Secondo un’ipotesi, i “selvaggi” che ancora sopravvivono in certe isole indonesiane o nel Mato Grosso o nello stato indiano dell’Orissa (alcune di tali tribù visitai io stesso, nei loro villaggi di capanne) non sono affatto dei “primitivi”, bensì dei de-generati, scaduti da più antiche ed alte civiltà perdute. Pochi gli indizi: gli etnologi indicavano il trasparire,nelle credenze di tali selvaggi,la credenza in un Dio Unico e “Padre di tutti”, ancorché non più venerato. La teoria, chiamata Urmonotheismus, non è più seriamente sostenuta accademicamente
E tuttavia, abbiamo oggi il triste privilegio – etnologicamente notevole – di assistere al fenomeno della degenerazione di un popolo dallo stato di civiltà superiore alla condizione di comunità neo-selvaggia.
Lo vediamo accadere sotto i nostri occhi. Nel popolo italiano, e con una velocità impressionante.
Guardate certi sintomi giganteschi, che però passano inosservati nel loro significato di ritorno al primitivo. Nella capitale, tre stazioni della metropolitana sono chiuse da mesi, per incapacità tecnico-gestionale. Autobus prendono fuoco ogni giorno; non si è in grado di far funzionare correttamente la pulizia urbana… Non siamo più all’altezza tecnica né per far funzionare correttamente una metropolitana, né al livello amministrare una compagnia aerea nazionale su cui abbiamo collettivamente dilapidato centinaia di miliardi. E torme di cinghiali rovistano tra le montagne di spazzatura e minacciano – resi intoccabili da divieti di “ecologisti” imperiosamente incompetenti.
I nostri figli fra i più ignoranti della media OCSE, dei quindicenni 23 per cento di loro che non ha le competenze culturali minime per comprendere testi su argomenti non familiari, distinguendovi i fatti dalle opinioni; le competenze scientifiche decenti le hanno i 3%& (contro la media OCSE del 7). I laureati sulla popolazione sono il 18%, contro il 46% di Regno Unito ed Usa.
Una giovane professoressa di liceo classico mi ha detto tempo fa che quando spiega Dante, ha scoperto che un buon numero dei suoi studenti ignora che cosa sia il Paradiso: nessuno gliene ha mai parlato né in famiglia né in altre “agenzie educative” (in parrocchia non ci vanno); una simile falla culturale – chissà quante altre ne hanno- che rende loro inaccessibile la cultura storica e patria.
Del resto, il 30% dei nostri giovani che né studia né lavora: una generazione perduta per la civiltà, oltre che per il valore della dignità personale. Come volete che si manifestino, se non come “primitivi”? Basta sentire la “musica” – inarticolata in suoni come nelle parole – cui danno il loro assenso e confrontarla con quelle dei cantanti pop di qualche generazione fa, dai Beatles ad Edith Piaf e Frank Sinatra, e alle canzoni napoletane – un filone di grande lirismo di popolo. La banalità dei loro gusti e piaceri; l’ossessione della discoteca – e la droga che ne è il corollario – come unico totalitario “divertimento”, la sessualità banalizzata che finisce per non interessare più, se non lo sbocco nella pornografia; l’adesione cementizia a tutti i dogmi del conformismo imposto da media e persuasori per nulla occulti; la mancanza di capacità intellettuale critica; il fatto che si coprano il corpo di tatuaggi bicolori, per sé un sintomo chiarissimo di volontà di discesa verso lo stato selvaggio e “l’abbandono della civiltà” e delle sue luci per entrare in contatto con quelli che Georges Batailles chiamò “gli Arconti Osceni”.
