CHE LA SOCIETA' DI JOHN ELKANN NON SALDA LE FATTURE DEI FORNITORI NEI TEMPI PREVISTI; 3. CHE SENZA QUEI 6,3 MILIARDI SALTEREBBE LA FUSIONE CON LA FRANCESE PEUGEOT-PSA
CHE SE FCA PROVASSE A FINANZIARSI SUL MERCATO PAGHEREBBE INTERESSI SALATISSIMI;
CHE IL DIVIDENDO DI 5,5 MILIARDI A EXOR E' IL PREZZO CHE PAGA PSA PER AVERE IL COMANDO
CHE LA CASSA NON STA IN ITALIA MA IN OLANDA, E PER QUANTE CONTROLLI POSSANO FARE LA SACE, GUALTIERI E PATUANELLI, QUANDO LA SOCIETÀ PASSERÀ IN MANO FRANCESE, SARÀ IMPOSSIBILE CONTROLLARE COME SARANNO SPESI QUEI 6,3 MILIARDI GARANTITI DALLO STATO
LA CHIAVE PER CAPIRE LA RICHIESTA DI FINANZIAMENTO È LA FUSIONE CON PSA, CHE NON SI FERMA. SI FERMEREBBE SENZA QUEI 6,3 MILIARDI
Quello che trapela dalle parti di Torino e Parigi è che la pandemia non fermerà la fusione FCA-PSA, come invece ha stoppato la ricchissima operazione su PartnerRe.
Elkann si trova quindi davanti a un vicolo cieco, e non solo perché i 6,3 miliardi di finanziamento in Italia gli servono per tenere in piedi la Exor, confermando l'extra-dividendo miliardario che è alla base dell'operazione coi francesi.
Ma perché quell'extra-dividendo di circa 5,5 miliardi che Exor deve incassare per la susione con PSA ha una doppia funzione: da una parte, remunerare l'addio alla gestione da parte del gruppo italiano. Si fa presto a parlare di fusione 50-50: l'amministratore delegato sarà francese, a Elkann andrà solo la presidenza, per quanto ''operativa''. Dall'altra, per riequilibrare i valori delle due società in modo da ottenere l'ok del governo francese, secondo azionista di PSA, che non avrebbe mai accettato l'opzione 60-40. Macron non vende, al massimo fonde il motore (tenendosi le chiavi della macchina).
Quindi, come aveva chiesto qualcuno, pescare dal forziere olandese i soldi per sostenere FCA Italy avrebbe voluto dire mandare a monte la fusione, perché si sarebbero squilibrati tutti i calcoli.
Allora perché non finanziarsi sul mercato? Come scrive su Twitter il Signor Ernesto, i Credit Default Swap su FCA (tutta, mica solo la sussidiaria italiana) sono schizzati alle soglie dei 600 punti base con l'inizio della pandemia, un livello di fiducia del mercato davvero basso, che avrebbe comportato tassi di indebitamento da suicidio. Assicurarsi contro il crac della ex Fiat costa un sacco, dunque costerebbe un sacco ottenere fiducia dagli investitori se la crisi l'avesse costretta all'emissione di una nuova obbligazione.
Insomma abbiamo capito due cose: che Elkann non aveva altre strade. Ah, e che non paga i fornitori nei tempi del contratto. Pare che la tecnica del Lingotto sia simile a quella di certi imprenditori furbetti, ovvero di ritardare il saldo delle fatture finché non si arriva a negoziare prezzi più convenienti.
Altrimenti non si spiegherebbe l'urgenza di saldare i debiti coi fornitori visto che dall'inizio del lockdown sono passati poco più di due mesi, e il negoziato con MEF e Mise è iniziato un mese fa.
C'è un terzo dettaglio da sottolineare: la cassa dell'azienda non sta in Italia. E neanche quella degli Elkann: sia FCA che Exor hanno sede in Olanda. Quindi per lo Stato italiano è quasi impossibile controllare cosa faranno coi soldi ottenuti. Potrà la SACE davvero mettere il naso negli sfuggenti caveau olandesi? Soprattutto quando tra qualche mese il controllo della società passerà aldilà delle Alpi? La vediamo difficile…
See Signor Ernesto's other Tweets
CHE COSA SI IMPEGNERÀ A FARE FCA CON IL PRESTITO DI INTESA SANPAOLO GARANTITO DALLO STATO
Fernando Soto per www.startmag.it
Come utilizzerà Fca Italia il prestito da 6,3 miliardi di Intesa Sanpaolo garantito da Sace?
