TUTTE LE RISPOSTE AI DUBBI DELL’EMERGENZA IN CORSO
NEL CASO DI POSITIVO ASINTOMATICO SI RIENTRA IN COMUNITÀ DOPO UN TAMPONE NEGATIVO FATTO DOPO ALMENO 10 GIORNI DI ISOLAMENTO
ECCO COSA SUCCEDE IN CASO DI POSITIVITA’ DI LUNGO TERMINE...
Coronavirus, che fare dopo il contatto con un positivo?
Navighiamo a vista. Impauriti da un contagio fuori controllo, nell'isteria collettiva del “chi ha incontrato chi”. Il sistema di tracciamento non ha retto l'urto di una seconda ondata violenta del coronavirus.
COVID LE RISPOSTE AI DUBBI DELLL'EMERGENZA IN CORSO
Qualche settimana fa ci crogiolavamo sui dati: i numeri erano più o meno stabili, mentre in Europa correvano. Oggi facciamo i conti col caos generale delle Ats, con le code ai drive-In dei tamponi. Proprio i tamponi sono l'argomento più battuto. Perché in questa emergenza, l'infodemia – l'eccessiva quantità di informazioni, a volte non vagliate con accuratezza - è un altro degli aspetti preoccupanti. E allora proviamo a fare il punto, “cercando di capire cosa devo fare se…”.
Contatto indiretto con un positivo
Se sono un contatto del contatto (e cioè se ho avuto un contatto stretto con una persona che ha avuto contatto stretto con un positivo), non dovrò fare nulla. A meno che la persona con cui ho avuto contatto non diventi, durante la sua quarantena, un positivo.
Contatto diretto con un positivo
COVID LE RISPOSTE AI DUBBI DELLL'EMERGENZA IN CORSO
In questo caso le cose cambiano. Se non ho alcun sintomo, devo rimanere in quarantena per 14 giorni. Nel caso volessi uscire prima, posso fare un tampone dal decimo giorno in poi (ho quindi dato il tempo all'eventuale contagio di palesarsi). Se invece sono sintomatico, faccio un tampone che - se negativo - mi rende libero (solo dopo aver rispettato comunque 14 giorni di isolamento, o 10 giorni e al decimo giorno un tampone o test rapido ancora negativo). Se invece il tampone è positivo, non sono più un “contatto” ma un “caso”.
Positivo senza sintomi e con sintomi
Se sono un caso positivo, ma asintomatico: rientro in comunità dopo un tampone negativo fatto dopo almeno 10 giorni di isolamento. Nel caso di positività con sintomi: rientro in comunità dopo un tampone negativo, fatto dopo almeno 10 giorni di isolamento ed almeno 3 giorni senza sintomi (tali 3 giorni possono essere inclusi nei 10 oppure successivi: la cosa può variare da caso a caso in base a quando si guarisca dai sintomi).
Positivo di lungo termine
COVID LE RISPOSTE AI DUBBI DELLL'EMERGENZA IN CORSO
Durante questa emergenza, purtroppo, abbiamo imparato che esistono anche casi di positività a lungo termine, e cioè che pur guarendo da tutti i sintomi - eccezion fatta per alterazioni di gusto e olfatto che spesso persistono per molte settimane – il soggetto continua a risultare positivo al tampone molecolare. Se si verifica questa ipotesi, rientro in comunità dopo 21 giorni di isolamento, laddove autorizzato dalle autorità sanitarie in relazione al caso specifico: alcuni casi, come ad esempio gli immunodepressi, possono infatti restare molto contagiosi in modo prolungato e non saranno autorizzati.
Differenza fra isolamento e quarantena
Altro capitolo molto dibattuto, la differenza fra isolamento e quarantena. Qui è la Circolare del ministero della Salute del 12 ottobre 2020 a chiarire. L'isolamento dei casi di documentata infezione da SARS-CoV-2 si riferisce alla separazione delle persone infette dal resto della comunità per la durata del periodo di contagiosità, in ambiente e condizioni tali da prevenire la trasmissione dell'infezione.
TAMPONE COVID CORONAVIRUS DRIVE IN
La quarantena, invece, si riferisce alla restrizione dei movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione, ma che potrebbero essere state esposte ad un agente infettivo o ad una malattia contagiosa, con l'obiettivo di monitorare l'eventuale comparsa di sintomi e identificare tempestivamente nuovi casi. La circolare del Ministero della Salute raccomanda di eseguire il test molecolare a fine quarantena a tutte le persone che vivono o entrano in contatto regolarmente con soggetti fragili e/o a rischio di complicanze.
