SECONDO LE INCHIESTE ERA CAPACE DI REPERIRE 30 CHILI DI COCAINA A SETTIMANA IN SPAGNA
CONDANNATO A 12 ANNI PER TRAFFICO INTERNAZIONALE DI COCAINA, AVEVA APPROFITTATO DI UN RICOVERO PRESSO UNA COMUNITÀ TERAPEUTICA PER EVADERE…
Marco De Risi per “il Messaggero”
Dopo un anno di latitanza, gli uomini della squadra mobile, gli hanno messo le manette ai polsi. Si chiama Claudio De Witt, calvo, mezza età, considerato un uomo di peso nelle dinamiche del narcotraffico a Roma. Un boss capace, secondo le inchieste, di reperire 30 chili di cocaina a settimana, attraverso la Spagna. La mobile romana, diretta da Luigi Silipo, non ha mai mollato la presa, convinta che Claudio De Witt potesse avere contatti con più organizzazioni criminali e che, quindi, era un pericoloso trafficante da catturare al più presto.
Gli uomini di San Vitale sono riusciti a sapere che il latitante si nascondeva a Casal Bruciato, lungo la via Tiburtina, e hanno stretto il cerchio. Ieri il colpo di scena: da uno stabile di via Diego Angeli, è stato visto uscire De Witt che è salito su una Bmw per recarsi a Centocelle, la zona dove coltiverebbe intrecci criminali. Al ritorno il latitante è stato bloccato e si è subito arreso. È stato prima portato in Questura, poi in carcere.
IL PERSONAGGIO
De Witt era riuscito a sottrarsi all'ordinanza di custodia cautelare nella recente operazione Amico Mio, rendendosi latitante, come aveva fatto nel 2011 quando, dopo essere stato condannato a 12 anni per traffico internazionale di cocaina, aveva approfittato di un ricovero presso una comunità terapeutica per evadere. Un passato, che secondo gli inquirenti, indica la possibilità di agganci del boss che è riuscito per due volte e in modo rocambolesco, a fuggire.
Un episodio inquietante si è verificato qualche giorno fa nel palazzo di via Diego Angeli dove si rifugiava il ricercato: un feroce tentato omicidio. Qualcuno ha scaricato una pistola contro il pregiudicato Maurizio Mattiozzi, anche lui residente nello stabile, che si è salvato per pura casualità. Quando il killer ha sparato alla testa, da distanza ravvicinata, si è inceppata la pistola. Circa la possibilità che sia stata veramente una coincidenza, gli investigatori non si sbilanciano.
La squadra mobile, con la recente operazione Amico Mio, ha fatto terra bruciata intorno all'organizzazione di De Witt, arrestando una decina di persone che avrebbero avuto ruoli nel campo del narcotraffico.
In casa di De Witt, tra l'altro, fu trovato un mobile costruito in modo molto ingegnoso: all'apparenza una credenza normale, ma bastava girare un pomello per scoprire tanti doppi fondi, dove furono trovate armi e droga. L'inchiesta su Claudio De Witt è stata collegata a un'altra del 2016. Così la polizia ha scoperto una serie d'intrecci e di alleanze nella criminalità romana. Il ricercato aveva rapporti al Prenestino, al Tufello, a Centocelle con pregiudicati di elevato spessore criminale, a cui sono stati sequestrati pistole e munizioni. La polizia ha accertato che, quando De Witt, era ai domiciliari nella comunità terapeutica aveva rapporti con esponenti della 'ndrangheta.
Fonte: qui
NEL BLITZ ANTIDROGA FINISCE IN MANETTE VINCENZO NASTASI DETTO "O' PRINCIPE", IL CAPO DELLO SPACCIO: E' STATO TRADITO DA UNA TORTA DA BOSS CONDIVISA SUI SOCIAL
LA SUA BANDA GESTIVA AFFARI PER 20MILA EURO AL GIORNO
AVEVA CREATO UN SISTEMA PERFETTO: SOTTO DI LUI I DIPENDENTI SI DIVIDEVANO IN PUSHER E VEDETTE, PER UN TOTALE DI 24 PERSONE. STIPENDIATI, CON LA COPERTURA LEGALE IN CASO DI ARRESTO E L'EVENTUALITÀ DI ESSERE LICENZIATI NELL'IPOTESI DI "SCARSA DEDIZIONE"
LA CENTRALE DELLA DROGA ERA IN UN EDIFICIO DI 38 ALLOGGI DI PROPRIETA’ DEL COMUNE DI ROMA...
