IL SEGRETARIO DEL PD VUOLE IL VOTO ANTICIPATO PER TOGLIERSI DAI COJONI LA ZAVORRA RENZIANA
QUINDI MATTARELLA SI È TROVATO PRIVO DI ALTERNATIVE PER IMPAPOCCHIARE CON IL MANICHINO CONTE UN QUALSIASI GOVERNICCHIO DI TRANSIZIONE CAPACE DI FAR SLITTARE LE ELEZIONI ANTICIPATE INSABBIANDO L’AVANZATA DEL TRUCE
IL SOGNO DEL SOR CONTE È FARSI NOMINARE COMMISSARIO UE...
IL VERO TIMORE DELL'ESTABLISHMENT, CON IL NUOVO PARLAMENTO, E' QUELLO DI VEDERE SALIRE AL QUIRINALE IL PRIMO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ELETTO DALLA DESTRA
CONTE NON SPETTA AL MINISTRO DELL'INTERNO DECIDERE COME SI SVOLGERA LA CRISI
Ugo Magri per "la Stampa"
...........
Che la crisi stesse precipitando, lo si era gia intuito l' altra sera quando Salvini, da Sabaudia, aveva sganciato la sua <bomba>. Chiedeva una svolta radicale, precisando che non si sarebbe accontentato di qualche ritocco al programma o alla squadra governativa. Ieri mattina la Lega ha rincarato la dose, proprio mentre da Palazzo Chigi filtrava che il premier si stava recando sul Colle. A gettare la spugna, come in altri tempi sarebbe avvenuto, nella speranza magari di ritornare in sella dopo una tortuosa trattativa? Niente affatto: Conte e andato da Mattarella per anticipargli l' intenzione di cadere come un martire del cambiamento. All' ora di pranzo, si trattava ormai solo di definire i modi dello strappo finale. Che una raffica di adempimenti trascineranno più a lungo di quanto vuole Salvini.
Dopodichè, dimissionario o sfiduciato, il governo giallo-verde uscirà di scena e non potrà nemmeno indicare a Bruxelles il nome del nostro Commissario Ue. Mattarella avvierà consultazioni che si annunciano brevi, in quanto M5S e Lega mai tornerebbero insieme, mentre il Pd si dichiara indisponibile a governi tecnici. A quel punto il capo dello Stato ne prenderà atto e scioglierà le Camere fissando nuove elezioni per una domenica che potrebbe essere l'ultima di ottobre. E il nuovo governo? Se ne riparlera a Natale.
IL BIS -CONTE DIMEZZATO
Valerio Valentini per Il Foglio - stralci
..........
Matteo Salvini, ai suoi uomini, lo ripete da settimane: "Dietro a Conte c' è Mattarella, occhio. Le cose che lui dice sono ispirate dal capo dello stato". E non a caso anche ieri pomeriggio, quando gli eventi stavano ormai precipitando verso l' irrimediabile, la sintonia tra il premier e il presidente della Repubblica e tornata a percepirsi: perchè il leader della Lega pretendeva da Conte dimissioni immediate da comunicare a Mattarella, al contrario il premier, che al Colle era già salito in mattinata, ribadiva la necessita di un passaggio formale alle Camere, da riaprire per l' occasione a inizio della prossima settimana.
E pero, se pure uguale era l' intento di Conte e Mattarella - chiamare, cioè, Salvini allo scoperto: fargli assumere la piena responsabilità della rottura - diversi erano gli scenari immaginati. Perchè mentre Conte, nel silenzio di Palazzo Chigi, si adoperava per guadagnare tempo e ponderare la possibilità di un suo nuovo incarico, magari anche con maggioranze diverse, il capo dello stato, nel rispetto della grammatica costituzionale, vedeva nella parlamentarizzazione della crisi il passo necessario verso la formazione di un nuovo governo che porti il paese alle elezioni. Del resto, questo resta un punto fermo, nella dilagante confusione gialloverde: la volontà di Mattarella di affidare a un governo "di transizione" il compito di traghettare la crisi.