Fonte: qui
“IL 95% DEI POSITIVI È ASINTOMATICO. CHIUDERE TUTTO? NO, BASTA CON L'ISTERIA”
IL VIROLOGO GIORGIO PALÙ: “C'E' TANTO ALLARMISMO, IL DATO CHE CONTA NON E' QUELLO SUI POSITIVI MA SUGLI ARRIVI IN TERAPIA INTENSIVA
ANCHE PERCHE' CHI VIENE CONTAGIATO NON E' DETTO SIA CONTAGIOSO
QUESTO VIRUS NON E' LA PESTE: HA UNA LETALITÀ RELATIVAMENTE BASSA.
L'ATTUALE IMPENNATA DI CASI? E’ LEGATA ALLA RIAPERTURA DELLE SCUOLE E AI TRASPORTI PUBBLICI”
Adriana Bazzi per il “Corriere della Sera”
GIORGIO PALÙ
«Confusione»: se si dovesse riassumere, in una parola, la situazione Covid-19 in Italia oggi, questa sarebbe la più indicata, almeno nella testa della gente. Come uscirne? Intanto partiamo dalle impressionanti cifre dei bollettini giornalieri: ieri si parlava di 19.143 «contagi» o, in alternativa, di «casi» oppure di «positivi», tutti intercettati con i famosi tamponi. In crescita esponenziale. Ma che cosa questi termini nascondono in realtà? Lo chiediamo al professor Giorgio Palù, un' autorità indiscussa nel campo della virologia, professore emerito dell' Università di Padova e past-president della Società italiana ed europea di Virologia.
TAMPONE COVID CORONAVIRUS DRIVE IN
Professor Palù, la gente è sconfortata e non sa più a chi credere. Come rispondere?
«C' è tanto allarmismo. È indubbio che siamo di fronte a una seconda ondata della pandemia, ma la circolazione del virus non si è mai arrestata, anche se, a luglio, i casi sembravano azzerati, complice la bella stagione, l' aria aperta, i raggi ultravioletti che uccidono il virus. Poi c' è stato il ritorno dalle vacanze, la riapertura di tante attività e, soprattutto, il rientro a scuola».
Risultato: i numeri dei «casi» sono in aumento. Come interpretarli correttamente?
«Ecco, parliamo di "casi", intendendo le persone positive al tampone. Fra questi, il 95 per cento non ha sintomi e quindi non si può definire malato, punto primo. Punto secondo: è certo che queste persone sono state "contagiate", cioè sono venuti a contatto con il virus, ma non è detto che siano "contagiose", cioè che possano trasmettere il virus ad altri. Potrebbero farlo se avessero una carica virale alta, ma al momento, con i test a disposizione, non è possibile stabilirlo in tempi utili per evitare i contagi».
GIORGIO PALU OSPITE DI TV7 1
Altri motivi per cui certe persone «positive» non sono «contagiose»?
«Perché potrebbero avere una carica virale bassa, perché potrebbero essere portatrici di un ceppo di virus meno virulento oppure perché presentano solo frammenti genetici del virus, rilevabili con il test, ma incapaci di infettare altre persone».
Allora, riassumendo: so che certe persone sono positive al tampone, so che sono asintomatiche, quindi non malate, so, però, che in una certa percentuale di casi (non è possibile stabilire quanto grande) possono contagiare altri. E, quindi, come comportarsi, visto che a Milano, per esempio, si è dichiarato il fallimento della possibilità di tracciare i contatti?
«Ci si dovrebbe attivare nel caso si individuino dei "cluster" (traduzione: raggruppamenti, ndr) : quando, cioè, il positivo è venuto a stretto contatto con altre persone in un ambiente di lavoro, a scuola o in famiglia. Allora si dovrebbero fare i tamponi a tutti».
CORONAVIRUS - OSPEDALE
Quindi, conoscere i dati giornalieri, come da bollettini, sui contagi/casi/positivi non è, in definitiva, utile?
«Quello che veramente conta è sapere quante persone arrivano in terapia intensiva: è questo numero che dà la reale dimensione della gravità della situazione. In ogni caso questo virus ha una letalità relativamente bassa, può uccidere, ma non è la peste».