A. Mar. e Giu. Sca. per “il Messaggero”
Tradito dai social e dalle manie di grandezza stile Gomorra. Quando ad agosto del 2017, appena partita l'indagine dei carabinieri di via Parasacchi che ha portato al suo arresto, Vincenzo Nastasi, detto Bambo, ma chiamato anche O' principe in ossequio al personaggio della serie tv tutta spari e sangue ricavata dal romanzo di Roberto Saviano, ha festeggiato il suo 27esimo compleanno, non poteva che festeggiare da vero boss.
Anche se era ai domiciliari e con il divieto assoluto di comunicare con persone diverse da quelle che abitavano con lui, quel giorno le porte della sua casa al civico 64 scala L di via dell'Archeologia, a Tor Bella Monaca, si spalancarono per accogliere amici - altri pregiudicati - l'immancabile cantante neomelodico invitato come special-guest e, soprattutto, una splendida torta, cesellata dalle mani di un esperto cake-designer, autentica effige della sua caratura.
Come O' principe, Nastasi, infatti, si sarebbe guadagnato fama e potere tra i lotti delle case popolari per la sua abilità nel fare girare più soldi degli altri con il commercio della cocaina.
La torta lascia senza fiato. Ha tutti gli ingredienti del boss di mala: attorno alla base quadrata di Pan di Spagna ci sono le torri grige a 14 piani simbolo del quartiere, ai piedi banconote da 500, 200 e 100 euro e un revolver. In cima la riproduzione di un orologio Rolex d'oro secondo il più scontato dei clichet criminali, e al centro, stagliata su una tavoletta di cioccolato, una corona dorata che fa da puntino sulla i di O' principe. «Tanti auguri amore mio», il messaggio con la dedica fatto incidere con il cioccolato dalla sua fidanzata, anche lei adesso consegnata dietro le sbarre. E come in tutte le feste più belle non potevano mancare decine di foto e selfie. Sorrisi davanti alla bottiglia di champagne appena stappata, baci e abbracci immortalati e photoshoppati per sembrare più belli e poi... Poi quella tentazione, irresistibile, di apparire, di farsi vedere, di contare anche sui social. Perché, sennò, che senso ha sporcarsi le mani per avere tanto lusso, tanta grandeur, se nessuno lo sa? Sarebbe come se il fatto non fosse mai esistito.
Ecco, allora, che le foto cominciano a spuntare su profili e gruppi Facebook, una realtà ideale e parallela ma non per questo non monitorata anche dai segugi dell'Arma che, ogni giorno stanno dietro a movimenti e traffici di personaggi noti e meno noti del quartiere. Foto che verranno allegate alle informative piovute sul tavolo del pm in questi due anni di indagini e che dimostreranno, oltretutto, come Nastasi avesse contravvenuto agli obblighi di legge. Ma lui, all'epoca, non immaginava davvero di avere ancora una volta i carabinieri con il fiato sul collo.
SPAVALDO
Spavaldo, tornato in carcere, in un colloquio intercettato, diceva alla sua compagna riferendosi a potenziali concorrenti: «Tanto lo sanno che il 64 è mio». Nastasi studiava da capo e si ispirava in tutto e per tutto ai boss della Camorra, a cominciare dallo stile, dal linguaggio e dall'immaginario. Al suo lavoro, ci teneva: «Non posso veni', sto a vende' cocaina», diceva invitato in altre occasioni. Si occupava della retribuzione dei sodali e dell'assistenza legale e quando qualcuno non lavorava bene era pronto a licenziarlo, come fosse davvero un dipendente. Quando Giovanni Alfonsi gli chiede: «Vince! Quindi mi hai licenziato?», lui risponde: «E certo lavori per gli altri!».
