L’offensiva mediatica russa in Occidente ha il nome di Sputnik, il primo satellite mandato in orbita dai sovietici.
È un sito Internet in 30 lingue, con radio e agenzia. Basato a Mosca.
E per l’edizione italiana c’è la firma di Giulietto Chiesa
Da qualche tempo, in vetta alle ricerche Google sui fatti più importanti del mondo, compaiono nelle larghe finestre a pagamento gli articoli di Sputniknews Italia . “Sputnik”, come il primo satellite artificiale sovietico lanciato in orbita nel 1957 dal cosmodromo di Baikonur e la cui traduzione letterale significa “compagno di viaggio”. Un riferimento ai soviet e una strizzata d’occhio agli internauti nell’esplorazione di quella che si promette sia una «fonte unica di notizie alternative» che racconta «ciò che gli altri non dicono».
Il suffisso “it” è la variante italiana di un’agenzia, sito Web e radiobroadcast che si declina in realtà in 30 lingue tra cui quelle parlate nei Paesi a ridosso della Russia, in aree sensibili (l’arabo, il pashto di afgani e pakistani, il serbo dei correligionari ortodossi per il legami con i sempre turbolenti Balcani), oltre naturalmente all’inglese, francese, spagnolo, portoghese per veicolare messaggi dovunque. Uno sforzo economico enorme che contempla anche 800 ore di trasmissioni radiofoniche giornaliere e il lavoro 7/24 delle redazioni regionali di Washington, Cairo, Pechino, Montevideo.
Da qualche tempo, in vetta alle ricerche Google sui fatti più importanti del mondo, compaiono nelle larghe finestre a pagamento gli articoli di Sputniknews Italia . “Sputnik”, come il primo satellite artificiale sovietico lanciato in orbita nel 1957 dal cosmodromo di Baikonur e la cui traduzione letterale significa “compagno di viaggio”. Un riferimento ai soviet e una strizzata d’occhio agli internauti nell’esplorazione di quella che si promette sia una «fonte unica di notizie alternative» che racconta «ciò che gli altri non dicono».
Il suffisso “it” è la variante italiana di un’agenzia, sito Web e radiobroadcast che si declina in realtà in 30 lingue tra cui quelle parlate nei Paesi a ridosso della Russia, in aree sensibili (l’arabo, il pashto di afgani e pakistani, il serbo dei correligionari ortodossi per il legami con i sempre turbolenti Balcani), oltre naturalmente all’inglese, francese, spagnolo, portoghese per veicolare messaggi dovunque. Uno sforzo economico enorme che contempla anche 800 ore di trasmissioni radiofoniche giornaliere e il lavoro 7/24 delle redazioni regionali di Washington, Cairo, Pechino, Montevideo.
Il suffisso “it” è la variante italiana di un’agenzia, sito Web e radiobroadcast che si declina in realtà in 30 lingue tra cui quelle parlate nei Paesi a ridosso della Russia, in aree sensibili (l’arabo, il pashto di afgani e pakistani, il serbo dei correligionari ortodossi per il legami con i sempre turbolenti Balcani), oltre naturalmente all’inglese, francese, spagnolo, portoghese per veicolare messaggi dovunque. Uno sforzo economico enorme che contempla anche 800 ore di trasmissioni radiofoniche giornaliere e il lavoro 7/24 delle redazioni regionali di Washington, Cairo, Pechino, Montevideo.
Nuovi monumenti, musei, centri culturali. Perfino concorsi a premi dedicati al dittatore. A Mosca e in provincia. Perché nel paese di Putin il passato è più presente che mai. A 25 anni dal crollo dell’Urss e nel centenario della Rivoluzione bolscevica
Il tutto controllato dall’agenzia Rossiya Segodnya, fondata dal Cremlino nel dicembre del 2013 per volere naturalmente di Vladimir Putin e affidata al giornalista Dmitry Konstantinovich Kiselev, 62 anni, già vicedirettore della tv di Stato, un fedelissimo del nuovo zar e in prima linea nel difendere le ragioni di Mosca in Ucraina come in Medioriente. A svolgere il ruolo di redattore capo c’è invece una donna, Margarita Simonyan, origini armene, che si è guadagnata i galloni sul campo coprendo la seconda guerra di Cecenia e la sanguinosa vicenda della presa d’ostaggi nella scuola di Beslan.