E che cosa si impegnerà a fare Fca sia con Intesa Sanpaolo che con la Sace (gruppo Cdp) se il ministero dell’Economia, sentito quello dello Sviluppo economico, approverà con decreto la garanzia di Sace?
Ecco le risposte sulla base delle informazioni finora raccolte.
Innanzitutto, la controllata italiana del gruppo Fca ha chiesto l’innalzamento all’80% della percentuale standard del 70% della garanzia di Sace prevista dal decreto Liquidità.
Una possibilità prevista per le grandi imprese.
L’innalzamento è vincolato al rispetto di specifici impegni da parte di Fca, che saranno previsti anche nel contratto di finanziamento da parte di Intesa Sanpaolo, più che nel decreto del ministero dell’Economia.
Con il prestito di Intesa Sanpaolo garantito all’80% da Sace e controgarantito dallo Stato Fca si impegnerà – secondo le ricostruzioni di Start – a mantenere gli attuali livelli occupazionali in Italia e a potenziare gli stabilimenti operativi in Italia in termini di crescita, sviluppo tecnologico, innovazione e ricerca.
Fonti bancarie sottolineano che le risorse finanziarie dovranno essere destinate al pagamento dei fornitori, al pagamento degli stipendi ai dipendenti e agli investimenti in stabilimenti italiani.
La linea di credito, in sostanza, andrà a coprire questi capitoli: costi del personale, pagamenti dei fornitori, supporto alla rete di vendita e sostegno agli investimenti, anche per ricerca e sviluppo, in stabilimenti italiani necessari alla prosecuzione del piano industriale.
Sia Intesa Sanpaolo che Sace – dopo che la garanzia sarà approvata – analizzeranno e verificheranno la rendicontazione periodica dei risultati raggiunti, con meccanismi di monitoraggio e anche con la possibilità di controlli mirati.
DIVIDENDI ET IMPERA!
NON C'È SOLO FCA: IL
DECRETO SUI FINANZIAMENTI GARANTITI DALLA SACE FAVORISCE LE AZIENDE CHE
HANNO UNA CONTROLLANTE ALL'ESTERO O AZIONISTI STRANIERI. LORO NON SONO
SOGGETTI AL DIVIETO DI DISTRIBUIRE DIVIDENDI O DI RIACQUISTARE AZIONI
PROPRIE. QUINDI SI FANNO GARANTIRE DALLE TASSE DEGLI ITALIANI E POI SONO
LIBERI DI STACCARE RICCHE CEDOLE IN OLANDA E LUSSEMBURGO, A MONTECARLO E
LONDRA
LA SOLITA AMORALE DELLA FAVA: CHI È STATO ''PATRIOTTICO'' E HA
UNA CATENA SOCIETARIA ITALIANA AL 100%, È ANCORA UNA VOLTA SVANTAGGIATO
C'è
un punto del decreto legge dell'8 aprile 2020, quello che stabilisce la
garanzia pubblica della SACE per i finanziamenti alle aziende messe in
difficoltà dal coronavirus, che sta facendo scervellare manager e
avvocati d'affari. Non è la questione FCA, o meglio, non riguarda solo
FCA.
L'articolo 1, comma 2, lettera i, recita:
L'impresa
che beneficia della garanzia assume l'impegno che essa, nonche' ogni
altra impresa con sede in Italia che faccia parte del medesimo gruppo
cui la prima appartiene, non approvi la distribuzione di dividendi o il
riacquisto di azioni nel corso del 2020;
giuseppe conte roberto gualtieri mes
La stessa norma viene ripresa dalla circolare che l'Abi,
l'associazione delle banche italiane, ha scritto insieme a SACE per
precisare i criteri e le condizioni che gli istituti dovranno verificare
prima di concedere questi finanziamenti. Chi fa domanda deve presentare
l'attestazione ''circa il fatto che né l’impresa richiedente, né ogni
altra impresa con sede in Italia che faccia parte del medesimo gruppo
cui la stessa appartiene, ha approvato la distribuzione di dividendi o
il riacquisto di azioni proprie a decorrere dal 9 aprile 2020 e si
impegna a non approvare la distribuzione di dividendi o il riacquisto di
azioni proprie nel corso del 2020''. (Paragrafo 5.1)
La
domanda che si fanno molti manager che vorrebbero chiedere il
finanziamento è: che vuol dire avere la sede in Italia? Un azionista
straniero che ha il controllo o la partecipazione in un'azienda
italiana, può continuare a distribuire dividendi e a comprare azioni
proprie in un paese diverso dall'Italia? E ciò non lo metterebbe in una
condizione di vantaggio rispetto a quelle aziende italiane al 100%?