A tal punto e solida, la certezza, che si vaglierebbe già il profilo del possibile nuovo premier: che non sarebbe stato individuato nella figura di Giancarlo Giorgetti (che ieri, mentre circolavano indiscrezioni su un suo mandato esplorativo, era a spasso per i sentieri dell' Alpe Motta, in Valchiavenna), ma in quello di Giovanni Tria.
Uno scenario, questo, che deve spaventare non poco il leader della Lega, se e vero che, mentre chiedeva ai suoi contabili economici di preparare il budget per la campagna elettorale, dall' altra s' informava con chi gli tiene i conti in Parlamento di possibili ribaltoni parlamentari, venendo a sapere che anche cinque o sei dei suoi sarebbero pronti a tradire e a confluire tra i possibili "responsabili".
Il rischio della palude, Salvini, lo avverte: e forse anche per questo nella nota con cui ieri, di fatto, ha sancito la morte del governo gialloverde, ha chiesto tempi rapidi e certi. "Andiamo subito in Parlamento per prendere atto che non c' è più una maggioranza". E insieme alla palude, Salvini teme appunto la nascita di "un governicchio" che non a caso e stato il primo bersaglio della macchina della propaganda di Luca Morisi. Il quale dapprima, quando Salvini e arrivato a Palazzo Chigi per l' incontro decisivo con Conte, ha chiesto ai parlamentari leghisti di stare calmi, di "non allarmarsi", e poi ha sguinzagliato la sua Bestia social ad abbaiare: "Stop governi tecnici". Sintomo di una paura reale, specie perchè, in uno scenario del genere, le elezioni nel 2019 sarebbero tutt' altro che scontate, e anzi molto più probabilmente potrebbero slittare all' estate del 2020.
Fonte: qui
CONTE NON SPETTA AL MINISTRO DELL'INTERNO DECIDERE COME SI SVOLGERA LA CRISI
Ugo Magri per "la Stampa"
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Che la crisi stesse precipitando, lo si era gia intuito l' altra sera quando Salvini, da Sabaudia, aveva sganciato la sua <bomba>. Chiedeva una svolta radicale, precisando che non si sarebbe accontentato di qualche ritocco al programma o alla squadra governativa. Ieri mattina la Lega ha rincarato la dose, proprio mentre da Palazzo Chigi filtrava che il premier si stava recando sul Colle. A gettare la spugna, come in altri tempi sarebbe avvenuto, nella speranza magari di ritornare in sella dopo una tortuosa trattativa? Niente affatto: Conte e andato da Mattarella per anticipargli l' intenzione di cadere come un martire del cambiamento. All' ora di pranzo, si trattava ormai solo di definire i modi dello strappo finale. Che una raffica di adempimenti trascineranno più a lungo di quanto vuole Salvini.
Dopodichè, dimissionario o sfiduciato, il governo giallo-verde uscirà di scena e non potrà nemmeno indicare a Bruxelles il nome del nostro Commissario Ue. Mattarella avvierà consultazioni che si annunciano brevi, in quanto M5S e Lega mai tornerebbero insieme, mentre il Pd si dichiara indisponibile a governi tecnici. A quel punto il capo dello Stato ne prenderà atto e scioglierà le Camere fissando nuove elezioni per una domenica che potrebbe essere l'ultima di ottobre. E il nuovo governo? Se ne riparlera a Natale.
IL BIS -CONTE DIMEZZATO
Valerio Valentini per Il Foglio - stralci
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Matteo Salvini, ai suoi uomini, lo ripete da settimane: "Dietro a Conte c' è Mattarella, occhio. Le cose che lui dice sono ispirate dal capo dello stato". E non a caso anche ieri pomeriggio, quando gli eventi stavano ormai precipitando verso l' irrimediabile, la sintonia tra il premier e il presidente della Repubblica e tornata a percepirsi: perchè il leader della Lega pretendeva da Conte dimissioni immediate da comunicare a Mattarella, al contrario il premier, che al Colle era già salito in mattinata, ribadiva la necessita di un passaggio formale alle Camere, da riaprire per l' occasione a inizio della prossima settimana.
