I commercialisti confermano l'incremento fiscale nel triennio. Sostanzialmente invariata per il cittadino medio ...
Ma la cifra lieviterà per le imposte locali
Giovedì l'Ufficio parlamentare di bilancio ha quantificato in uno 0,4% di Pil l'aumento della pressione fiscale da imputare alla legge di Bilancio.
Dalle stime macro, alla stima degli effetti delle singole misure, l'ufficio studi del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ieri ha confermato: per il contribuente italiano il saldo tra dare e avere sarà negativo, nel senso che verserà al fisco 12,9 miliardi in più tra il 2019 e il 2021.
Dai calcoli effettuati sulla manovra approvata dal Senato risulta che nel triennio 2019-2020, ci sono 7,3 miliardi di maggiori entrate che arrivano dai condoni contenuti nel decreto fiscale, dal saldo e stralcio inserito nella legge di bilancio e da altri regimi opzionali scelti dai contribuenti.
Poi ci sono 12,4 miliardi di nuove tasse vere e proprie. Dalla somma delle due voci in entrata va sottratta la riduzione del prelievo fiscale, pari a 6,8 miliardi in tre miliardi. Il saldo è appunto 12,9 miliardi di entrate fresche per le casse dello Stato e di pressione fiscale aggiuntiva per i contribuenti.
Ma il conto potrebbe aumentare, visto che lo sblocco della tassazione locale è tutta da quantificare, anche se secondo alcune stime (non dei commercialisti) potrebbe arrivare a un miliardo.
Nel dettaglio i 12,4 miliardi di tasse in più sono da imputare al giro di vite su banche e assicurazioni (5,6 miliardi), sulle imprese in generale (2,4 miliardi), sul settore del gioco d'azzardo (2,1 miliardi), sui grandi gruppi dell'economia digitale (1,3 miliardi), sui consumatori (0,6 miliardi) e sugli enti del non profit (0,4 miliardi).
Le riduzioni sono la flat tax sulle partite Iva (-4,8 miliardi) e sul settore immobiliare, dell'edilizia e degli interventi sulla casa in generale (-1,8 miliardi) e altri interventi minori (-0,2 miliardi). L'ufficio studi dei dottori commercialisti ha esaminato anche l'effetto delle misure fiscali inserite in manovra, categoria per categoria.
Il conto per le imprese è il risultato di riduzioni della pressione, in particolare l'Imu sui capannoni dalle imposte sui redditi (-457 milioni), l'aliquota al 155 sugli utili reinvestiti (-3,7 miliardi) e di vari aumenti tra i quali spicca l'abrogazione dell'Iri, l'imposta sul reddito imprenditoriale che costerà alle aziende 4,48 miliardi di euro in te anni, cancellazione dell'Ace (meno 4 miliardi) e della riduzione del credito di imposta per ricerca e sviluppo (meno 600 milioni).
Tutte negative le voci che riguardano il gioco d'azzardo e l'economia digitale. Ma le tasse aumentano anche per i consumatori, tra tagli dell'Iva nel 2019, cioè la cancellazione delle clausole di salvaguardia e gli aumenti in programma nel 2020 e 2021.
La simulazione dei commercialisti contabilizza il raddoppio Ires sul no profit che vale 434 milioni nei tre anni. Ma questa norma dovrebbe essere cancellata nel 2019. Va meglio al mondo dell'autotrasporto (con appena 12 milioni in meno) e allo sport (meno tasse per 34 miliardi). Positivo il saldo per le partite Iva, che pagheranno 332 milioni di euro di tasse in meno nel 2019, che poi saliranno a 1,9 milioni e 2,5 nei due anni successivi. Merito dell'estensione del regime dei minimi e della flat tax per i redditi tra 65 e 100 mila euro. Apparentemente bene anche al settore immobiliare, avvantaggiato soprattutto dalla detrazioni per ristrutturazioni e interventi salva energia. Il saldo è di una riduzione delle tasse di 1,8 miliardi nel triennio. Proroghe di sgravi già esistenti. All'orizzonte ci sono gli aumenti delle tasse locali.
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Pensioni col trucco: prima l'aumento Poi il governo fa scattare la sforbiciata
Con la legge di Bilancio previsto un conguaglio che a marzo annullerà la rivalutazione degli assegni: così lo Stato risparmierà 2,29 miliardi
Prima l'aumento, poi la stangata. Per i pensionati non c'è pace. Basta guardare l'ultima circolare Inps che da un lato annuncia gli incrementi sugli assegni e dall'altro lascia presagire l'arrivo di una amara sorpresa.
A gennaio infatti la rivalutazione sugli assegni scatterà senza le penalizzazioni previste dalla legge di Bilancio. La comunicazione dell'Istituto di previdenza sociale (circolare 122/2018) diffusa il 27 dicembre parla chiaro: l'adeguamento degli assegni terrà conto della variazione dell'inflazione dell'1,1%. Inoltre il meccanismo adottato per il ricalcolo sarà basato sulla legge 388/2000 e non sui paletti imposti dalla manovra. Gli assegni avranno un adeguamento del 100 per cento fino a tre volte il minimo, del 90 per cento fino a cinque volte il minimo e del 75 per cento per gli assegni oltre questa soglia. Ma è a questo punto che arriva la doccia fredda.
L'Inps, sempre nella stessa circolare, «segnala» l'arrivo della stangata con due righe: «In previsione dell'entrata in vigore della legge di bilancio per l'anno 2019, gli incrementi per il 2019 descritti nella presente circolare potranno subire variazioni». Parole chiare che aprono le porte alle sforbiciate. Insomma a gennaio i pensionati avranno un assegno più pesante per poi perdere una parte dell'aumento ottenuto con un successivo conguaglio che recepirà le indicazioni della manovra. Vediamo dunque come cambiano gli importi con il trattamento automatico dell'Inps e con le «modifiche» apportate dalla legge di Bilancio.
Un pensionato che incassa al mese un assegno da 2.300 euro lordi a gennaio riceverà un assegno da 2.324,44 euro. Poi arriverà il conguaglio (probabilmente a marzo) e lo stesso assegno passerà a 2.319,48 euro lordi. La musica non cambia se aumenta l'importo: un assegno da 4.700 euro a gennaio sarà di 4.744,64 euro per poi scendere nei mesi successivi a 4.720,68 euro. Di fatto con i «ritocchi» voluti dal governo, per le pensioni superiori a 3 volte il minimo e inferiori a 4 la rivalutazione sarà del 97%, del 77% per gli importi tra 4 e 5 volte il minimo, del 52% tra 5 volte e 6 volte il minimo, del 47% oltre 6 volte, del 45 oltre 8 volte e solo del 40% oltre 9 volte il minimo. Dietro queste percentuali si nasconde la mazzata sui pensionati che porterà nei prossimi tre anni 2,29 miliardi nelle casse dello Stato. La circolare Inps però dà anche altre indicazioni: l'importo dell'assegno minimo per i dipendenti e per gli autonomi da 507,42 euro passa a 513,01 euro. Briciole per le pensioni sociali che passano da 373,33 euro a 377,44 euro, gli assegni sociali invece passano da 453 euro a 457,99 euro. I pensionati che dovranno fare i conti con i tagli sono scesi in piazza: «Non siamo il bancomat del governo». Ma le proteste non cambieranno i piani dell'esecutivo. La falce sugli assegni entrerà in azione dopo il conforto di un finto aumento.
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