LA LETTERA DI PAOLA DE MICHELI A GIUSEPPE CONTE SUL PONTE DI GENOVA
Pietro Salvatori per www.huffingtonpost.it
La prova che attendere e procrastinare a volte risolve i problemi, più spesso li incancrenisce. La non decisione su Autostrade e il temporaneo riaffidamento del Ponte di Genova ad Aspi è stato come tirare un sasso in un vespaio. “Porteremo il dossier in Cdm, va coinvolto tutto il Governo”, ha provato ad uscirne Giuseppe Conte quando i buoi erano da un pezzo scappati dalla stalla.
Dopo la missiva di Paola De Micheli che ha ridato almeno per il momento le chiavi del Ponte ai Benetton - descritta come un automatismo che nulla aveva a che fare con la revoca delle concessioni (spiegazione che non ha convinto fino in fondo nessuno) - per tutto il giorno Pd e M5s se le sono date di santa ragione. Mentre Nicola Zingaretti si è recato platealmente ad Oriolo, dove ha incontrato Sergio Flamigni, una giornata di studi e memoria: “Il problema – si è sfogato il segretario Dem - non è che il Ponte va a Benetton, è che è finito e non è stato fatto niente. Vedo più trame che governo, io le cose che dovevo dire le ho dette”.
STATI GENERALI DE MICHELI
E’ l’immagine dell’immobilismo denunciato da mesi, stasi che Palazzo Chigi fa di tutto per smentire, incurante dell’ostinazione dei fatti. Ma se il premier volgesse lo sguardo dal Nazareno per girarsi dall’altra parte, quella dei 5 stelle, il quadro sarebbe ancora più fosco. E dire che poteva essere una giornata felice per l’esecutivo, con l’attesa decisione della Corte costituzionale che ha dichiarato legittima la decisione di estromettere Autostrade dalla ricostruzione. E invece...
“Figurati, quello pur di fare un favore al Pd farebbe di tutto”. “Quello” è Conte, e chi parla è un importante esponente del Movimento 5 stelle. Anche il tenore dell’eloquio dà il senso di quanto sia ormai sfilacciato il rapporto con Palazzo Chigi. Il partito è infuriato con il premier. Quasi non nomina la De Micheli, che con una lettera ha dato il via libera affinché il Ponte di Genova tornasse nelle mani di Autostrade, almeno fino alla decisione sulla revoca delle concessioni.
PAOLA DE MICHELI GIUSEPPE CONTE
L’obiettivo non è lei. Vito Crimi attacca: “Non possiamo permettere che il Ponte venga riconsegnato nelle mani dei Benetton, su questo non arretreremo di un millimetro”. Di Maio scrive su Facebook che bisogna “mantenere le promesse fatte” alle famiglie delle vittime: “che il ponte non lo avrebbero costruito i Benetton, ma un’azienda di Stato. E che i Benetton non avrebbero più gestito le autostrade. Tantomeno il ponte. Entrambe queste promesse ora vanno mantenute. La politica senta dentro di sé il peso di queste due promesse. E passi ai fatti”.
Dietro le dichiarazioni di facciata, tutti ammettono che la decisione ha le caratteristiche dell’automatismo. Ma, ed è qui che si alzano i toni, l’automatismo è scattato perché il premier non ha saputo o voluto decidere.
GIUSEPPE CONTE PAOLA DE MICHELI
“Conte sapeva”, dicono tutti, e in effetti la lettera della De Micheli è indirizzata per conoscenza anche a lui. “Ci ha tenuto all’oscuro, è un gioco a dividerci”, lamentano i vertici pentastellati. I gruppi sono esplosi. Nel mirino finiscono lo stesso Vito Crimi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, il viceministro alle Infrastrutture Giancarlo Cancelleri, il capo delegazione Alfonso Bonafede. La nostra prima linea al governo è debolissima, è il senso del ragionamento, gli passano le cose sotto il naso, trascurano i fascicoli importanti, non vigilano, cedono su tutti i dossier invece che avanzare. “Alle 11.50 di oggi De Micheli mi ha mandato un messaggio per spiegarmi il perché di questa scelta ma era il riassunto del suo post su Facebook. La verità è che non ci siamo mai seduti seriamente a un tavolo”, si difende Cancelleri.
FABIANA DADONE RICCARDO FRACCARO
È una valanga, si rischia di esserne travolti. Conte si sente con Bonafede, gli spiega che è un passo dovuto senza nessuna implicazione politica e nessun effetto sulla decisione ancora da prendere, gli assicura che “entro la settimana chiudiamo la questione”. La marea montante non cala: “Corre ai ripari perché sa di aver fatto una str... - dice furibondo un parlamentare - ti pare che se voleva decidere in settimana non avrebbe messo in stand-by questa decisione?”.
Sono settimane che il sospetto sulle mosse del premier si è insinuato fra i 5 stelle e sembra inestirpabile. In conferenza stampa a Madrid Conte prova a replicare, parla di automatismi decisionali, evita accuratamente di segnalare se fosse al corrente della decisione (più fonti di governo spiegano a Huffpost che lo era) e prova a passare all’attacco: “La situazione è paradossale e rischia di diventare assurda, ho detto ai ministri competenti che entro la settimana chiudiamo il dossier”.
Una situazione assurda e paradossale per sua colpa, replica M5s. A maggio l’assicurazione che entro metà giugno sarebbe stata risolta, il 24 del mese scorso il vertice in cui spiegava che “la questione va chiusa subito”, a luglio inoltrato ancora nulla, fino a scivolare sulla necessaria e temporanea riassegnazione ad Aspi per non bloccare la riapertura. Un importante esponente di governo quasi urla al telefono: “È andato a farsi bello all’inaugurazione, a prendersi selfie e applausi, poi non decide, fa il filosofo. Ma così spacca la maggioranza”.
NUOVO PONTE GENOVA
E’ un refrain che si sente spesso tra i pentastellati, quello di un Conte che si sta giocando una sua personalissima partita, cercando di indebolire il Movimento affinché il Movimento abbia bisogno di lui a Palazzo Chigi per non sfaldarsi. Di Maio non lo cita, ma quando dice “le promesse vanno mantenute, la politica ne senta il peso e passi ai fatti”, l’eco delle sue parole è rimbalzato fino a Palazzo Chigi.
Il presidente del Consiglio ha assicurato gli interlocutori M5s che sulla revoca non si faranno passi indietro, anche se il suo definire “inaccettabili” le proposte dei Benetton fa sentire puzza di bruciato ai pentastellati, che sospettano che sia in corso una trattativa. Il Pd continua a spingere per un combinato di multe e impegni sugli investimenti, rimane in ballo l’ipotesi di una drastica riduzione delle quoti di Benetton nel capitale. Qualunque sarà il punto di caduta, la cicatrice rimane. “Sono due mesi che diciamo a Conte che c’era questo problema”, si sfoga un ministro. Il sospetto è che l’immobilismo sia diventato una tattica per forzare la mano.
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