domenica 27 novembre 2016

Individualismo, competitività, egoismo – BAKUNIN (1871)


Intendo per individualismo la tendenza che, – considerando tutta la società e la massa degli individui come degli estranei, dei rivali, dei concorrenti come dei nemici naturali insomma, coi quali ognuno è costretto a vivere, ma che impediscono il cammino – spinge l’individuo a conquistare ed a stabilire il proprio benessere, la propria prosperità, la propria felicità malgrado tutto, a detrimento e alle spalle di tutti gli altri.
È una corsa a chi arriva prima, un si salvi chi può generale, nel quale ognuno cerca di arrivare il primo.
Guai a chi si ferma; esso viene sorpassato.
Guai a quelli che stanchi di fatica cadono lungo la strada: essi son subito schiacciati. La concorrenza non ha cuore, non sente pietà. 
Guai ai vinti!
Naturalmente in questa lotta debbono commettersi infiniti delitti; senza contare che tutta questa lotta fratricida è un delitto continuo contro la solidarietà umana, che è la sola base possibile di ogni morale.



Lo Stato che si dice sia il rappresentante ed anzi il tutelatore della giustizia, non impedisce che questi delitti vengano perpetrati, ma invece li perpetua e li legalizza.
Ciò che esso rappresenta, ciò che esso difende, non è la giustizia umana, bensì la giustizia giuridica la quale altro non è che la consacrazione del trionfo dei forti sui deboli, dei ricchi sui poveri.
Lo Stato si limita a chiedere che questi delitti vengano commessi secondo la legalità.
Perchè io posso rovinarvi, opprimervi, uccidervi, purchè lo faccia legalmente. Altrimenti vengo dichiarato criminale e trattato come tale.
Ecco il significato di questo principio, di questa parola: individualismo.

Ed ora vediamo come si è manifestato questo principio nella letteratura creata dai Victor Hugo dai Dumas, dai Balzac, dai Jules Janin e da tanti altri autori di volumi e di articoli di giornali, che dopo il 1830 hanno inondato l’Europa, portando ovunque la depravazione, risvegliando l’egoismo nel cuore dei giovani dei due sessi, e purtroppo anche nel popolo.
Prendete un romanzo qualsiasi: accanto ai grandi e falsi sentimenti, accanto alle belle parole cosa trovate?
Sempre la stessa cosa.
Un giovane è povero, oscuro, sconosciuto; ha però ogni sorta di ambizioni e di desiderii.
Egli vorrebbe vivere in un palazzo, mangiare tartufi, bere schampagne, scorazzare e dormire con una bella marchesa.
E dopo un seguito di eroici tentativi e di avventure straordinarie vi riesce mentre tutti gli altri periscono.
Eccolo l’eroe: è l’individualismo puro.

Passiamo alla politica.
Come vi si manifesta questo principio?
Si dice che le masse hanno bisogno di essere condotte per mano, governate; che esse sono incapaci di fare senza un governo, che esse non sono capaci di governarsi da sole.
Chi le governerà?
Non vi debbono più essere privilegi di classe.
Tutti hanno il diritto di giungere alle più alte cariche sociali.
Solo per arrivarvi, occorre essere intelligenti ed abili; bisogna essere forti e fortunati; infine bisogna sapere e poter riuscire a dispetto di tutti i rivali.
Ecco un’altra gara di corse: saranno gli individui abili e forti che governeranno le masse.

Ed ora consideriamo lo stesso principio nella questione economica, che è infine quella che maggiormente importa.
Ci dicono gli economisti borghesi che essi sono partigiani di una libertà senza limiti per gli individui, e che la concorrenza è la condizione necessaria di questa libertà. Vediamo come è questa libertà.
E innanzi tutto una prima domanda: È il lavoro separato, isolato, quello che ha prodotto e che continua a produrre tutte le meravigliose ricchezze delle quali si gloria il secolo nostro?
Noi sappiamo che non è così.
Il lavoro isolato degli individui sarebbe a malapena sufficiente a nutrire e vestire un piccolo numero di selvaggi; ma una grande nazione non diventa ricca e non può vivere, che col lavoro collettivo solidamente organizzato.
E poichè il lavoro che produce ricchezza è un lavoro collettivo, sembrerebbe logico, – non è vero? – che anche il godimento di queste ricchezze fosse tale.

Ed è proprio ciò che non vuole e respinge con odio l’economia borghese.
Essa vuole che gli individui ne fruiscano isolatamente.
Ma quali individui? Forse tutti?
Oh, no!
Essa vuole che ne godano i forti, intelligenti, gli scaltri ed i fortunati.
Ah sì! sopra tutto i fortunati.
Perchè nella sua organizzazione sociale, e in conformità della legge di ereditarietà che ne è la base principale, nasce una minoranza di individui più o meno ricchi e fortunati, e nascono dei milioni di esseri umani diseredati e infelici.

La società borghese dice allora a tutti questi individui: Lottate, disputatevi il premio, il benessere, la ricchezza, il potere politico. I vincitori saranno felici.
Ma almeno in questa lotta vi è eguaglianza? Niente affatto.
Gli uni, il numero più piccolo, sono armati di tutto punto, forti dell’istruzione e della ricchezza ereditate, mentre i milioni di uomini del popolo si presentano sull’arena quasi nudi, con l’ignoranza e la miseria che hanno ereditato.
Quale può essere il risultato di questa concorrenza che essi dicono libera!
Il popolo soccombe, e la borghesia trionfa ed il proletariato è costretto a lavorare come un galeotto per il suo eterno vincitore, il borghese.

Il borghese ha un’arma contro la quale il proletariato non avrà mai la possibilità di difendersi fino a che questa arma, il capitale – che oggi in tutti i paesi civili è diventato il principale impulso per la produzione industriale – sarà rivolta contro di lui.

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