Ieri mattina alle urne aveva detto: «Una giornata importante» Il vero ispiratore della riforma adesso ha la coda tra le gambe
Roma - L'ultima sortita è stata quella di ieri mattina quando il presidente emerito, Giorgio Napolitano, accompagnato dalla consorte Clio, ha votato per il referendum costituzionale al seggio in via Panisperna.
Una giornata «importante», s'è limitato a rispondere ai cronisti assiepati sottolineando vieppiù l'importanza della consultazione alla quale aveva sostanzialmente affidato il proprio testamento politico. È andata come i sondaggi prevedevano: King George, pertanto, è stato il grande sconfitto assieme a Matteo Renzi e a Maria Elena Boschi che alla riforma da lui ispirata avevano dato il proprio nome.
Oggi, a pochi giorni di distanza, risultano quasi profetiche quelle parole del premier dimissionario pronunciate durante un comizio. «Non sono attaccato alla poltrona come altri e sono stato chiamato da Napolitano per fare le riforme».
Insomma, alla fine s'è scoperto che, fosse stato per Renzi, la faccia su quella modifica costituzionale non l'avrebbe nemmeno messa se non gliel'avesse chiesto il Quirinale.
E altrimenti non si può spiegare quell'attacco frontale a Mario Monti e ai governi tecnici degli ultimi giorni di campagna, uno sgarbo bello e buono a Giorgio Napolitano che s'era abituato a trattare Palazzo Chigi come una propria dépendance, insediandovi l'uomo che ha messo in ginocchio il Paese a suon di tasse condannandolo a una recessione dalla quale ancor oggi fatica a tirarsi fuori nonostante la spesa in deficit di Renzi sotto forma di mance e mancette varie.
Insomma, alla fine s'è scoperto che, fosse stato per Renzi, la faccia su quella modifica costituzionale non l'avrebbe nemmeno messa se non gliel'avesse chiesto il Quirinale.
E altrimenti non si può spiegare quell'attacco frontale a Mario Monti e ai governi tecnici degli ultimi giorni di campagna, uno sgarbo bello e buono a Giorgio Napolitano che s'era abituato a trattare Palazzo Chigi come una propria dépendance, insediandovi l'uomo che ha messo in ginocchio il Paese a suon di tasse condannandolo a una recessione dalla quale ancor oggi fatica a tirarsi fuori nonostante la spesa in deficit di Renzi sotto forma di mance e mancette varie.
Non per niente Silvio Berlusconi tutte queste circostanze non ha mancato di ricordarle durante i suoi interventi a favore del No invitando l'ex capo dello Stato a «evitare esternazioni comunque ineleganti», visto che «per anni avrebbe dovuto essere il garante delle regole della democrazia, e invece ha fatto di tutto per creare, promuovere e sostenere una serie di governi, da Monti a Renzi, non scelti dagli italiani».
Non erano parole a casaccio quelle del Cavaliere perché fino all'ultimo minuto Napolitano aveva voluto far sapere urbi et orbi che quella era la sua partita, anche se la stava giocando da «allenatore».
Non erano parole a casaccio quelle del Cavaliere perché fino all'ultimo minuto Napolitano aveva voluto far sapere urbi et orbi che quella era la sua partita, anche se la stava giocando da «allenatore».
«Sono convinto della necessità di questa riforma da oltre trenta anni», aveva dichiarato a Porta a porta denunciando il clima arroventato che aveva trasformato, a suo dire, la campagna elettorale in «una sfida aberrante». Perché, secondo il metro di giudizio di Napolitano, è da aborrire tutto ciò che incontra la sua personale riprovazione: un tempo Berlusconi, oggi Grillo, domani chissà. Vecchie coazioni a ripetere dei tempi di Botteghe Oscure.
Per denigrare M5S, la scorsa settimana Re Giorgio s'era spinto oltre le colonne d'Ercole. «Non esiste politica senza professionalità come non esiste mondo senza élite», aveva detto. Alla faccia della democrazia e della Costituzione.
Fonte: qui
Nessun commento:
Posta un commento