I PALETTI PER AVERE LA CIFRA TONDA DI 780 EURO SONO TROPPO STRINGENTI.
E IN VENETO CHI LO RICEVE SI VERGOGNA A MOSTRARLO E QUINDI NON LO USA…
REDDITO DI CITTADINANZA ALLE POSTE
È stato caricato sulla «RDC card» di Poste Italiane il reddito di cittadinanza per le prime 500 famiglie venete sulle 3064 che l’avevano richiesto attraverso i Caf della Cgil. La maggioranza delle domande, accolte dopo il controllo dei requisiti da parte di Agenzia delle Entrate e Inps, arriva da Padova: 733. Seguono Treviso con 652, Rovigo con 486, Verona con 386, Vicenza con 372, Venezia con 359 e Belluno con 76.
DI MAIO E LA CARD PER IL REDDITO DI CITTADINANZA BY LUGHINO
Valanga di pratiche
«Altre 3mila pratiche devono ancora essere processate — spiega Claudio Zaccarin, responsabile regionale dei Caf Cgil — e di queste, stando alla media di accoglimento del 60% finora registrata, andranno a buon fine circa 1800. Le assegnazioni iniziali, erogate a partire dallo scorso 27 aprile, hanno un valore compreso tra 100 e 370 euro, ma ce ne sono anche da 40 e 50 euro. Tutte hanno suscitato una certa delusione, perché gli aventi diritto erano convinti di ricevere i 780 euro di massimale sul quale era stata impostata la campagna elettorale del M5S».
Troppe variabili
IL SITO PER IL REDDITO DI CITTADINANZA
E invece la cifra cambia a seconda di molte variabili, non solo dei diktat di base, cioè: essere cittadini italiani, europei o risiedere in questo Paese da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due continuativamente; avere un Isee inferiore ai 9.360 euro, un patrimonio immobiliare (esclusa la prima casa) non superiore ai 30mila euro e un patrimonio finanziario non maggiore ai 6mila (20mila per i disabili). «Se una persona gode già di una misura di sostegno, il reddito di cittadinanza diminuisce — avverte Alfio Calvagna, presidente del Comitato Inps Veneto — in certi casi può invece essere detratto, in altri sommato all’altro assegno. Insomma è tutto molto soggettivo e complicato anche se l’intento del governo di tendere una mano a chi è in condizioni economiche disperate è condivisibile».
MEME SU DI MAIO E LA CARD PER IL REDDITO DI CITTADINANZA 2
La vergogna di spenderlo: fenomeno «veneto»
Chi l’ha ricevuto, usa il reddito di cittadinanza per pagare le bollette, le rate del mutuo, le spese condominiali, l’affitto. «Ma non la spesa al supermercato o le medicine — rivela Zaccarin — perché si vergognano a esibire al supermercato o in farmacia la tesserina gialla, la vivono come una certificazione di povertà». «Posso trovare gente che conosco, non è dignitoso — ha confessato una casalinga trevigiana di mezza età, marito disoccupato e due figli studenti —. E poi i 370 euro che ci hanno dato bastano appena per le bollette». Un senso della dignità che ha finora spinto il 10% dei destinatari di una cifra irrisoria, come i 40 euro, a rifiutarla. «E’ vero, molti l’hanno respinta ed è un fenomeno tipicamente veneto — sottolinea Calvagna —. Questa regione è fatta di piccole comunità, ci si conosce tutti, è difficile ammettere di non farcela da soli, di avere bisogno di aiuto». Al punto che pure gli anziani respingono la pensione di cittadinanza, diramazione dello stesso provvedimento. Un’ottantenne veneziana a riposo dalla pubblica amministrazione e un coetaneo padovano in quiescenza dal privato, entrambi con pensione minima di 600 euro al mese, hanno detto «no grazie» ai 200-300 euro prospettati. «Un contributo così risicato è offensivo — la motivazione — invece di darci la carità, lo Stato ci passi una pensione adeguata».