A che cosa attribuisce l' attuale impennata di casi?
«Certamente alla riapertura delle scuole. Il problema non è la scuola in sé, ma sono i trasporti pubblici su cui otto milioni di studenti hanno cominciato a circolare. Tenere aperte le scuole è, però, indispensabile».
CORONAVIRUS TAMPONE BAMBINA
Lei è contrario o favorevole a nuovi lockdown?
«Sono contrario come cittadino perché sarebbe un suicidio per la nostra economia; come scienziato perché penalizzerebbe l'educazione dei giovani, che sono il nostro futuro, e come medico perché vorrebbe dire che malati, affetti da altre patologie, specialmente tumori, non avrebbero accesso alle cure. Tutto questo a fronte di una malattia, la Covid-19, che, tutto sommato ha una bassa letalità. Cioè non è così mortale. Dobbiamo porre un freno a questa isteria».
Parliamo adesso di quel 5 per cento di persone positive al tampone e con sintomi.
Che fine fanno?
«Chi ha sintomi gravi (polmonite, ndr) viene ricoverato. Ma ci sono anche i "ricoveri sociali", mi informano i clinici. Persone che hanno disturbi lievi, ma non possono stare a casa perché sono soli o perché possono infettare altre persone in famiglia o perché sono poveri e non sanno dove andare».
CORONAVIRUS - TERAPIA INTENSIVA
Come funziona l'assistenza domiciliare delle persone positive?
«Se ne dovrebbero occupare i medici di famiglia, ma non esistono regole e protocolli che li orientino nella scelta delle terapie. Sono lasciati soli».
Fonte: qui
ALLARME ROSSO NELLE TERAPIE INTENSIVE: MANCA IL PERSONALE -
“NON BASTA NEMMENO PIÙ INSERIRE GLI SPECIALIZZANDI DEL QUARTO E QUINTO ANNO, SI DOVREBBE ALLARGARE AL TERZO E ANCHE CHIAMARE GLI ANESTESISTI DELLE ASL. I NUOVI VENTILATORI NON FUNZIONANO DA SOLI, SERVONO LE COMPETENZE. TEMIAMO DI NON RIUSCIRE A GESTIRE L'EMERGENZA VERA, CHE DEVE ANCORA ARRIVARE…”
Niccolò Carratelli Francesco Rigatelli per “la Stampa”
TERAPIE INTENSIVE
Non è tanto, o solo, un problema di posti, di letti da trovare e respiratori da montare. A preoccupare i primari dei reparti di rianimazione e terapia intensiva è soprattutto la carenza di uomini e donne capaci di far funzionare quelle macchine. «Noi abbiamo preso un solo anestesista in più, un giovane specializzando - racconta Sebastiano Macheda, dirigente all' ospedale di Reggio Calabria - Ma intanto un collega è andato in pensione e un altro si è trasferito al nord».
Niente turnover e così è inutile aumentare i posti, che poi «in Calabria ne sono stati attivati solo 6 in più in tutta la regione, altro che raddoppio», spiega Macheda. Va meglio all' ospedale Maggiore di Bologna, dove «abbiamo costruito 34 posti in più - dice il primario Nicola Cilloni -. Il reparto è già pieno a metà. Due settimane fa non avevamo pazienti».
Del resto, ieri in Italia i malati Covid in terapia intensiva hanno superato quota mille.
VENTILATORI TERAPIE INTENSIVE
Stessa tendenza al Niguarda di Milano: «Abbiamo già convertito in reparti Covid quelli di Medicina generale - racconta il primario Roberto Fumagalli - ora che si va riempiendo la terapia intensiva dobbiamo aumentare la disponibilità di posti».
La Lombardia, con l' Emilia-Romagna, è tra le 10 regioni che, secondo l' Istituto Superiore di Sanità, potrebbero raggiungere nel prossimo mese la saturazione del 30% dei posti in rianimazione dedicati ai malati Covid. La soglia oltre la quale scatta l' allarme per la tenuta del sistema. Nella lista c' è anche la Campania. «Qui sono aumentati i letti, ma le forze non sono sufficienti», avverte il professor Giuseppe Servillo, primario di Anestesia e Rianimazione e direttore della scuola di specializzazione all' università Federico II di Napoli. «Non basta nemmeno più inserire gli specializzandi del quarto e quinto anno, si dovrebbe allargare al terzo e anche chiamare gli anestesisti delle Asl - spiega -. I nuovi ventilatori non funzionano da soli, servono le competenze. Temiamo di non riuscire a gestire l' emergenza vera, che deve ancora arrivare».
