica, sempre che questo sia ancora possibile dopo che una legge elettorale ha regalato alla maggioranza tutti gli organismi di controllo democratici), circostanza che non si è verificata con la sentenza di cui si discute in cui oggetto del contendere era unicamente la legge elettorale.
Pertanto, ad oggi, ogni nuova legge emanata dal Parlamento è potenzialmente passibile di essere dichiarata illegittima dalla stessa Corte Costituzionale, che del tutto legittimamente potrebbe (anzi dovrebbe) mutare l’orientamento espresso in via unicamente incidentale nella sentenza di cui si dibatte e magari scusarsi con il popolo italiano per avere omesso di svolgere correttamente i suoi compiti istituzionali.
Ma ovviamente la Corte godrà della necessaria indipendenza di decisione? O i giudici nominati saranno i figli del partito che li ha portati a quelle importanti, e giustamente ben pagate, poltrone?
Costituzionalmente parlando vi è però anche un altro organo istituzionale che ha il potere, anzi il dovere, di porre fine a questa situazione di potenziale cortocircuito dovuta dall’apertura di una fase di grave incertezza del diritto, che potrebbe esplicitarsi anche tra molti anni, con conseguenze evidentemente catastrofiche: trattasi del Presidente della Repubblica, unico soggetto giuridico che può sciogliere le Camere.
Tuttavia, prima Napolitano, ed oggi Mattarella, entrambi eletti in violazione dei criteri di rappresentatività democratica, non hanno mosso un dito”.
Il testo, tratto dal volume suindicato, non fa che evidenziare come la sentenza sia completamente abnorme, illogica e diretta unicamente ad uno scopo politico, mantenere in vita un Parlamento che viola i principi di rappresentatività democratica in spregio allo stesso concetto di democrazia.
L’Ill.ma Procura ha il dovere di intervenire come ultimo baluardo della legalità in questo Paese ormai dominato dal potere finanziario internazionale che, come sappiamo, ha voluto fortemente questa riforma.
Tutto ciò richiamato e premesso l’esponente
CHIEDE
Che i responsabili dei reati di cui in epigrafe indicati siano condannati penalmente in base alle norme penali suindicate ovvero a quelle meglio viste e ritenute da codesta Ill.ma Procura della Repubblica.
Si esprime la volontà di ricevere informazione circa eventuale iniziativa archiviatoria presso il domicilio eletto.
Si chiede l’emissione dei provvedimenti cautelari meglio visti e ritenuto per fermare quello che appare, a tutti gli effetti, un colpo di stato.
Con la massima osservanza. L’autore del presente atto, Avv. Marco Mori, resta a totale disposizione dell’Ill.ma Procura per ogni opportuno chiarimento.
Luogo e data.
Firmato
Avv. Marco Mori – blog scenarieconomici – membro di Alternativa per l’Italia – autore de “Il tramonto della democrazia – analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” disponibile sulla piattaforma online ibs

Fonte: 
http://scenarieconomici.it/un-parlamento-illegittimo-modifica-la-costituzione-scaricate-e-depositate-la-denuncia-per-usurpazione-del-potere-politico-fermiamo-il-colpo-di-stato/