Il neo-liberismo ha un suo manifesto politico i cui valori fondanti sono l’avidità, la cupidigia e lo schiavismo
Fino a 2 anni fa, a Milano, sorgeva in Viale Sarca uno stabilimento della Marcegaglia Buildtech, deputato alla produzione di profilati e manufatti in acciaio destinati al settore edile. Poi accade che l’area in cui ricade lo stabilimento, “Grande Milano Bicocca”, comincia ad apprezzarsi dal punto di vista fondiario, e la dirigenza di Marcegaglia decide di puntare sulla speculazione immobiliare delocalizzando la produzione e “negoziando” al ribasso con gli operai.Ad Aprile del 2014 viene comunicata l’intenzione di chiudere lo stabilimento e delocalizzare la produzione a Pozzolo Formigaro, vincolando il destino dei 165 operai in produzione all’accettazione di un accordo interno. Tale accordo, siglato nel Giugno successivo, prevedeva per gli operai tre alternative.
La prima, accettare la delocalizzazione a Pozzolo, con trasporto aziendale da/per Milano e incentivo mensile lordo di 150€, che sale a 250€ lordi nel caso in cui lo spostamento avvenga con mezzi propri.
La seconda, accettare l’uscita volontaria a fronte di una compensazione di 30.000€ lordi.
La terza, entrare in CIGS e “Entro il termine di validità della CIGS l’azienda si impegna ad offrire a tutti i dipendenti eventualmente ancora in forza la ricollocazione presso altri stabilimenti del gruppo, in funzione delle esigenze tecnico produttive e a partire dagli stabilimenti più vicini all’area di residenza”
I nodi vengono al pettine, tuttavia, nel momento in cui sette di questi operai decidono di accettare la CIGS e attendere, come previsto dall’accordo, una ricollocazione nell’hinterland, non potendo per motivi di salute e familiari né spostarsi da Milano e tantomeno perdere il lavoro accettando l’esodo volontario.
Il loro problema è solo uno: il sindacato di cui fanno parte, la FIOM, non ha sottoscritto quell’accordo (firmato invece da FIM Cisl e UILM Uil), e dunque vanno colpiti con tutta la violenza possibile.
A Giugno 2015 viene loro comunicato che non si tenterà neanche di aprire il secondo anno di CIGS e che, se non vogliono essere licenziati, devono accettare il trasferimento a Pozzolo.
Dopo avere occupato il tetto dello stabilimento di Viale Sarca per sei giorni, ottengono un tavolo di confronto in Prefettura, a seguito del quale viene sbloccato il secondo dei due anni di CIGS e fatto presente all’azienda di rispettare il terzo punto dell’accordo, ricercando soluzioni di inserimento in uno dei quattro stabilimenti dell’area milanese. Nel frattempo, la Marcegaglia ci riprova, offrendo ai sette una compensazione di 29.000€ lordi per l’esodo volontario. Loro rifiutano nuovamente, e fanno rilevare come nei quattro stabilimenti di Lainate, Lomagna, Corsico e Boltiere si faccia ricorso a centinaia di ore di straordinario per sopperire alla evidente carenza di organico. Ma, ancora una volta, per i sette operai non arrivano soluzioni, se non quella di accettare lo spostamento a Pozzolo, stavolta senza alcuna agevolazione, o, in alternativa, licenziamento.
Siamo a Maggio 2016 e i sette, in un tentativo disperato e a pochi mesi dalla scadenza del secondo ed ultimo anno di CIGS, si incatenano ai cancelli della sede legale di Marcegaglia Buildtech, in via della Casa 12, a Milano. Ottengono un nuovo tavolo in Prefettura, il 7 Giugno 2016, il cui risultato è più grottesco che altro. In sostanza, ai sette operai viene detto, chiaramente, che ormai non hanno diritto a nulla. A questo punto, la loro ricollocazione o l’esodo volontario dietro compensazione sarebbero “un’offesa per quei lavoratori che precedentemente avevano accettato una delle due soluzioni alternative alla CIGS” (testuali parole pronunciate davanti al funzionario prefettizio) e nel loro futuro esiste solo una prospettiva: il licenziamento. Non viene neanche presa in considerazione la loro contro-proposta, ragionevole in un’ottica distensiva, ovvero il loro reintegro in produzione con contratti part-time invece che a tempo pieno, in maniera tale da “dividere” tre posti e mezzo di lavoro per sette persone.
Da tutta questa storia, una storiaccia come tante ne esistono in questo paese del capitalismo straccione, emerge una morale chiara: chi sfida il potere, semplicemente anteponendo la propria dignità al ragionamento puramente economicistico, costituisce un pericolo. Rivendicare il diritto al lavoro, rifiutando un accordo capestro, è un comportamento intollerabile da parte di una dirigenza che pretende dai propri sottoposti fedeltà, abnegazione e servilismo. Un po’ come ha predicato Starace in una sua “illuminata” (nel senso di massonica) lectio alla Luiss di Roma, riferendosi alla necessità di spargere il terrore tra i lavoratori per tenerli soggiogati. Il lavoratore, oggi più che mai, è uno strumento al servizio del capitale. Nel momento in cui si azzarda a comportarsi da essere umano, viene subito schiacciato con la testa nel fango, da uomini in colletto bianco che hanno imparato molto bene cosa sia la lotta di classe e come si eserciti. L’atteggiamento di Marcegaglia nei confronti di Massimiliano, Alfredo, Cristian, Franco, Gianni, Roberto e Sergio dimostra chiaramente che ciò che si vuole ottenere non è l’efficienza dei rapporti di produzione, ma la trasformazione del lavoro in schiavitù dissimulata. L’atteggiamento di Marcegaglia svela una verità che troppo spesso si vuole nascondere, e cioè che il neo-liberismo ha un suo manifesto politico i cui valori fondanti sono l’avidità, la cupidigia e lo schiavismo.
Da questo punto di vista, sarebbe interessante chiedere al Governo Renzi quali prospettive si profilano per i 16.000 lavoratori dell’Ilva di Taranto, dal momento che la Marcegaglia, in cordata con Arcelor-Mittal, si è candidata a rilevare la gestione dello stabilimento.
Massimiliano, Alfredo, Cristian, Franco, Gianni, Roberto e Sergio un’idea ce l’hanno.
P.S.: Martedì 14 Giugno, alla Prefettura di Milano si svolgerà un altro incontro, durante il quale i vertici della Marcegaglia comunicheranno le loro decisioni finali. E’ convocato per le 14:00 un presidio in solidarietà.
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