VENTILATORI TERAPIE INTENSIVE
Niente interventi
Per farlo sarà inevitabile rimandare ancora gli interventi chirurgici programmati e non urgenti, per spostare la maggior parte degli anestesisti-rianimatori nelle terapie intensive Covid. «Non ce la fanno più - spiega Flavia Petrini, presidente della Società di Anestesia Rianimazione e Terapia intensiva -, continuano a fare doppi turni per affrontare la crescita dei ricoveri per Covid. Ma se il trend non muterà, sarà inevitabile ridurre le altre attività».
CORONAVIRUS - OSPEDALE
Prova ad essere ottimista Maurizio Berardino, direttore del Dipartimento di Anestesia e rianimazione della Città della Salute di Torino: «Se abbiamo tenuto a marzo ce la faremo anche ora - dice - ma sarà difficile non tralasciare le altre urgenze, dalla cardiologia all' oncologia». Secondo Luigi Tritapepe, primario al San Camillo di Roma e referente per le terapie intensive della Regione Lazio, il problema è che «non siamo e forse non torneremo in lockdown, quindi avremo da gestire tutta la chirurgia traumatica, quella degli incidenti stradali per capirci, che rappresenta il 60% del lavoro». Al momento i posti in rianimazione nel Lazio sono stati aumentati solo «del 10-15%» e per Tritapepe servirebbero «circa mille infermieri in più e altri 150 anestesisti».
CORONAVIRUS - TERAPIA INTENSIVA
Inutile, però, portare altri specialisti a dare una mano in rianimazione, almeno secondo Alessandro Vergallo, presidente dell' Associazione anestesisti e rianimatori ospedalieri: «Si farebbe solo confusione, meglio uno specializzando di un dermatologo».
Il fabbisogno
A livello nazionale servono 3mila posti di terapia intensiva in più, rispetto ai 5mila dell' era pre-Covid, ma per ora «ne sono stati creati circa 1.500», spiega Vergallo. E, per garantire tutte le prestazioni, si dovrebbero reclutare 4mila anestesisti, che però non ci sono. «Temiamo un raddoppio dei ricoveri in terapia intensiva entro 15 giorni - avverte - l' organico non basterà».
Fonte: qui
“MISURE DRASTICHE NEI PROSSIMI DUE-TRE GIORNI O CI SARANNO CENTINAIA DI MORTI AL GIORNO”
CENTO SCIENZIATI E PROFESSORI UNIVERSITARI SCRIVONO UNA LETTERA-APPELLO A MATTARELLA E CONTE: “PRENDERE MISURE EFFICACI ADESSO SERVE PER SALVARE L'ECONOMIA E I POSTI DI LAVORO. PIÙ TEMPO SI ASPETTA, PIÙ LE MISURE DOVRANNO ESSERE PIÙ DURE”
LE STIME DEL PRESIDENTE DEI LINCEI PARISI: SE NON ARRESTIAMO IL CONTAGIO TRA POCO I NUOVI POSITIVI AL GIORNO SARANNO…
"MISURE DRASTICHE SUBITO", APPELLO SCIENZIATI A MATTARELLA E CONTE
Da www.adnkronos.com
CORONAVIRUS TERAPIA INTENSIVA ICC CASAL PALOCCO ROMA
Dare "piena adesione alla richiesta" del presidente dei Lincei, Giorgio Parisi "di assumere provvedimenti stringenti e drastici nei prossimi due o tre giorni" per "evitare che i numeri del contagio in Italia arrivino inevitabilmente, in assenza di misure correttive efficaci, nelle prossime tre settimane, a produrre alcune centinaia di decessi al giorno".
GIUSEPPE CONTE SERGIO MATTARELLA
E' quanto si legge nel testo di una lettera-appello che è stata appena inviata al capo dello Stato Sergio Mattarella e al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a firma di oltre cento tra scienziati e docenti universitari, tra cui figurano i nomi del Rettore della Normale di Pisa, Luigi Ambrosio e di Fernando Ferroni, ex presidente Istituto Nazionale Fisica Nucleare.