BOSS E VEDETTE SISTEMA TORBELLA
Giuseppe Scarpa per “il Messaggero”
Si vende cocaina in via dell'Archeologia al civico 64. Si incassano montagne di quattrini. E ogni giorno si combatte la battaglia quotidiana contro le guardie. Si spaccano le telecamere che gli investigatori montano per spiarli. Si fugge alla vista delle auto delle forze dell'ordine. E si distrugge la droga prima di farsi beccare. Una palazzina di 38 appartamenti, il Lotto L, di proprietà del Comune era un centrale di spaccio specializzata nella vendita della polvere bianca.
Un business imponente in una via, a Tor Bella Monaca, che è il cuore pulsante dell'economia della droga della Capitale. In un quartiere che è considerato la più ricca piazza di spaccio d'Europa. Qui fioriscono le aziende che trattano stupefacenti, che fanno girare i soldi e danno lavoro. E come ogni impresa che si rispetti, compresa quella al civico 64 di via dell'Archeologia, aveva un vertice rappresentato da un capo, il principe. Lo pseudonimo del boss, Vincenzo Nastasi 29 anni, cooptato direttamente dalla serie televisiva Gomorra.
Sotto di lui i dipendenti che si dividevano in pusher e vedette, per un totale di 24 persone. Stipendiati, con la copertura legale in caso di arresto e l'eventualità di essere licenziati nell'ipotesi di una scarsa dedizione. E poi una sfilza infinita di clienti che arrivavano a tutte le ore, in auto, in moto o con l'autobus.
È uno spaccato della città fotografato nell'ordinanza d'arresto, immortalato dall'operazione dei carabinieri di Tor Bella Monaca che vivono asserragliati in un fortino all'interno del quartiere. Venti sono finiti in manette: in carcere cinque e ai domiciliari in quindici accusati di associazione finalizzata allo spaccio. Dietro alle sbarre, ovviamente, è andato anche il capo della banda, Nastasi Così come la sua donna, Mariagrazia Moccia.
IL FORTINO
A descrivere nei dettagli il meccanismo di funzionamento del supermarket della cocaina sono invece i protagonisti. Testimonianze dettagliate, utili per gli investigatori per blindare le accuse. Ecco che da una parte c'è la versione di un ex spacciatore, alle dipendenze del principe, e dall'altra quella di diversi clienti.
Si parte dai numeri. Per il pusher pentito in via dell'Archeologia 64 si incassano in media 20mila euro al giorno. Solo lui, in uno dei 4 turni giornalieri di sei ore, riscuoteva mediamente 1300 euro. Duecento li percepiva come compenso per il lavoro svolto. «Ogni busta - ha spiegato - contiene 15 involucri da 30 euro; 20 involucri da 20 euro e 5 o 6 da un grammo, da 60 euro ciascuno».
Ogni sacchettino è chiuso nello stesso modo: «Termosaldato e accompagnato da una spilla». Alla spilla è attaccato «un segno distintivo, 3 palline per la dose da trenta euro, una per quella da 20 e una G per quella da un grammo». Dall'altra parte ci sono, appunto, gli acquirenti. I cocainomani pronti a varcare la soglia, a qualsiasi ora, del palazzo al civico 64:
«Sono andato a Tor Bella Monaca - ha spiegato ai carabinieri che lo hanno fermato dopo l'acquisto della droga - per comprarmi una dose di cocaina. Ho parcheggiato la Smart dall'altro lato della strada rispetto alla palazzina. Sono sceso e mi sono diretto verso il civico 64. Vicino all'ingresso c'era un uomo (la vedetta, ndr) calvo, con un giubbotto marrone. Lui mi ha detto di salire al primo piano. Ho percorso i gradini e ho trovato lo spacciatore. Allora gli ho chiesto un involucro da trenta euro. Lui dopo aver preso il denaro ha prelevato da una cassetta della corrente elettrica la busta con la cocaina che gli avevo chiesto».
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