Il sito italiano, peraltro ben curato, ha sezioni che spaziano dai nostri affari interni alla politica internazionale, l’economia, news curiose di vita in Russia. Riporta interviste come quella all’indipendentista veneto Gianluca Busato su «tutte le cose che hanno in comune la Crimea e il Veneto». Fornisce in diretta le conferenze stampa del presidente russo, confuta puntigliosamente le teorie sull’invadenza degli hacker russi e la loro influenza sulle elezioni americane.
Difende l’operato di Mosca in Siria. Insomma, informazione a tutto campo. Più gli opinionisti che le commentano e tra i quali spicca il nome di Giulietto Chiesa, 76 anni, a lungo corrispondente da Mosca per l’Unità e La Stampa, giornalista, scrittore, politico, spesso controcorrente e convinto, per dire, che la versione ufficiale dell’11 settembre di New York sia una serie di colossali panzane americane fatte bere all’opinione pubblica.
Eloquenti alcuni dei suoi ultimi editoriali come quello sulle «falsificazioni mainstream» circa Aleppo, o l’appassionata autconfessione: «Scrivo su Sputnik e collaboro con diversi canali russi. Che ne sarà di me?». Dove il bersaglio è una risoluzione del Parlamento europeo che «equipara i media russi allo Stato islamico», bollata come «record del delirio russofobico».
Come in tanti altri Paesi, anche in Italia Sputnik è stato accusato di pesante propaganda al servizio di Putin che avrebbe voluto far cadere il governo Renzi per favorire i 5Stelle di Beppe Grillo. Il tutto per un commento di Marco Fontana, 39 anni, addetto stampa della Regione Piemonte, responsabile dell’ufficio stampa della Federazione medici pediatri di Torino, il quale si difende: «La cosa mi ha fatto parecchio incazzare. Mi hanno paragonato a un hacker russo, nientemeno, e solo perché il sito TzeTze, area Grillo-Casaleggio, aveva ripreso il mio scritto». Quando, giura, non ha mai subito pressioni dalla redazione centrale che sta a Mosca, che lo lascia libero di esprimere le sue idee, non ha mai cambiato una riga («certo so che non potrei scrivere che Putin deve andare in galera, ma forse che i media italiani non hanno un padrone contro il quale non possono esprimersi liberamente?») e semmai si è limitata, talvolta, a commissionare un articolo, come capita in ogni giornale: «È successo tre volte. Per un pezzo su Ratzinger, uno sulle foibe e uno sui rappresentanti della Duma in visita a Torino».
Le cose funzionano più o meno così, a suo dire. «L’unico che ha un legame diretto con la redazione centrale è Giulietto Chiesa. Io mando i miei scritti via email a un amico che sta a Mosca e lui li gira alla caporedattrice, di nome Elena. Altro non so, se non che io mi limito a fare il mio lavoro da professionista come farei per qualsiasi altra testata».
Sputnik è l’erede della storica “Voce della Russia”: «Il governo di Mosca», prosegue Fontana, «ha voluto fare un grosso investimento per rendere più moderna la sua informazione e ha fatto scouting in diverse nazioni per accaparrarsi delle firme. Scegliendole, naturalmente, tra coloro che hanno almeno un comune sentire con la politica ufficiale. Veniamo regolarmente retribuiti. Subiamo la doppia tassazione e, da quando è stato varato l’embargo, abbiamo dovuto sottoscrivere con la banca un documento in cui l’istituto di credito ci avverte che può fornire i nostri dati a chiunque li richieda perché riceviamo un compenso dalla Russia».