GIUSEPPE CONTE LUIGI DI MAIO E LA CARD PER IL REDDITO DI CITTADINANZA
Navigator fermi
C’è un altro problema: il reddito di cittadinanza prevede anche un inserimento lavorativo per uno dei componenti disoccupati della famiglia del richiedente, non necessariamente per lui. Ma i «navigator», cioè i tutor incaricati dal governo di facilitare accesso e pratiche ai Centri per l’impiego, non sono ancora scesi in campo, perché il bando per il loro reclutamento è uscito nemmeno un mese fa. E poi l’accordo Stato-Regioni prevede un potenziamento del personale dei Centri per l’impiego, che è in divenire. «In più molti assegnatari della misura di sostegno non vogliono lavorare, magari perchè già lo fanno in nero — aggiunge il responsabile Cgil —. Ma al terzo no (nei primi 12 mesi si riceve un’offerta di lavoro nel raggio di 100 chilometri dalla residenza, seguita da una seconda che coprirà un raggio di 250 chilometri e da un’ultima in arrivo da qualsiasi regione, ndr), perderà l’assegno». Tuttavia in questo momento sembra il problema minore. «Il lavoro lo procuri se c’è ma se non esiste, come al Sud, che fai?», chiude il presidente del Comitato Inps.
PERCHÉ LE DOMANDE PER IL REDDITO DI CITTADINANZA SONO AL DI SOTTO DELLE ATTESE?
LE CAUSE SONO LEGATE AL FATTO CHE UN QUARTO DELL’OLTRE UN MILIONE DI DOMANDE PRESENTATE È STATO RIGETTATO DALL’INPS “PER LA MANCANZA DI UNO O PIÙ REQUISITI” RITENUTI”
“TROPPO STRINGENTI PER LA RICHIESTA DEL BENEFICIO”
Si potrebbe definirle come “lettere dalla povertà”. O la testimonianza che anche un piccolo aiuto può esser utile a non farci sentire ai margini. O a uscire da una situazione di difficoltà. Non solo economica. Ma personale. Nei confronti di terzi. Una comunità, la famiglia, una moglie, un figlio, una figlia. “Per una volta non mi sono sentito un fallito per aver pagato la comunione di mia figlia” ha scritto, tra gli altri, Giorgio.
LUIGI DI MAIO REDDITO DI CITTADINANZA BY LUGHINO
Oppure, “Sono una donna sola con una bambina, sono in affitto e senza lavoro. Ora posso migliorare la mia situazione e garantire a mia figlia qualcosa da mangiare in più e un tetto. Ho già pagato una bolletta”, scrive Eleonora77 dalla Sicilia. “Per la prima volta grazie al Rdc, mi sento di essere aiutato e considerato dal mio Stato. Sono riuscito a pagare le bollette e gli altri soldi li ho utilizzati per fare la spesa” dice Raffaello dalla Toscana. Anche perché “difficilmente chi non ha difficoltà a comprare del cibo può capire cosa si prova”.
Sono alcune delle lettere arrivate sulla mail spesa di 'spesadicittadinanza@gmail.com' che Il Fatto ha sollecitato a inviare per raccontare come viene speso il Reddito di cittadinanza e che il quotidiano pubblica oggi in due pagine, che riassumono anche i dati delle domande finora presentate per ottenerlo 1.016.977), le domande arrivate ai Caf (748.742), il tasso delle domande rifiutate (25%). Oltre al numero delle domande pervenute finora all’Inps, che è pari al 57% delle famiglie in povertà assoluta, con una descrizione percentuale delle differenze regionali che sono notevoli.
REDDITO DI CITTADINANZA
In Sardegna, ad esempio, sono state presentate 46.335 domande a fronte di 35.011 famiglie povere (il 132%), mentre in Trentino Alto Adige la sovrapposizione è solo del 23%. Anche in Abruzzo il numero di domande per il reddito di cittadinanza supera la povertà (103%) e tassi elevati si registrano in Campania (85%, pari a 172.175 individui) e Toscana (84%). Tra i valori inferiori alla media prevalgono le regioni del centro-nord, con l’eccezione di Calabria e Molise (entrambe 43%). Percentuali che rivelano come il rapporto tra domande di Reddito di cittadinanza e i poveri assoluti, nelle regioni più povere è più alto.
PERCHÉ IL REDDITO NON DECOLLA?
Il tema di cui si discute in questi giorni è infatti legato al numero delle domande pervenute, che si è rivelato per l’Inps “al di sotto delle attese” si legge nell’analisi che accompagna la pubblicazione delle testimonianze arrivate al giornale via email e ci fa interrogare sul perché il Reddito di cittadinanza non decolla? E tra le spiegazioni più in voga che si possono leggere qua e là, c’è quella secondo la quale, “siccome molti lavorano in nero, preferiscono non chiedere il sussidio per evitare controlli fiscali e sanzioni penali”.