Il
decreto legge è vago, e può essere interpretato in senso restrittivo
(sede = sede legale, che è solo una e può essere all'estero) oppure
estensivo (sede = filiale, succursale). Nel primo caso, da FCA che ha la
sede legale in Olanda, a Msc Crociere, che ha la base in Svizzera,
questi grandi gruppi possono chiedere fondi per le loro attività
italiane, lasciando liberi le società con base all'estero di fare quello
che vogliono con dividendi e azioni proprie. Nel secondo caso, anche la
holding/casa madre viene ricompresa tra le aziende ''con sede in
Italia'', così vincolando anche gli azionisti a monte della catena al
divieto previsto dal decreto.
Certo,
non sarebbe facile né controllare né sanzionare le mosse di azionisti
che hanno la loro sede in un paese straniero, ma sicuramente sarebbe
equo: metterebbe tutte le aziende che operano in Italia sullo stesso
piano.
Il tema non
è affatto secondario. Nel libero mercato ognuno stabilisce i propri
domicili fiscale e legale dove più gli conviene, tanto che il dumping
fiscale è uno degli sport preferiti di certi ''cugini'' europei. Ma
quando un'azienda esce dal libero mercato e bussa alla porta dello
Stato, a quel punto i governi possono stabilire i requisiti e gli
obblighi per concedere l'aiuto pubblico.
Si
tratta di decine di miliardi garantiti dalle tasse degli italiani, mica
bruscolini. E il principio, come ha detto giustamente Carlo Calenda, è
semplice: il governo ha interesse a tutelare i posti di lavoro e le
filiere in Italia, mentre non dovrebbe avere interesse a tutelare il
diritto degli azionisti a incassare ricchi dividendi, per giunta
all'estero e dunque non tassati dal fisco italiano.
john elkann
E
attenzione: il vantaggio di garantire a una propria controllata un
finanziamento a tasso stracciato e con garanzia statale è enorme. Molte
di queste aziende dovrebbero ricapitalizzare le loro filiali italiane
con i fondi che hanno in cassa, oppure finanziarsi sul mercato, dove
dovrebbero garantire tassi da urlo sia alle banche, sia in caso di
emissione obbligazionaria. Invece grazie al sistema SACE (giusto e
dovuto, vista l'emergenza), si tengono le riserve in cassa e finanziano
con tassi ultra-convenienti la ripartenza.
carlo calenda
Il
socio di uno dei principali studi internazionali in Italia ha spiegato a
Dagospia che la norma italiana sembra scritta apposta per privilegiare
l'interpretazione restrittiva, e dunque favorire chi ha una controllante
straniera. Scriverla in modo diverso non sarebbe stato difficile, ma
probabilmente sarebbe stato impossibile l'enforcement, cioè
inseguire azionisti con base in Lussemburgo, Olanda, Montecarlo, o altri
paradisi e paradisini fiscali, per bloccare la distribuzione di
dividendi o lo share buyback.
FCA
ha già annunciato che non distribuirà il dividendo ordinario nel 2020,
ma sappiamo che lì il problema principale è quello straordinario, da 5,5
miliardi, che sarà versato nel 2021 ed è alla base dei concambi e del
buon fine della fusione con PSA. Pare che anche EssilorLuxottica voglia
chiedere l'aiuto della SACE, di sicuro sappiamo che il 20 aprile scorso
il dividendo 2020 è stato cancellato, lasciando così mani libere a Del
Vecchio.