LUIGI AMBROSIO
"Come scienziati, ricercatori, professori universitari - si legge nel testo che AdnKronos ha potuto visionare - riteniamo doveroso ed urgente esprimere la nostra più viva preoccupazione in merito alla fase attuale di diffusione della pandemia da Covid-19 e riteniamo utile segnalare all'attenzione delle Istituzioni, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del Governo, nella persona del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, le stime riportate nell'articolo del Presidente dell'Accademia dei lincei, professor Giorgio Parisi, pubblicato nelle scorse ore nel blog dell'Huffington Post".
GIORGIO PARISI 3
"Il necessario contemperamento delle esigenze dell'economia e della tutela dei posti di lavoro con quelle del contenimento della diffusione del contagio deve ora lasciar spazio alla pressante esigenza di salvaguardare il diritto alla salute individuale e collettiva sancito nell'art. 32 della Carta costituzionale come inviolabile", avvertono i i firmatari dell'appello, tra cui figurano anche Gianfranco Viesti, economista dell'Università di Bari, Carlo Doglioni geologo e presidente Istituto nazionale geofisica e vulcanologia, Alfio Quarteroni, matematico applicato, Enzo Marinari, ordinario di Fisica alla Sapienza, Roberta Calvano, ordinaria di Diritto costituzionale Unitelma Sapienza, Piero Marcati, prorettore Gran Sasso Institute, Alessandra Celletti astronoma vicepresidente Anvur.
FERNANDO FERRONI
"La salvaguardia dei posti di lavoro, delle attività imprenditoriali e industriali, esercizi commerciali, e le altre attività verrebbero del resto ad essere anch'esse inevitabilmente pregiudicate all'esito di un dilagare fuori controllo della pandemia che si protraesse per molti mesi - si legge nel testo inviato al Colle e a Palazzo Chigi - . Prendere misure efficaci adesso serve proprio per salvare l'economia e i posti di lavoro. Più tempo si aspetta, più le misure che si prenderanno dovranno essere più dure, durare più a lungo, producendo quindi un impatto economico maggiore".
ANDAMENTO ESPONENZIALE DELLA SECONDA ONDATA
"E' per questo che il contagio va fermato ora, con misure adeguate, ed è per questo che chiediamo di intervenire ora in modo adeguato, nel rispetto delle garanzie costituzionali, ma nella piena salvaguardia della salute dei cittadini, che va di pari passo ed è anch’essa necessaria e funzionale al benessere economico", concludono gli scienziati che hanno fatto proprio l'allarme lanciato nelle scorse ore dal presidente dei Lincei, Parisi.
MISURE DRASTICHE O A METÀ NOVEMBRE 500 MORTI AL GIORNO
Giorgio Parisi per www.huffingtonpost.it
CORONAVIRUS TERAPIA INTENSIVA ICC CASAL PALOCCO ROMA
Dai primi giorni di ottobre i casi accertati di Covid stanno raddoppiando ogni settimana e per ogni ottanta casi di Covid c’è un morto dopo una decina di giorni o poco meno. Una settimana è proprio il lasso di tempo che in media ci vuole perché un contagiato contagi qualcun altro. Quindi un raddoppio ogni settimana vuol dire che ogni contagiato ne contagia due. A febbraio e all’inizio di marzo ogni settimana i casi quadruplicavano. Ci stiamo avviando verso il disastro più lentamente di marzo, ma la direzione è la stessa.
LUIGI AMBROSIO
Attualmente abbiamo circa diecimila nuovi casi e una sessantina di morti al giorno. Nell’ultimo mese abbiamo visto che all’incirca ogni ottanta casi si registra un decesso, una settimana dopo, più o meno. Non ha molta importanza quanti dei nuovi casi siano sintomatici e quanti siano asintomatici, per capire la gravità della situazione: ci basta sapere che adesso muore circa una persona su ottanta diagnosticate positive.
Se andiamo avanti con lo stesso ritmo di aumento, ovvero se i numeri dei casi continueranno ad adagiarsi sulla stessa retta, fra tre settimane ci troveremo con quasi centomila casi al giorno, cinquecento morti al giorno e con la stessa crisi sanitaria del marzo scorso. Ma ben prima di arrivare a centomila casi al giorno, il sistema sanitario e il tracciamento collasserebbero con conseguenze disastrose. Centomila casi al giorno sembra un numero strabiliante, quasi incredibile, ma basta guardarsi attorno: il Belgio, un paese con una popolazione 5-6 volte più piccola dell’Italia, sta sugli undicimila casi al giorno, che, fatte le debite proporzioni, corrispondono a 60.000 casi per un paese grande come l’Italia.