E pero, se pure uguale era l' intento di Conte e Mattarella - chiamare, cioè, Salvini allo scoperto: fargli assumere la piena responsabilità della rottura - diversi erano gli scenari immaginati. Perchè mentre Conte, nel silenzio di Palazzo Chigi, si adoperava per guadagnare tempo e ponderare la possibilità di un suo nuovo incarico, magari anche con maggioranze diverse, il capo dello stato, nel rispetto della grammatica costituzionale, vedeva nella parlamentarizzazione della crisi il passo necessario verso la formazione di un nuovo governo che porti il paese alle elezioni. Del resto, questo resta un punto fermo, nella dilagante confusione gialloverde: la volontà di Mattarella di affidare a un governo "di transizione" il compito di traghettare la crisi.
A tal punto e solida, la certezza, che si vaglierebbe già il profilo del possibile nuovo premier: che non sarebbe stato individuato nella figura di Giancarlo Giorgetti (che ieri, mentre circolavano indiscrezioni su un suo mandato esplorativo, era a spasso per i sentieri dell' Alpe Motta, in Valchiavenna), ma in quello di Giovanni Tria.
Uno scenario, questo, che deve spaventare non poco il leader della Lega, se e vero che, mentre chiedeva ai suoi contabili economici di preparare il budget per la campagna elettorale, dall' altra s' informava con chi gli tiene i conti in Parlamento di possibili ribaltoni parlamentari, venendo a sapere che anche cinque o sei dei suoi sarebbero pronti a tradire e a confluire tra i possibili "responsabili".
Il rischio della palude, Salvini, lo avverte: e forse anche per questo nella nota con cui ieri, di fatto, ha sancito la morte del governo gialloverde, ha chiesto tempi rapidi e certi. "Andiamo subito in Parlamento per prendere atto che non c' è più una maggioranza". E insieme alla palude, Salvini teme appunto la nascita di "un governicchio" che non a caso e stato il primo bersaglio della macchina della propaganda di Luca Morisi. Il quale dapprima, quando Salvini e arrivato a Palazzo Chigi per l' incontro decisivo con Conte, ha chiesto ai parlamentari leghisti di stare calmi, di "non allarmarsi", e poi ha sguinzagliato la sua Bestia social ad abbaiare: "Stop governi tecnici". Sintomo di una paura reale, specie perchè, in uno scenario del genere, le elezioni nel 2019 sarebbero tutt' altro che scontate, e anzi molto più probabilmente potrebbero slittare all' estate del 2020.
Fonte: qui
L'ANALISI DI ORSINA: "PROSCIUGATOSI IL FLUSSO MIGRATORIO, CON PARTE DEL LAVORO FATTO DA MINNITI, A SALVINI RESTA L'ECONOMIA. ED È POSSIBILE IPOTIZZARE CHE EGLI ABBIA APERTO LA CRISI PERCHÉ NON PUÒ PERMETTERSI COMPROMESSI SULLA LEGGE DI BILANCIO 2020. NON ABBASSARE LA PRESSIONE FISCALE SIGNIFICHEREBBE FERMARSI. SE RIESCE A PORTARE IL PAESE AL VOTO E A VINCERE POI DOVRA'..."
Giovanni Orsina per “la Stampa”
«Chi si ferma è perduto». Lo ha detto Mussolini nel 1938, lo ha ripetuto Salvini nella primavera dell'anno scorso, ma più in generale può esser considerato il motto di tutte quelle forze politiche che Guglielmo Ferrero — un grande e colpevolmente dimenticato intellettuale del Novecento, torinese d'adozione — chiamava «rivoluzionarie». Intendendo segnalare, con quest'aggettivo, che quei movimenti non potevano appoggiarsi a una solida fonte di legittimazione politica, e per dare un senso alla propria esistenza erano allora costretti, incessantemente, a fare.
Sia ben chiaro: scrivere i nomi di Mussolini e Salvini nella stessa frase non ha in alcun modo Io scopo di accreditare lo stucchevole allarme sul pericolo fascista che accompagna la Repubblica fin dalla sua nascita, ha potentemente contribuito ad avvelenarla per decenni, e da ultimo ha reso ancor più deprimente il nostro già pessimo dibattito pubblico. Il punto mi pare un altro, e se possibile è ancora più grave: i partiti sono così destrutturati, le istituzioni così deboli, e gli elettori così volubili, che vince soltanto chi, con un'iniziativa dopo l'altra, riesca a restare costantemente al centro dell'attenzione. Poiché non si danno più le condizioni storiche per costruire una sia pur precaria legittimità, insomma, prevalgono soltanto i «rivoluzionari». Come Salvini.