LEONARDO DEL VECCHIO
Ma
che ne sarà delle altre società con casa madre all'estero? O con fondi
internazionali nell'azionariato? Perché un imprenditore italiano
''patriottico'' che ha tenuto tutta la catena societaria in Italia ha la
mordacchia sui conti, mentre un altro più furbo che ha portato
all'estero la holding per pagare meno tasse o avere più voti in
assemblea a parità di azioni (bello, il libero mercato), può disporre
dei suoi soldi come meglio crede, e sulle spalle del debito pubblico
italiano?
Ancora
una volta, il governo si dà la zappa sui piedi e incoraggia le aziende a
darsela a gambe: così alla prossima emergenza potranno citofonare a
Pantalone e intascare cedole senza problemi…
LA CHIAVE PER CAPIRE LA RICHIESTA DI FINANZIAMENTO È LA FUSIONE CON PSA, CHE NON SI FERMA. SI FERMEREBBE SENZA QUEI 6,3 MILIARDI
Quello che trapela dalle parti di Torino e Parigi è che la pandemia non fermerà la fusione FCA-PSA, come invece ha stoppato la ricchissima operazione su PartnerRe.
Elkann si trova quindi davanti a un vicolo cieco, e non solo perché i 6,3 miliardi di finanziamento in Italia gli servono per tenere in piedi la Exor, confermando l'extra-dividendo miliardario che è alla base dell'operazione coi francesi.
Ma perché quell'extra-dividendo di circa 5,5 miliardi che Exor deve incassare per la susione con PSA ha una doppia funzione: da una parte, remunerare l'addio alla gestione da parte del gruppo italiano. Si fa presto a parlare di fusione 50-50: l'amministratore delegato sarà francese, a Elkann andrà solo la presidenza, per quanto ''operativa''. Dall'altra, per riequilibrare i valori delle due società in modo da ottenere l'ok del governo francese, secondo azionista di PSA, che non avrebbe mai accettato l'opzione 60-40. Macron non vende, al massimo fonde il motore (tenendosi le chiavi della macchina).
Quindi, come aveva chiesto qualcuno, pescare dal forziere olandese i soldi per sostenere FCA Italy avrebbe voluto dire mandare a monte la fusione, perché si sarebbero squilibrati tutti i calcoli.
Allora perché non finanziarsi sul mercato? Come scrive su Twitter il Signor Ernesto, i Credit Default Swap su FCA (tutta, mica solo la sussidiaria italiana) sono schizzati alle soglie dei 600 punti base con l'inizio della pandemia, un livello di fiducia del mercato davvero basso, che avrebbe comportato tassi di indebitamento da suicidio. Assicurarsi contro il crac della ex Fiat costa un sacco, dunque costerebbe un sacco ottenere fiducia dagli investitori se la crisi l'avesse costretta all'emissione di una nuova obbligazione.
Insomma abbiamo capito due cose: che Elkann non aveva altre strade. Ah, e che non paga i fornitori nei tempi del contratto. Pare che la tecnica del Lingotto sia simile a quella di certi imprenditori furbetti, ovvero di ritardare il saldo delle fatture finché non si arriva a negoziare prezzi più convenienti.
Altrimenti non si spiegherebbe l'urgenza di saldare i debiti coi fornitori visto che dall'inizio del lockdown sono passati poco più di due mesi, e il negoziato con MEF e Mise è iniziato un mese fa.
C'è un terzo dettaglio da sottolineare: la cassa dell'azienda non sta in Italia. E neanche quella degli Elkann: sia FCA che Exor hanno sede in Olanda. Quindi per lo Stato italiano è quasi impossibile controllare cosa faranno coi soldi ottenuti. Potrà la SACE davvero mettere il naso negli sfuggenti caveau olandesi? Soprattutto quando tra qualche mese il controllo della società passerà aldilà delle Alpi? La vediamo difficile…
See Signor Ernesto's other Tweets
CHE COSA SI IMPEGNERÀ A FARE FCA CON IL PRESTITO DI INTESA SANPAOLO GARANTITO DALLO STATO
Fernando Soto per www.startmag.it
Come utilizzerà Fca Italia il prestito da 6,3 miliardi di Intesa Sanpaolo garantito da Sace?
E che cosa si impegnerà a fare Fca sia con Intesa Sanpaolo che con la Sace (gruppo Cdp) se il ministero dell’Economia, sentito quello dello Sviluppo economico, approverà con decreto la garanzia di Sace?
Ecco le risposte sulla base delle informazioni finora raccolte.