ROMA DALL'ALTO DURANTE IL LOCKDOWN FOTO MEZZELANI
Certo, non sta scritto da nessuna parte che la crescita epidemica debba andare avanti con un raddoppio costante nel prossimo futuro. Tuttavia se la situazione non cambia, se non cambia il numero di persone che va al lavoro, che si affolla sui mezzi di trasporto pubblico, che lavora in situazioni insalubri, che s’incontra con decine di persone a feste dove inconsapevolmente è presente una persona infetta, se tutto questo non cambia, ogni malato continuerà a contagiarne due fino a quando la maggior parte della popolazione non si sarà infettata. Sappiamo cosa vuol dire l’infezione da Covid non controllata; lo abbiamo visto a Bergamo: le persone che morivano a casa, gli ospedali al collasso, i morti giornalieri passati da trenta a trecento, i servizi di pompe funebri intasati, le bare accumulate nei sotterranei degli ospedali.
GIORGIO PARISI
Sono convinto che non arriveremo a questo punto e che riusciremo a fermare la crescita prima, ma per fermare la crescita e arrivare a una situazione in cui i casi non aumentano più, servono provvedimenti drastici ADESSO. Dobbiamo dimezzare i contatti per far sì che ogni persona ammalata ne contagi in media una. Durante il lockdown duro di marzo aprile tre persone ammalate ne contagiavano in media due. Adesso tre persone ne contagiano in media sei e invece se vogliamo arrivare a una situazione stazionaria ne devono contagiare solo tre. Non è facile: il sistema di tracciamento, finché funziona, consente di isolare i malati e questo riduce il numero dei contagi; ma più il numero di malati salirà, meno sarà utile il tracciamento, finché l’unica possibilità per fermare la crescita sarà il lockdown duro.
CORONAVIRUS TERAPIA INTENSIVA ICC CASAL PALOCCO ROMA
Le prossime due settimane dunque saranno cruciali: infatti, ben prima di arrivare al di là dei cinquantamila casi, ci troveremo nell’impossibilità di fare cinquecentomila tamponi al giorno, e con il collasso del sistema di tracciamento e l’imminente collasso del sistema sanitario, un nuovo lockdown sarà necessario e inevitabile.
CORONAVIRUS - OSPEDALE
Il Governo ha già approvato varie misure per cercare di rallentare la crescita dei contagi. Saranno sufficienti a fermare la crescita o almeno a rallentarla? Difficile dirlo. Gli effetti non sono immediati, dal momento del contagio ai sintomi passano 5-6 giorni, 3 giorni dai sintomi alla diagnosi e 1-2 per entrare in statistica. Quindi gli effetti sul numero dei casi si vedono una decina di giorni dopo un’eventuale riduzione del numero delle infezioni. Quindi è impossibile saperlo prima; anche perché un eventuale rallentamento nella crescita dei casi potrebbe essere solo il segnale che i tamponi fatti sono diventati insufficienti per segnalare tutti i casi.
CORONAVIRUS ITALIA
L’ideale sarebbe ridurre i contagi senza arrivare a un lockdown duro: ma per farlo senza agire alla cieca, sarebbe necessario avere informazioni più precise di quelle che ci vengono fornite ogni giorno: servirebbe un grande database nazionale in cui fossero riversate tutte le informazioni disponibili su dove sono avvenuti i contagi, le attività lavorative dei contagiati, l’uso di mezzi pubblici, le attività svolte.
Quanto influiscono sui contagi in Italia i ristoranti, le cene in famiglia, le riunione in ufficio, le convivenze familiarie, le feste? Quali sono le attività più a rischio, oltre ovviamente quelle che già si sanno: la sanità, le celle frigorifere, la preparazione dei salumi, i centri di distribuzione postale? Servono numeri, gli articoli di giornale con casi di cronaca sono del tutto inutili.
Sulla scuola, dove le ASL fanno particolari controlli, ci sono dati precisi, che permettono di escludere che fino a questo momento ci sia stata una propagazione sostenuta dell’epidemia dentro le classi, ma abbiamo informazioni molto poco precise su quello che succede in altri contesti: sappiamo il numero dei focolai o poco più. Senza dati precisi come fare a valutare gli effetti positivi o negativi di provvedimenti come la chiusura dei centri commerciali durante il weekend o delle scuole elementari?