Ma per tanti versi anche come Renzi, il cui attivismo frenetico, quand'era sulla cresta dell'onda, aveva poco da invidiare a quello del leader leghista. Aprendo la crisi di governo, Salvini cerca di costruire le condizioni perché la sua rivoluzione prosegua. Il terreno principale del fare salviniano -l'immigrazione - si va restringendo ormai da mesi. La questione migratoria sarebbe già da tempo ai margini del dibattito pubblico, anzi, se gli avversari del ministro dell'Interno non l'avessero più volte riportata sotto i riflettori con una serie di iniziative da manuale di autolesionismo politico (capitolo secondo).
Prosciugatosi il flusso migratorio, come nuova sfida del fare a Salvini resta l'economia. Ed è possibile ipotizzare che egli abbia aperto la crisi soprattutto perché non può permettersi compromessi sulla legge di bilancio 2020. Non abbassare con quella legge la pressione fiscale significherebbe fermarsi, infatti - e fermarsi, come da premesse, esser perduti. Vedremo nei prossimi giorni quale sarà l'esito di questa tempesta di mezzo agosto.
Per il momento possiamo trarre due conclusioni. Sull'immigrazione, innanzitutto, il leader della Lega ha avuto vita relativamente facile. Se non altro perché una buona parte del lavoro era già stata fatta dal suo predecessore Marco Minniti, ma non rivendicata dal Partito democratico - come da manuale di autolesionismo politico (capitolo primo). Il terreno economico è molto più difficile. E per muovercisi non sarà sufficiente eliminare i vincoli politici nazionali conquistando una solida e compatta maggioranza parlamentare: bisognerà vedersela un po' con l'Europa, ma soprattutto coi mercati finanziari.
Pachidermi ben più coriacei di Di Maio e Toninelli. Chi si ferma sarà magari perduto, in secondo luogo, ma chi non si ferma si stanca, commette errori, e viene rapidamente a nausea agli elettori. Da quando è diventato segretario della Lega, quasi sei anni fa, Salvini ha fatto una vita impossibile, e ne mostra i segni. Se riuscirà a portare il Paese al voto, a vincerlo e ad afferrare saldamente il potere -tutti passaggi tutt'altro che scontati -, dovrà dare prova di saper anche cambiare passo. Da rivoluzionario, dovrà trasformarsi in amministratore. Non sarà affatto facile.
Fonte: qui
RENZI NON HA IL TEMPO NECESSARIO, DA QUI A OTTOBRE, PER LANCIARE UN NUOVO PARTITO E PRIMA DI ESSERE CANCELLATO COL VOTO DA ZINGARETTI, STA ALLACCIANDO TRATTATIVE CON FICO E DI MAIO, CON MATTARELLA E FRANCESCHINI SUPPORTER, PER UN GOVERNO CHE METTA IN UN ANGOLO L’AVANZATA DI SALVINI AL POTERE, SPOSTANDO IL VOTO IL PIU’ LONTANO POSSIBILE…
L'ANALISI DI ORSINA: "PROSCIUGATOSI IL FLUSSO MIGRATORIO, CON PARTE DEL LAVORO FATTO DA MINNITI, A SALVINI RESTA L'ECONOMIA. ED È POSSIBILE IPOTIZZARE CHE EGLI ABBIA APERTO LA CRISI PERCHÉ NON PUÒ PERMETTERSI COMPROMESSI SULLA LEGGE DI BILANCIO 2020. NON ABBASSARE LA PRESSIONE FISCALE SIGNIFICHEREBBE FERMARSI. SE RIESCE A PORTARE IL PAESE AL VOTO E A VINCERE POI DOVRA'..."