REDDITO DI CITTADINANZA ALLE POSTE
Ciò che fa tirare le somme per dire che alla fin fine “in Italia non c’è poi tutta la povertà che pensavamo”. Ma “le famiglie povere – secondo l’Istat 1,8 milioni (5 milioni di individui) – sono quelle che spendono in maniera insufficiente per il sostentamento, a prescindere dalla fonte dei loro magri redditi. Magari questi poveri lavorano in nero, ma hanno comunque dei consumi da poveri” analizza l’articolista.
Secondo chi analizza le cause, invece, il Rdc non decolla “sono altri”. Ad esempio sono legate al fatto che un quarto dell’oltre un milione di domande presentate è stato rigettato dalla stessa Inps “per la mancanza di uno o più requisiti” ritenuti “troppo stringenti per la richiesta del beneficio”.
REDDITO DI CITTADINANZA ALLE POSTE
E ciò che pesa di più in favore di questa “mancata corrispondenza” tra reddito di cittadinanza e povertà sarebbe da attribuire proprio ai “criteri di calcolo della scala di equivalenza del reddito che penalizzano le famiglie numerose” come lo possono essere il tetto a 6.000 euro sul conto in banca soprattutto per l’integrazione della pensione di cittadinanza oppure il requisito della residenza e dell’attestazione del patrimonio che impedisce a molti dei 500 mila nuclei di stranieri poveri (il 28% del totale) di accedere al beneficio.
LA CAUSA DELLA DISPARITÀ TERRITORIALE
Così come il motivo della disparità territoriale sarebbe da ricercare nel “diverso tasso di accettazione delle domande, con un numero di rifiuti maggiore laddove la percentuale è più alta, ma potrebbe anche risiedere nella misura statistica”. L’articolo conclude con questa riflessione: “Poiché l’obiettivo del reddito di cittadinanza è il contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale e le regole rischiano di penalizzare alcune categorie di indigenti, è già chiaro che serve qualche aggiustamento”. In che modo? Forse proprio “grazie ai risparmi sullo stanziamento inizialmente previsto, che andrebbero destinati ad ampliare la platea dei beneficiari, con correttivi che permettano di raggiungere il maggior numero di poveri”.
REDDITO DI CITTADINANZA ALLE POSTE
E stando sempre in tema di povertà, lo scorso lunedì 6 maggio il Sole24Ore ha fatto un po’ di conti in tasca alla middle class, rilevando che dal 2008 ha perso il 12% del proprio reddito, con un calo che nel decennio nella fascia reddituale che sta tra i 26 mila e i 55 mila euro.
Tanto che il 43% degli italiani non riesce ad arrivare ai 15 mila euro di reddito annuo. E i più ricchi sono una quota che non supera il 5% dei contribuenti. Confronti possibili? Anche l’area Ocse non è affatto messa bene. A guardare a fondo si scopre che “il numero delle famiglie con un reddito medio è calato quasi ovunque negli ultimi trent’anni: Spagna -9,4%, Germania -5,8, Olanda -5, Italia -3,9”.
LUIGI DI MAIO REDDITO DI CITTADINANZA
Ma in questi giorni, oltre che di povertà, sui giornali si è parlato anche molto di ricchezza. In particolare sul Sole24Ore e su Libero, che secondo dati Bankitalia-Istat “dopo tre anni di calo nel 2017 la richezza netta delle famiglie italiane e tornata a crescere (98 miliardi in piu in termini fair value; +1%) ed e arrivata a 9.743 miliardi, otto volte il loro reddito” si può leggere sul quotidiano confindustriale. “Mentre quella delle societa non finanziarie s’e ridotta a 1.053 miliardi (23 miliardi in meno sul 2016; -2,1%). Ciò che fa titolare a Libero così l’apertura della prima pagina del 10 maggio: “Ecco la verità sulla ricchezza degli italiani”. Ovvero, “siamo nababbi: superati addirittura dai tedeschi”. La verità? Forse, o come sempre, sta nel mezzo, come per i famosi polli di Trilussa…
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