Fontana si chiede come mai ci sia tanto interesse per un organo che, nella sua pagina Facebook, raccoglie solo 32 mila “mi piace” quando i media filoccidentali sono centinaia e centinaia con milioni di seguaci. La risposta è nel rumore che, soprattutto negli ultimi mesi, hanno fatto notizie apparse sui vari Sputnik (vanno in Rete, è bene ricordarlo, da fine 2014, due anni fa). A partire da quella più discussa e che ha alimentato il sospetto di ingerenze del Cremlino nella campagna elettorale che ha portato all’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti. Era successo che Bill Moran, redattore di Sputnik Washington, avesse citato alcuni passaggi della corrispondenza privata di Hillary Clinton resa nota da Wikileaks, attribuendo erroneamente una citazione a un assistente della candidata democratica quando in realtà era il frutto di un articolo di “Newsweek”. Ecco La teoria difensiva che appare sul sito italiano: accortosi del pasticcio, «Moran invece di modificare l’articolo lo ha direttamente eliminato. Era rimasto online per solo 19 minuti. Tra i mille che lo avevano visualizzato c’era Trump che ha usato l’erronea citazione nel corso di un incontro coi suoi sostenitori». Da qui l’accusa al nuovo presidente Usa di usare tesi della propaganda russa quando in realtà si sarebbe trattato solo uno sbaglio materiale.
Resta il fatto che Trump con Putin ha più volte dichiarato di voler andare daccordo. E che Putin con Sputnik ha in mano un’arma efficace per veicolare la sua visione strategica ai quattro angoli del pianeta. Il che non è né illegale né vietato, sia chiaro. Solo l’ennesima dimostrazione di quanto lo zar stia investendo perché la Russia torni da protagonista della politica mondiale. Anche grazie a un moderno ed efficiente network mediatico.
Fonte: qui
Il tutto controllato dall’agenzia Rossiya Segodnya, fondata dal Cremlino nel dicembre del 2013 per volere naturalmente di Vladimir Putin e affidata al giornalista Dmitry Konstantinovich Kiselev, 62 anni, già vicedirettore della tv di Stato, un fedelissimo del nuovo zar e in prima linea nel difendere le ragioni di Mosca in Ucraina come in Medioriente. A svolgere il ruolo di redattore capo c’è invece una donna, Margarita Simonyan, origini armene, che si è guadagnata i galloni sul campo coprendo la seconda guerra di Cecenia e la sanguinosa vicenda della presa d’ostaggi nella scuola di Beslan.
Il sito italiano, peraltro ben curato, ha sezioni che spaziano dai nostri affari interni alla politica internazionale, l’economia, news curiose di vita in Russia. Riporta interviste come quella all’indipendentista veneto Gianluca Busato su «tutte le cose che hanno in comune la Crimea e il Veneto». Fornisce in diretta le conferenze stampa del presidente russo, confuta puntigliosamente le teorie sull’invadenza degli hacker russi e la loro influenza sulle elezioni americane.
Difende l’operato di Mosca in Siria. Insomma, informazione a tutto campo. Più gli opinionisti che le commentano e tra i quali spicca il nome di Giulietto Chiesa, 76 anni, a lungo corrispondente da Mosca per l’Unità e La Stampa, giornalista, scrittore, politico, spesso controcorrente e convinto, per dire, che la versione ufficiale dell’11 settembre di New York sia una serie di colossali panzane americane fatte bere all’opinione pubblica.
Eloquenti alcuni dei suoi ultimi editoriali come quello sulle «falsificazioni mainstream» circa Aleppo, o l’appassionata autconfessione: «Scrivo su Sputnik e collaboro con diversi canali russi. Che ne sarà di me?». Dove il bersaglio è una risoluzione del Parlamento europeo che «equipara i media russi allo Stato islamico», bollata come «record del delirio russofobico».
Come in tanti altri Paesi, anche in Italia Sputnik è stato accusato di pesante propaganda al servizio di Putin che avrebbe voluto far cadere il governo Renzi per favorire i 5Stelle di Beppe Grillo. Il tutto per un commento di Marco Fontana, 39 anni, addetto stampa della Regione Piemonte, responsabile dell’ufficio stampa della Federazione medici pediatri di Torino, il quale si difende: «La cosa mi ha fatto parecchio incazzare. Mi hanno paragonato a un hacker russo, nientemeno, e solo perché il sito TzeTze, area Grillo-Casaleggio, aveva ripreso il mio scritto». Quando, giura, non ha mai subito pressioni dalla redazione centrale che sta a Mosca, che lo lascia libero di esprimere le sue idee, non ha mai cambiato una riga («certo so che non potrei scrivere che Putin deve andare in galera, ma forse che i media italiani non hanno un padrone contro il quale non possono esprimersi liberamente?») e semmai si è limitata, talvolta, a commissionare un articolo, come capita in ogni giornale: «È successo tre volte. Per un pezzo su Ratzinger, uno sulle foibe e uno sui rappresentanti della Duma in visita a Torino».