Giovanni Orsina per “la Stampa”
«Chi si ferma è perduto». Lo ha detto Mussolini nel 1938, lo ha ripetuto Salvini nella primavera dell'anno scorso, ma più in generale può esser considerato il motto di tutte quelle forze politiche che Guglielmo Ferrero — un grande e colpevolmente dimenticato intellettuale del Novecento, torinese d'adozione — chiamava «rivoluzionarie». Intendendo segnalare, con quest'aggettivo, che quei movimenti non potevano appoggiarsi a una solida fonte di legittimazione politica, e per dare un senso alla propria esistenza erano allora costretti, incessantemente, a fare.
Sia ben chiaro: scrivere i nomi di Mussolini e Salvini nella stessa frase non ha in alcun modo Io scopo di accreditare lo stucchevole allarme sul pericolo fascista che accompagna la Repubblica fin dalla sua nascita, ha potentemente contribuito ad avvelenarla per decenni, e da ultimo ha reso ancor più deprimente il nostro già pessimo dibattito pubblico. Il punto mi pare un altro, e se possibile è ancora più grave: i partiti sono così destrutturati, le istituzioni così deboli, e gli elettori così volubili, che vince soltanto chi, con un'iniziativa dopo l'altra, riesca a restare costantemente al centro dell'attenzione. Poiché non si danno più le condizioni storiche per costruire una sia pur precaria legittimità, insomma, prevalgono soltanto i «rivoluzionari». Come Salvini.
Ma per tanti versi anche come Renzi, il cui attivismo frenetico, quand'era sulla cresta dell'onda, aveva poco da invidiare a quello del leader leghista. Aprendo la crisi di governo, Salvini cerca di costruire le condizioni perché la sua rivoluzione prosegua. Il terreno principale del fare salviniano -l'immigrazione - si va restringendo ormai da mesi. La questione migratoria sarebbe già da tempo ai margini del dibattito pubblico, anzi, se gli avversari del ministro dell'Interno non l'avessero più volte riportata sotto i riflettori con una serie di iniziative da manuale di autolesionismo politico (capitolo secondo).
Prosciugatosi il flusso migratorio, come nuova sfida del fare a Salvini resta l'economia. Ed è possibile ipotizzare che egli abbia aperto la crisi soprattutto perché non può permettersi compromessi sulla legge di bilancio 2020. Non abbassare con quella legge la pressione fiscale significherebbe fermarsi, infatti - e fermarsi, come da premesse, esser perduti. Vedremo nei prossimi giorni quale sarà l'esito di questa tempesta di mezzo agosto.
Per il momento possiamo trarre due conclusioni. Sull'immigrazione, innanzitutto, il leader della Lega ha avuto vita relativamente facile. Se non altro perché una buona parte del lavoro era già stata fatta dal suo predecessore Marco Minniti, ma non rivendicata dal Partito democratico - come da manuale di autolesionismo politico (capitolo primo). Il terreno economico è molto più difficile. E per muovercisi non sarà sufficiente eliminare i vincoli politici nazionali conquistando una solida e compatta maggioranza parlamentare: bisognerà vedersela un po' con l'Europa, ma soprattutto coi mercati finanziari.
Pachidermi ben più coriacei di Di Maio e Toninelli. Chi si ferma sarà magari perduto, in secondo luogo, ma chi non si ferma si stanca, commette errori, e viene rapidamente a nausea agli elettori. Da quando è diventato segretario della Lega, quasi sei anni fa, Salvini ha fatto una vita impossibile, e ne mostra i segni. Se riuscirà a portare il Paese al voto, a vincerlo e ad afferrare saldamente il potere -tutti passaggi tutt'altro che scontati -, dovrà dare prova di saper anche cambiare passo. Da rivoluzionario, dovrà trasformarsi in amministratore. Non sarà affatto facile.
Fonte: qui
RENZI NON HA IL TEMPO NECESSARIO, DA QUI A OTTOBRE, PER LANCIARE UN NUOVO PARTITO E PRIMA DI ESSERE CANCELLATO COL VOTO DA ZINGARETTI, STA ALLACCIANDO TRATTATIVE CON FICO E DI MAIO, CON MATTARELLA E FRANCESCHINI SUPPORTER, PER UN GOVERNO CHE METTA IN UN ANGOLO L’AVANZATA DI SALVINI AL POTERE, SPOSTANDO IL VOTO IL PIU’ LONTANO POSSIBILE…
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