La causa? Ovviamente si addita il pedagogismo come pseudo-scienza educativa, denunciata da Galli della Loggia
Ovviamente, l’abbandono da parte della famiglia dei suoi compiti educativi in nome della “libertà” e del “non traumatizzare” i bimbi per esempio con le favole “”ansiogene”) ed ogni discorso sull’aldilà e sulla morte, dunque sulla religione. Ma ancor più a fondo, la “famiglia” fatta da genitori separati, ciascuno de quali seguendo il suo sogno di “felicità sessuale” vive adesso con ”un papà” o “mamma” non propri che i figli vivono con un tradimento, una ipocrisia e un abbandono. La professoressa di cui sopra mi diceva che il dolore profondo e ineliminabile che legge negli occhi di tanti suoi studenti di quelle famiglie.
Ma bisogna accusare l’ideologia corrente e vigente, il permissivismo. Già Sigmund Freud aveva acutamente indicato nella moralità sessuale, o sublimazione degli impulsi sessuali un – anzi il – fattore di civiltà e cultura: «la pulsione sessuale mette enormi quantità di forze a disposizione del lavoro di incivilimento […] Chiamiamo facoltà di sublimazione questa proprietà di scambiare la meta originaria sessuale con un’altra, non più sessuale ma psichicamente affine” come “la creazione artistica, l’indagine intellettuale e in generale le attività più elevate dello spirito umano” cui la società attribuisce, in genere, grande valore.
Freud, che ne scrisse all’inizio del 19 secolo, non ha completamente sviluppato questa intuizione. Ho appreso con interesse che nel 1936 un etno-sociologo di Oxford, James D. Unwin, pubblicò un volume di 600 pagine, in cui (evidentemente pescando nella miniera delle relazioni dei funzionari coloniali e missionari alla Royal Society sugli usi e costumi dei popoli) esamina i costumi di 86 civiltà, culture e tribù per vedere se esiste una relazione tra libertà sessuale e la fioritura culturale.
(Una versione scaricabile in pdf di Unwin’s Sex and Culture è disponibile qui )
Compito troppo vasto, si dirà. Unwind appare inoltre come un scientista evoluzionista e razionalista tipico della sua epoca. Il fatto che scriva nel ’36, decenni prima che il mondo anglo-americano prima con il Rapporto Kinsey (1953) sdoganasse il tema in una società rigorosamente puritana, e poi, negli anni 70-80, diffondesse nel mondo la “rivoluzione sessuale” e la “liberazione dai tabù”.
Il fatto è che questo Toynbee del sesso ritiene di aver appurato che “il singolo fattore in relazione con il fiorire di una cultura era se la castità pre-matrimoniale era imposta e pretesa nei suoi membri da quella cultura”. E massima fioritura si trova in quelle società dove “la castità prematrimoniale è unita alla monogamia assoluta” (un solo partner, salvo nel caso di morte del coniuge”: “E’ la combinazione più potente: tale combinazione, mantenuta per tre generazioni, la fa eccellere sulle culture vicine in letteratura, arte, architettura, ingegneria ed agricoltura”.
Per converso, Unwin scopre che quando la severa castità prematrimoniale è stata abbandonata da una civiltà, decadono insieme “ la monogamia assoluta, il deismo e il pensiero razionale” entro “tre generazioni dal cambiamento nella libertà sessuale”. Questa società decade ad una condizione che Unwin definisce “inerte” di “capacità concettuale morta”, caratterizzato da persone che hanno scarso interesse per molto altro oltre ai propri desideri e bisogni. A questo livello, la cultura è di solito conquistata o rilevata da un’altra cultura con maggiore energia sociale.
“La storia di queste società è costituita da una serie di ripetizioni monotone; ed è difficile decidere quale aspetto della storia sia più significativo: la deplorevole mancanza di pensiero originale che in ogni caso mostrarono i riformatori sociali [che l’hanno “liberata”], o la sorprendente alacrità con cui, dopo un periodo di intensa continenza obbligatoria (moderazione sessuale), l’organismo umano coglie la prima opportunità per soddisfare i suoi desideri innati in modo diretto o perverso. A volte sentite qualcuno dichiarare che desidera sia godere dei vantaggi dell’alta cultura sia abolire la continenza obbligatoria. La natura intrinseca dell’organismo umano, tuttavia, sembra essere tale che questi desideri siano incompatibili, persino contraddittori. Il riformatore può essere paragonato al ragazzo sciocco che desidera sia conservare la sua torta che consumarla. Ogni società umana è libera di scegliere se mostrare grande energia o godere della libertà sessuale; l’evidenza è che non può fare entrambe le cose per più di una generazione”.
