Ecco le spese nascoste dal governo sprecone: un miliardo a settimana
Lo studio Unimpresa che smaschera il premier: nel 2015 52 miliardi di uscite in più. E 26 di tasse
Roma Da una parte le parole, dall'altra i numeri. Sono le solite due facce del governo Renzi, anche in tema di revisione della spesa pubblica.
Ieri il consulente alla spending review e alter ego del premier, Yoram Gutgeld, ha scritto al Sole 24 Ore rivendicando(con le solite minchiate propagandische!!!) i «risultati importanti di un impegno che il governo intende proseguire» sostenendo che in due anni sono stati conseguiti oltre 25 miliardi di riduzione di spesa coniugati a una riduzione delle tasse per 28 miliardi. In quello stesso momento, il Centro studi Unimpresa smentiva l'ottimismo di Gutgeld.
Nel pomeriggio un'altra doccia fredda, questa volta proveniente dalla Funzione pubblica: nel 2014 le spese per consulenze esterne della Pa nel 2014 sono aumentate del 61,3% su base annua a 1,19 miliardi di euro.
Ma andiamo con ordine.
Secondo il Centro studi Unimpresa, infatti, non solo non è stata attuata una vera spending review, ma l'anno scorso è aumentato pure il carico fiscale.
In particolare, la spesa pubblica è cresciuta di 52 miliardi di euro, mentre le tasse sono cresciute di quasi 26 miliardi: l'esatto contrario di quanto affermato trionfalisticamente da Gutgeld.
Nel 2015 le uscite correnti del bilancio pubblico sono, infatti, passate dai 483,8 miliardi dell'anno precedente a 536,4 miliardi. Le entrate tributarie, invece, sono salite da 407,5 miliardi a 433,4 miliardi.
Ovviamente, il ritorno alla crescita registrato nel 2015 ha attenuato l'incidenza della pressione fiscale in relazione al Pil, ma quando si guardano i dati assoluti - al di là degli effetti del ciclo macroeconomico - si osserva come il concetto di riduzione delle tasse sia un fatto puramente nominalistico.
«Il governo ci prende in giro: sono chiacchiere quelle sulla spending review e sono chiacchiere pure quelle sulla sforbiciata al prelievo fiscale», ha commentato il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi sintetizzando il renzismo in uno slogan («Tante promesse, molti annunci e zero fatti concreti»).
Non poca sorpresa hanno poi destato i dati diffusi dal ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia.
Sono tornati, infatti, ad aumentare i compensi per gli incarichi conferiti da Regioni, ministeri, università e tutto il resto della Pa, sfiorando gli 1,2 miliardi.
Insomma, si è tornati a pescare fuori dal perimetro della Pa, che già conta 3,2 milioni di dipendenti. I dati, che emergono dall'Anagrafe delle prestazioni restituiscono una fotografia poco edificante.
Il numero di soggetti chiamati a consulenze e collaborazioni è aumentato del 15,7% su base annua nel 2014, ma ancora più significativo è l'incremento di quanti hanno ottenuto un compenso (+48%).
Il primato spetta al comparto delle Regioni, che nel 2014 ha registrato un aumento dei costi per la voce in questione del 113%, seguito da ricerca (+56%) e scuola (+55%).
Non si sottrae all'incremento nemmeno il comparto «ministeri e agenzie fiscali» (+32%).
Sommando tutto il capitolo incarichi, sia interni sia esterni, si ottiene un esborso di quasi 1,5 miliardi per quasi 600mila mandati, spalmati su oltre 300mila soggetti dei quali oltre la metà è esterna alla Pa.
Altro che svolta buona: la cara vecchia consulenza ai «fedeli devoti» è più viva che mai.
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