JET, Oxfordshire, Regno Unito
Come in tutti gli altri ambiti scientifico-tecnologici, anche in questo caso c’è la volontà di primeggiare e, conseguentemente, di essere in una posizione di potere rispetto alle altre Nazioni. Questo è ancora più comprensibile se si pensa alla Belt and Road Initiative (BRI), progetto intercontinentale attualmente in implementazione, che contribuirà a definire l’egemonia cinese come potenza politica. Inoltre, di fronte agli ambiziosi progetti a cui vari Paesi del Golfo, la cui ricca economia è notoriamente basata sull’export di combustibili fossili, stanno lavorando, emerge la profonda consapevolezza che sia necessaria una diversificazione del mix energetico su cui fanno affidamento e dello sviluppo di altri settori economici. Quello più decantato è Vision 2030 dell’Arabia Saudita, ma anche gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar si sono prefissati obiettivi simili.
Le grandi potenze mondiali, per quanto continuino a trarre profitti o a sfruttare energie non rinnovabili, sono ormai consapevoli che ciò non sarà più possibile nel lungo periodo. Il problema che sembrano porsi non è tanto rispetto al cambiamento climatico quanto l’esauribilità delle proprie risorse fossili, ma lavorare a delle alternative potrebbe portare conseguenti benefici anche per quanto riguarda le loro attualmente consistenti emissioni.
L’energia a fusione potrebbe avere tutte le potenzialità per rappresentare il futuro energetico del pianeta. Il problema è dato dal tipo di futuro che ci si prospetterà al momento in cui queste tecnologie saranno efficacemente sviluppate per poter essere realmente un’alternativa energetica concreta e, come tutte le grandi scoperte che possono cambiare radicalmente le prospettive e la realtà del Pianeta, chi sarà il primo a fare questa mossa nello scacchiere geopolitico sarà senz’altro il vero vincitore. Fonte: qui
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