mercoledì 2 novembre 2016

A MOSUL, È IN CORSO L'ULTIMO ASSALTO ALLA ROCCAFORTE IRACHENA DELL'ISIS


LE MILIZIE PARAMILITARI SCELGONO UNA RESA DEI CONTI SANGUINOSA IN IRAQ PIUTTOSTO CHE LASCIAR PASSARE GLI INTEGRALISTI IN TERRA SIRIANA, COME AVREBBERO VOLUTO DA WASHINGTON, PER AUMENTARE LA PRESSIONE SU ASSAD E SUI SUOI ALLEATI RUSSI

Giampaolo Cadalanu per ''la Repubblica''

La palazzina sulla linea del fronte, al secondo piano, sarebbe l' ideale per un momento di pausa nel combattimento, se non fosse per quella strisciata di sangue che imbratta la terrazza e continua sulla scala.

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I soldati della Golden Division, le truppe scelte irachene, si sfamano con una mela e qualche biscotto. E raccontano che oggi in questa casa di Bazwaya, a pochi chilometri dalla periferia di Mosul, sono morti in quattro. Qualcuno ipotizza persino che sia stato "fuoco amico". Ma loro sono entusiasti: la resistenza dei miliziani è stata più debole del previsto, la difesa dello Stato Islamico sembra crollare.

A poche centinaia di metri, le Humvee blindate avanzano nei campi. Nere, con i fari accesi in mezzo a nuvole di polvere, sembrano mezzi alieni tratti da Guerre stellari. Dalle case di Gogjali, l' ultimo villaggio prima di Mosul, salgono colonne di fumo grigio. Probabilmente incendi, più che petrolio dato alle fiamme.

Nell' abitato lo scontro è pesante: si distinguono le raffiche di armi leggere, i colpi cadenzati dei grossi calibri, e ogni tanto l' esplosione di una bomba, subito seguita dal rombo lontano del cacciabombardiere che ha condotto l' attacco da alta quota.

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Mosul è lì, dietro quella nuvola sporca, in attesa e in agguato. La seconda fase dell' Operazione Ninive, condotta da Est dalle truppe irachene della Divisione d' oro e da quelle della Nona da sud, è partita di slancio, travolgendo con i miliziani dell' Isis anche le incertezze dell' alleato americano, che avrebbe voluto una sosta di riorganizzazione prima dell' ingresso a Mosul. Perché mentre i governativi procedono rapidamente, anche le Hashd al Shaabi, le Unità di mobilitazione popolare sciite, sono entrate nella zona di Tal Afar, a Ovest del capoluogo. 

Vogliono tagliare i rifornimenti dell' Isis ma di fatto chiudono la possibile via di ritirata per i jihadisti.

Il piano delle milizie paramilitari è palese: preferiscono una resa dei conti sanguinosa in Iraq piuttosto che lasciar passare gli integralisti in terra siriana, come forse invece avrebbe fatto piacere agli strateghi della Casa Bianca, contenti di far aumentare la pressione su Bashar Assad e sui suoi alleati russi.

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Ma l' avanzata non si può fermare: in serata i primi drappelli hanno superato Gogjali e sono arrivati a Karama, nella periferia di Mosul, cioè nel cuore della parte irachena di Daesh. Bisogna arrivare in fretta nel capoluogo per «tagliare la testa al serpente», ha annunciato il premier iracheno Haidar al Abadi, lanciando un ultimatum agli uomini dello Stato Islamico: «Arrendetevi o morirete ». Per chi alza le mani c' è magari un trattamento un po' ruvido, ma nemmeno troppo violento: ce lo mostra Emad, nella ripresa del suo cellulare. «Quello sono io», indica, orgoglioso di condurre tre miliziani prigionieri con le mani legate dietro la schiena, con qualche spintone e una tirata di capelli. Chi viene catturato vivo deve essere subito condotto a Bagdad.

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Ma nella scheda del telefonino è ripresa anche la sorte di chi vuole combattere fino alla fine: «Questo era un foreign fighter saudita, abbiamo trovato il suo passaporto », aggiunge il militare indicando la foto di un corpo senza vita. In un' altra foto un cadavere quasi irriconoscibile: «E questo era un giapponese». Era uno straniero con gli occhi a mandorla, più probabilmente un uighuro del Xinjang o un militante indonesiano, chissà. Quella fine nella polvere di Bazwaya era ciò che desiderava, se ha scelto la via indicata da Abubakr al Baghdadi.

Recitava la scritta su un muro nel vicino villaggio di Al Hamdaniyah, "Come voi volete vivere, noi vogliamo morire".

I militari della Golden Division si riposano a Bartella, a pochi chilometri dal fronte. Hanno trovato qualche casa in condizioni accettabili, qualcuno tenta di dormire ma poi accoglie con un sorriso i visitatori stranieri. Hanno tutti t-shirt "dedicate" allo status di truppe speciali, uno esibisce il marchio delle pistole Glock, altri indossano stemmini della divisione scelta, ma la più popolare è quella con su scritto: Dangerous Sniper, cecchino pericoloso.

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Saif è l' unico a torso nudo e mostra orgoglioso la cicatrice di un proiettile dello Stato islamico: è entrato sotto la clavicola ed è uscito dall' altra parte senza troppo danno. Può essere la prova che il cielo era dalla sua parte, dopo tutto.

«Non abbiamo avuto perdite significative, Alhamdu Lillah, grazie a Dio», dice Mohamed, ventenne di Diyala. La benevolenza dall' alto è stata stimolata sicuramente dalle tante bandiere sciite con l' immagine di Ali, cugino del profeta Maometto. Ma nei combattimenti sono servite anche le cinquanta tonnellate dei carri armati Abrams, capaci di intercettare a cannonate le auto- bomba lanciate contro i militari. Solo ieri, secondo le stesse dichiarazioni dell' Isis, ne sono state usate sette. Dove i tank non c' erano, le truppe scelte di Bagdad hanno fatto saltare in aria le macchine cariche di tritolo grazie ai lanciamissili controcarro teleguidati Kornet, orgoglio dell' industria militare di Mosca.

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E poi a dare una mano c' era anche qualche militare meno propenso a comparire, qualcuno con occhi chiari e rosso di capelli, pronto a tirarsi la kefiah sul volto alla vista di una telecamera per rifugiarsi dentro un blindato Cougar. «Non vogliono essere ripresi », dice l' ufficiale iracheno: «Sono soldati delle forze speciali americane».

Fonte: qui

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