Le cose funzionano più o meno così, a suo dire. «L’unico che ha un legame diretto con la redazione centrale è Giulietto Chiesa. Io mando i miei scritti via email a un amico che sta a Mosca e lui li gira alla caporedattrice, di nome Elena. Altro non so, se non che io mi limito a fare il mio lavoro da professionista come farei per qualsiasi altra testata».
Sputnik è l’erede della storica “Voce della Russia”: «Il governo di Mosca», prosegue Fontana, «ha voluto fare un grosso investimento per rendere più moderna la sua informazione e ha fatto scouting in diverse nazioni per accaparrarsi delle firme. Scegliendole, naturalmente, tra coloro che hanno almeno un comune sentire con la politica ufficiale. Veniamo regolarmente retribuiti. Subiamo la doppia tassazione e, da quando è stato varato l’embargo, abbiamo dovuto sottoscrivere con la banca un documento in cui l’istituto di credito ci avverte che può fornire i nostri dati a chiunque li richieda perché riceviamo un compenso dalla Russia».
Fontana si chiede come mai ci sia tanto interesse per un organo che, nella sua pagina Facebook, raccoglie solo 32 mila “mi piace” quando i media filoccidentali sono centinaia e centinaia con milioni di seguaci. La risposta è nel rumore che, soprattutto negli ultimi mesi, hanno fatto notizie apparse sui vari Sputnik (vanno in Rete, è bene ricordarlo, da fine 2014, due anni fa). A partire da quella più discussa e che ha alimentato il sospetto di ingerenze del Cremlino nella campagna elettorale che ha portato all’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti. Era successo che Bill Moran, redattore di Sputnik Washington, avesse citato alcuni passaggi della corrispondenza privata di Hillary Clinton resa nota da Wikileaks, attribuendo erroneamente una citazione a un assistente della candidata democratica quando in realtà era il frutto di un articolo di “Newsweek”. Ecco La teoria difensiva che appare sul sito italiano: accortosi del pasticcio, «Moran invece di modificare l’articolo lo ha direttamente eliminato. Era rimasto online per solo 19 minuti. Tra i mille che lo avevano visualizzato c’era Trump che ha usato l’erronea citazione nel corso di un incontro coi suoi sostenitori». Da qui l’accusa al nuovo presidente Usa di usare tesi della propaganda russa quando in realtà si sarebbe trattato solo uno sbaglio materiale.
Resta il fatto che Trump con Putin ha più volte dichiarato di voler andare daccordo. E che Putin con Sputnik ha in mano un’arma efficace per veicolare la sua visione strategica ai quattro angoli del pianeta. Il che non è né illegale né vietato, sia chiaro. Solo l’ennesima dimostrazione di quanto lo zar stia investendo perché la Russia torni da protagonista della politica mondiale. Anche grazie a un moderno ed efficiente network mediatico.
Il sito italiano, peraltro ben curato, ha sezioni che spaziano dai nostri affari interni alla politica internazionale, l’economia, news curiose di vita in Russia. Riporta interviste come quella all’indipendentista veneto Gianluca Busato su «tutte le cose che hanno in comune la Crimea e il Veneto». Fornisce in diretta le conferenze stampa del presidente russo, confuta puntigliosamente le teorie sull’invadenza degli hacker russi e la loro influenza sulle elezioni americane.
Difende l’operato di Mosca in Siria. Insomma, informazione a tutto campo. Più gli opinionisti che le commentano e tra i quali spicca il nome di Giulietto Chiesa, 76 anni, a lungo corrispondente da Mosca per l’Unità e La Stampa, giornalista, scrittore, politico, spesso controcorrente e convinto, per dire, che la versione ufficiale dell’11 settembre di New York sia una serie di colossali panzane americane fatte bere all’opinione pubblica.
Eloquenti alcuni dei suoi ultimi editoriali come quello sulle «falsificazioni mainstream» circa Aleppo, o l’appassionata autconfessione: «Scrivo su Sputnik e collaboro con diversi canali russi. Che ne sarà di me?». Dove il bersaglio è una risoluzione del Parlamento europeo che «equipara i media russi allo Stato islamico», bollata come «record del delirio russofobico».