CORONAVIRUS ITALIA
Queste informazioni sono cruciali anche per capire come mai dopo la situazione quasi stazionaria di settembre ci sia stata l’esplosione dei casi di ottobre: ci sono congetture in proposito, alcune ragionevoli, altre strampalate, i fattori possono essere stati molteplici, ma nessuno è in grado di dire, dati alla mano, in che misura ciascun fattore abbia influito. Ma se non sappiamo bene perché i casi da noi si sono impennati a ottobre, le misure che si possono prendere saranno generiche e non mirate al cuore del problema.
GIUSEPPE CONTE SERGIO MATTARELLA
Io temo fortemente che in Italia non sia stata fatta una raccolta sistematica delle informazioni cruciali sulle circostanze in cui il virus si è trasmesso: la lettera di Giorgio Alleva e Alberto Zuliani (già Presidenti Istat) al Corriere del 17 ottobre mi conferma in questo timore.
“In tanti mesi - scrivono - non abbiamo investito in un sistema di raccolta di dati che consenta un monitoraggio accurato su probabilità di contagio, dimensioni delle componenti sintomatiche e asintomatiche, collegamento con i rischi successivi, ricoveri e terapie sub-intensive e intensive, letalità. (…) Non è citando insieme, giorno per giorno, il numero di casi positivi e di tamponi effettuati che possiamo capire cosa stia accadendo realmente”.
GIORGIO PARISI
Non è un’operazione immediata, questa raccolta, richiede un lavoro di definizione di formulari standardizzati ma sufficientemente informativi che devono essere compilati in tutte le ASL d’Italia e riversati in un database nazionale. Ma va organizzata immediatamente.
ROMA DALL'ALTO DURANTE IL LOCKDOWN FOTO MEZZELANI GMT 32
Tuttavia se al contrario queste informazioni o parti di esse fossero già disponibili ai vertici del sistema sanitario, dovrebbero essere rese pubbliche subito, in maniera tale che i cittadini possano rendesi conto delle motivazioni governative e la comunità scientifica possa analizzarli allo scopo di capire meglio la propagazione del virus. Ad esempio ci sono forti indicazioni che rari eventi di superdiffusione, quando una singola persona infetta ne contagia molti, diano un contributo rilevante alla diffusione del virus, quindi la loro individuazione ed eventuale eliminazione darebbe un gran sollievo, ma per far questo bisogna analizzare in dettaglio i dati sui luoghi di contagio.
CORONAVIRUS - TERAPIA INTENSIVA
Sappiamo bene che la scienza è ed è stata fondamentale per contrastare l’epidemia, ed è quindi inaccettabile che la comunità scientifica non possa chiarire i modi di trasmissione del virus in Italia a causa della mancanza di dati dettagliati sui contagi diffusi accessibili a tutti (quelli che in inglese si chiamano open data).
GIORGIO PARISI
L’impressione è che al momento attuale si guidi molto alla cieca, cercando di usare il buon senso per non andare a sbattere. Dobbiamo invece (meglio tardi che mai) costruire e rendere pubblico un sistema di guida razionale da usare in un futuro che non sarà brevissimo: anche nella migliore delle ipotesi, infatti, è improbabile che un vaccino oggi in fase di sperimentazione avanzata possa avere effetti significativi sull’epidemia prima del marzo prossimo. Dobbiamo prepararci ad un lungo inverno evitando un disastro sanitario cercando di danneggiare il meno possibile la vita delle persone. La scienza ci può aiutare, ma dobbiamo metterla in grado di farlo.
CONTE MATTARELLA
La commissione Covid-19 dell’Accademia dei Lincei, all’inizio di giugno aveva scritto un documento, in cui si riteneva che ”superata la fase acuta della epidemia, sia giunto il momento, per le istituzioni sanitare regionali, l’Iss e la Protezione Civile di pianificare una condivisione dei dati concertata con la comunità scientifica”.
GIORGIO PARISI
Apparentemente niente è stato fatto in quella direzione e le amare conclusioni del documento linceo sono ancora di grande atttualità ″In assenza di trasparenza, ogni conclusione diviene contestabile sul piano scientifico e, quindi, anche sul piano politico. Solo con la trasparente alleanza tra scienza e politica possiamo affrontare efficientemente la convivenza con il coronavirus e prevenire una possibile risorgenza del Covid-19 o gestire l’emersione di future, possibili, epidemie.
Fonte: qui