domenica 4 dicembre 2016

Manovra in deficit e rischio accise È rimasto un buco da 22 miliardi

Legge di Bilancio e contratti di lavoro gravano sui conti 2018

Come al solito nessuna politica sociale ed economica e nessun investimento pubblico su qualcosa che dia una possibilità di sviluppo del paese in futuro.

Solo mance elettorali.

Roma - Nel post referendum sarà difficile fare quadrare i conti, comunque vada il voto e chiunque sarà l'inquilino di Palazzo Chigi.
E non è colpa delle turbolenze dei mercati, in caso di vittoria del No, né di un aumento degli interessi sul debito.
Le difficoltà vengono dalla legge di Bilancio, ma anche dal contratto degli statali siglato pochi giorni fa in pompa magna. Due eventi che hanno lasciato un «buffo» sui conti del 2018 che ora è intorno ai 22 miliardi, ma che potrebbe salire ulteriormente.
Il grosso sono della bolletta che arriverà nel dicembre 2017 sono le clausole di salvaguardia.

La «finanziaria», in deficit e generosa oltre il dovuto proprio a causa del referendum, ha portato il conto delle clausole di salvaguardia a 19,8 miliardi.

Il governo dovrà trovare una somma che già corrisponde a una manovra per evitare l'aumento dell'Iva al 25% e un incremento delle accise.


Poi il contratto degli statali, rinnovato mercoledì per il triennio 2016-2018.

Per il pubblico impiego nella manovra ci sono 2,6 miliardi complessivi sul 2018, tra nuove assunzioni e rinnovo del contratto. Solo il secondo anno di aumenti per i dipendenti pubblici, a secco da sette anni, costerà 1,9 miliardi.
Poi c'è il costo dell'operazione che servirà a garantire il bonus da 80 euro anche a chi, con gli aumenti di quest'anno, avrebbe perso il diritto a riceverlo. Cifra difficile da prevedere.

Per il 2017 si va da 150 milioni del governo ai 400 milioni previsti dai sindacati.

Spese inevitabili che si riproporranno anche nel 2018. Ma c'è di più. Promettendo aumenti mini medi di 85 euro, il governo ha di fatto sforato le previsioni di spesa.

Tutto dipende da come andranno le trattative per i contratti delle singole categorie di dipendenti pubblici (quella siglata nei giorni scorsi era un'intesa politica). Difficile che il welfare e benefit promessi dal governo, siano a costo zero. Impossibile che non ci siano da coprire, proprio a partire dal 2018, i premi di produzione, che tornano soldi distribuiti a pioggia.
«Il governo ha promesso che troverà i soldi di volta in volta», confida una fonte sindacale.

In sostanza i soldi stanziati nella legge di Bilancio non sono sufficienti e si dà per scontato che tra le spese incomprimibili delle prossime manovre, oltre alle operazioni da artificieri per disinnescare le clausole di salvaguardia, tornerà alla grande il salario dei pubblici nella sua versione di moda negli anni Settanta.

Una variabile indipendente del bilancio pubblico.

Gli stipendi devono crescere anche se i conti vanno male, se la macchina dello stato non è efficiente.


Il tutto, in cambio di niente, visto che è stata smontata la legge Brunetta.
A meno che non ci sia un improbabile conversione dell'Europa alle politiche finanziate in deficit o una crescita così solida da fare dimenticare ai mercati la dimensione del nostro debito pubblico, la prossima legge di Bilancio sarà una triste operazione contabile.

Con pochissimi spazi per scelte di politica economica ed enormi sforzi per finanziare il conto lasciato nelle sessioni di bilancio precedenti.

Quelle di Monti e Letta nel caso delle clausole di salvaguardia, la legge firmata dal premier Matteo Renzi e il ministro Pier Carlo Padoan, per quanto riguarda il ritorno della contrattazione pubblica vecchio stile.

Senza limiti di spesa e senza merito.

Fonte: qui

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