Innanzitutto, la controllata italiana del gruppo Fca ha chiesto l’innalzamento all’80% della percentuale standard del 70% della garanzia di Sace prevista dal decreto Liquidità.
Una possibilità prevista per le grandi imprese.
L’innalzamento è vincolato al rispetto di specifici impegni da parte di Fca, che saranno previsti anche nel contratto di finanziamento da parte di Intesa Sanpaolo, più che nel decreto del ministero dell’Economia.
Con il prestito di Intesa Sanpaolo garantito all’80% da Sace e controgarantito dallo Stato Fca si impegnerà – secondo le ricostruzioni di Start – a mantenere gli attuali livelli occupazionali in Italia e a potenziare gli stabilimenti operativi in Italia in termini di crescita, sviluppo tecnologico, innovazione e ricerca.
Fonti bancarie sottolineano che le risorse finanziarie dovranno essere destinate al pagamento dei fornitori, al pagamento degli stipendi ai dipendenti e agli investimenti in stabilimenti italiani.
La linea di credito, in sostanza, andrà a coprire questi capitoli: costi del personale, pagamenti dei fornitori, supporto alla rete di vendita e sostegno agli investimenti, anche per ricerca e sviluppo, in stabilimenti italiani necessari alla prosecuzione del piano industriale.
Sia Intesa Sanpaolo che Sace – dopo che la garanzia sarà approvata – analizzeranno e verificheranno la rendicontazione periodica dei risultati raggiunti, con meccanismi di monitoraggio e anche con la possibilità di controlli mirati.
DIVIDENDI ET IMPERA!
giuseppe conte roberto gualtieri mes
john elkann
carlo calenda
LEONARDO DEL VECCHIO
DIVIDENDI ET IMPERA!
NON C'È SOLO FCA: IL
DECRETO SUI FINANZIAMENTI GARANTITI DALLA SACE FAVORISCE LE AZIENDE CHE
HANNO UNA CONTROLLANTE ALL'ESTERO O AZIONISTI STRANIERI. LORO NON SONO
SOGGETTI AL DIVIETO DI DISTRIBUIRE DIVIDENDI O DI RIACQUISTARE AZIONI
PROPRIE. QUINDI SI FANNO GARANTIRE DALLE TASSE DEGLI ITALIANI E POI SONO
LIBERI DI STACCARE RICCHE CEDOLE IN OLANDA E LUSSEMBURGO, A MONTECARLO E
LONDRA
LA SOLITA AMORALE DELLA FAVA: CHI È STATO ''PATRIOTTICO'' E HA
UNA CATENA SOCIETARIA ITALIANA AL 100%, È ANCORA UNA VOLTA SVANTAGGIATO
C'è
un punto del decreto legge dell'8 aprile 2020, quello che stabilisce la
garanzia pubblica della SACE per i finanziamenti alle aziende messe in
difficoltà dal coronavirus, che sta facendo scervellare manager e
avvocati d'affari. Non è la questione FCA, o meglio, non riguarda solo
FCA.
L'articolo 1, comma 2, lettera i, recita:
L'impresa
che beneficia della garanzia assume l'impegno che essa, nonche' ogni
altra impresa con sede in Italia che faccia parte del medesimo gruppo
cui la prima appartiene, non approvi la distribuzione di dividendi o il
riacquisto di azioni nel corso del 2020;
La stessa norma viene ripresa dalla circolare che l'Abi,
l'associazione delle banche italiane, ha scritto insieme a SACE per
precisare i criteri e le condizioni che gli istituti dovranno verificare
prima di concedere questi finanziamenti. Chi fa domanda deve presentare
l'attestazione ''circa il fatto che né l’impresa richiedente, né ogni
altra impresa con sede in Italia che faccia parte del medesimo gruppo
cui la stessa appartiene, ha approvato la distribuzione di dividendi o
il riacquisto di azioni proprie a decorrere dal 9 aprile 2020 e si
impegna a non approvare la distribuzione di dividendi o il riacquisto di
azioni proprie nel corso del 2020''. (Paragrafo 5.1)
La
domanda che si fanno molti manager che vorrebbero chiedere il
finanziamento è: che vuol dire avere la sede in Italia? Un azionista
straniero che ha il controllo o la partecipazione in un'azienda
italiana, può continuare a distribuire dividendi e a comprare azioni
proprie in un paese diverso dall'Italia? E ciò non lo metterebbe in una
condizione di vantaggio rispetto a quelle aziende italiane al 100%?