Che dire? Può sembrare un insieme di asserzioni apodittiche. Tuttavia, l’educazione alla procrastinazione della soddisfazione sessuale, è sempre stata raccomandata dagli educatori tradizionali con un preciso riferimento alla civiltà da costruire in s,non di moralismo. Gurdjeff racconta che il suo primo maestro, il prete armeno padre Borsh, gli disse: “Se un adolescente soddisfa la propria concupiscenza, non fosse che una volta, prima della maggiore età, gli capiterà come a quell’Esaù che, per un piatto di lenticchie, vendette il suo diritto di primogenitura, cioè il bene di tutta la sua vita … perde la possibilità di essere realmente un uomo degli di stima”.
Chissà che il degrado delle forme d’arte e del pensiero,lo scadimento della cultura, l’ignoranza e la passività non abbiano questa origine unica, l’avere venduto in troppi il bene della vita per il piatto di lenticchie.
Abbiamo troppo dimenticato la funzione della Donna – e precisamene della donna che si nega, o l’irraggiungibile oggetto di desiderio e di tutti i sogni – sia il centro e il fuoco delle nobili aspirazioni dei maschi; “a egregie cose i forti animi accesero” quelle donne di corte, le Isotte, le Ginevre delle corti medievali: per “conquistare” il loro sguardo, venivano ispirati gli atti di coraggio guerresco e grandi imprese, poesie e musica dell’amor “cortese”.
Henry de Montherlant si domanda come mai l’intera poesia dei trovatori sia”esaltazione dell’amore infelice, amore perpetuamente insoddisfatto, poeta che cento volte che cento volte rideclama il suo lamento, e la bella che risponde di no”. E in fondo le poesie dei nostri stilnovisti sono sullo stesso registro.
Ma nell’apice della cristianità, fu inventata – e mantenuta come un gioco aristocratico pieno di reale tensione erotica – quasi una scienza della sublimazione d’amore, in quanto incitatrice di grandi cose. I trovatori parlarono infatti di leys d’amors come oggi si parla di leggi della fisica: comportamenti codificati che sarebbe errore ridurre a galateo.
Nessun trovatore (e nemmeno Dante) ha mai scritto musica e dedicato poesia alla propria moglie; perché il matrimonio è solo unione dei corpi, invece quel che si cercava era “il balzo verso l’unione luminosa” che è l’Eros supremo.
De Montherlant ricorda il fervido rituale del vassallaggio amoroso: il cavaliere ha vinto nella giostra per i begli occhi della sua amata segreta, il poeta ha conquistato la sua dama con la bellezza dell’omaggio musicale.
“Egli le giura in ginocchio eterna fedeltà, come si fa con un sovrano. In pegno d’amore, la dama dava al suo paladino un anello, o il suo fazzoletto, gli ingiungeva di alzarsi e gli deponeva un bacio sulla fronte. D’ora in poi, i due amanti saranno legati dalle leggi della cortezia: il segreto, la misura … E soprattutto l’uomo sarà il servente della donna”.
I “due amanti”? Stupefacente amore, come disse il trovatore Guillhelm Montanhagol: “E d’amor mou castitaz” – ossia: dall’Amore muove la castità. Sorprendente, inverosimile?
Basta però ricordare che Francesco, prima di esser chiamato dal Crocifisso, si voleva cavaliere. E quando si legò a Madonna Povertà, si fece suo servente nel vassallaggio amoroso, spinto da cortesia di omaggio e mettersi al servizio di una Dama così trascurata, a cui nessun cavaliere vuol farsi vassallo.
Fonte: qui
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