Come in tanti altri Paesi, anche in Italia Sputnik è stato accusato di pesante propaganda al servizio di Putin che avrebbe voluto far cadere il governo Renzi per favorire i 5Stelle di Beppe Grillo. Il tutto per un commento di Marco Fontana, 39 anni, addetto stampa della Regione Piemonte, responsabile dell’ufficio stampa della Federazione medici pediatri di Torino, il quale si difende: «La cosa mi ha fatto parecchio incazzare. Mi hanno paragonato a un hacker russo, nientemeno, e solo perché il sito TzeTze, area Grillo-Casaleggio, aveva ripreso il mio scritto». Quando, giura, non ha mai subito pressioni dalla redazione centrale che sta a Mosca, che lo lascia libero di esprimere le sue idee, non ha mai cambiato una riga («certo so che non potrei scrivere che Putin deve andare in galera, ma forse che i media italiani non hanno un padrone contro il quale non possono esprimersi liberamente?») e semmai si è limitata, talvolta, a commissionare un articolo, come capita in ogni giornale: «È successo tre volte. Per un pezzo su Ratzinger, uno sulle foibe e uno sui rappresentanti della Duma in visita a Torino».
Le cose funzionano più o meno così, a suo dire. «L’unico che ha un legame diretto con la redazione centrale è Giulietto Chiesa. Io mando i miei scritti via email a un amico che sta a Mosca e lui li gira alla caporedattrice, di nome Elena. Altro non so, se non che io mi limito a fare il mio lavoro da professionista come farei per qualsiasi altra testata».
Sputnik è l’erede della storica “Voce della Russia”: «Il governo di Mosca», prosegue Fontana, «ha voluto fare un grosso investimento per rendere più moderna la sua informazione e ha fatto scouting in diverse nazioni per accaparrarsi delle firme. Scegliendole, naturalmente, tra coloro che hanno almeno un comune sentire con la politica ufficiale. Veniamo regolarmente retribuiti. Subiamo la doppia tassazione e, da quando è stato varato l’embargo, abbiamo dovuto sottoscrivere con la banca un documento in cui l’istituto di credito ci avverte che può fornire i nostri dati a chiunque li richieda perché riceviamo un compenso dalla Russia».
Fontana si chiede come mai ci sia tanto interesse per un organo che, nella sua pagina Facebook, raccoglie solo 32 mila “mi piace” quando i media filoccidentali sono centinaia e centinaia con milioni di seguaci. La risposta è nel rumore che, soprattutto negli ultimi mesi, hanno fatto notizie apparse sui vari Sputnik (vanno in Rete, è bene ricordarlo, da fine 2014, due anni fa). A partire da quella più discussa e che ha alimentato il sospetto di ingerenze del Cremlino nella campagna elettorale che ha portato all’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti. Era successo che Bill Moran, redattore di Sputnik Washington, avesse citato alcuni passaggi della corrispondenza privata di Hillary Clinton resa nota da Wikileaks, attribuendo erroneamente una citazione a un assistente della candidata democratica quando in realtà era il frutto di un articolo di “Newsweek”. Ecco La teoria difensiva che appare sul sito italiano: accortosi del pasticcio, «Moran invece di modificare l’articolo lo ha direttamente eliminato. Era rimasto online per solo 19 minuti. Tra i mille che lo avevano visualizzato c’era Trump che ha usato l’erronea citazione nel corso di un incontro coi suoi sostenitori». Da qui l’accusa al nuovo presidente Usa di usare tesi della propaganda russa quando in realtà si sarebbe trattato solo uno sbaglio materiale.
Resta il fatto che Trump con Putin ha più volte dichiarato di voler andare daccordo. E che Putin con Sputnik ha in mano un’arma efficace per veicolare la sua visione strategica ai quattro angoli del pianeta. Il che non è né illegale né vietato, sia chiaro. Solo l’ennesima dimostrazione di quanto lo zar stia investendo perché la Russia torni da protagonista della politica mondiale. Anche grazie a un moderno ed efficiente network mediatico.
Fonte: qui
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