Il
decreto legge è vago, e può essere interpretato in senso restrittivo
(sede = sede legale, che è solo una e può essere all'estero) oppure
estensivo (sede = filiale, succursale). Nel primo caso, da FCA che ha la
sede legale in Olanda, a Msc Crociere, che ha la base in Svizzera,
questi grandi gruppi possono chiedere fondi per le loro attività
italiane, lasciando liberi le società con base all'estero di fare quello
che vogliono con dividendi e azioni proprie. Nel secondo caso, anche la
holding/casa madre viene ricompresa tra le aziende ''con sede in
Italia'', così vincolando anche gli azionisti a monte della catena al
divieto previsto dal decreto.
Certo,
non sarebbe facile né controllare né sanzionare le mosse di azionisti
che hanno la loro sede in un paese straniero, ma sicuramente sarebbe
equo: metterebbe tutte le aziende che operano in Italia sullo stesso
piano.
Il tema non
è affatto secondario. Nel libero mercato ognuno stabilisce i propri
domicili fiscale e legale dove più gli conviene, tanto che il dumping
fiscale è uno degli sport preferiti di certi ''cugini'' europei. Ma
quando un'azienda esce dal libero mercato e bussa alla porta dello
Stato, a quel punto i governi possono stabilire i requisiti e gli
obblighi per concedere l'aiuto pubblico.
Si
tratta di decine di miliardi garantiti dalle tasse degli italiani, mica
bruscolini. E il principio, come ha detto giustamente Carlo Calenda, è
semplice: il governo ha interesse a tutelare i posti di lavoro e le
filiere in Italia, mentre non dovrebbe avere interesse a tutelare il
diritto degli azionisti a incassare ricchi dividendi, per giunta
all'estero e dunque non tassati dal fisco italiano.
E
attenzione: il vantaggio di garantire a una propria controllata un
finanziamento a tasso stracciato e con garanzia statale è enorme. Molte
di queste aziende dovrebbero ricapitalizzare le loro filiali italiane
con i fondi che hanno in cassa, oppure finanziarsi sul mercato, dove
dovrebbero garantire tassi da urlo sia alle banche, sia in caso di
emissione obbligazionaria. Invece grazie al sistema SACE (giusto e
dovuto, vista l'emergenza), si tengono le riserve in cassa e finanziano
con tassi ultra-convenienti la ripartenza.
Il
socio di uno dei principali studi internazionali in Italia ha spiegato a
Dagospia che la norma italiana sembra scritta apposta per privilegiare
l'interpretazione restrittiva, e dunque favorire chi ha una controllante
straniera. Scriverla in modo diverso non sarebbe stato difficile, ma
probabilmente sarebbe stato impossibile l'enforcement, cioè
inseguire azionisti con base in Lussemburgo, Olanda, Montecarlo, o altri
paradisi e paradisini fiscali, per bloccare la distribuzione di
dividendi o lo share buyback.
FCA
ha già annunciato che non distribuirà il dividendo ordinario nel 2020,
ma sappiamo che lì il problema principale è quello straordinario, da 5,5
miliardi, che sarà versato nel 2021 ed è alla base dei concambi e del
buon fine della fusione con PSA. Pare che anche EssilorLuxottica voglia
chiedere l'aiuto della SACE, di sicuro sappiamo che il 20 aprile scorso
il dividendo 2020 è stato cancellato, lasciando così mani libere a Del
Vecchio.
Ma
che ne sarà delle altre società con casa madre all'estero? O con fondi
internazionali nell'azionariato? Perché un imprenditore italiano
''patriottico'' che ha tenuto tutta la catena societaria in Italia ha la
mordacchia sui conti, mentre un altro più furbo che ha portato
all'estero la holding per pagare meno tasse o avere più voti in
assemblea a parità di azioni (bello, il libero mercato), può disporre
dei suoi soldi come meglio crede, e sulle spalle del debito pubblico
italiano?
Ancora
una volta, il governo si dà la zappa sui piedi e incoraggia le aziende a
darsela a gambe: così alla prossima emergenza potranno citofonare a
Pantalone e intascare cedole senza problemi…
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