Cardinal Sarah: “L’Occidente sembra odiare sé stesso. Certo, esso si sforza di aprirsi – e questo è lodevole – ai valori di fuori, ma non ama più sé stesso. Della propria storia, esso non ritiene ormai se non quanto è deplorevole e fu causa di rovine, non essendo più in grado di percepire quanto vi è di grande e di bello”.
“Ognuno deve vivere nel suo Paese. Come un albero, ognuno ha il suo suolo, il suo ambiente, in cui può crescere perfettamente. […] Meglio aiutare le persone a realizzarsi nelle loro culture, piuttosto che incoraggiarle a venire in un’Europa in piena decadenza. È una falsa esegesi quella che utilizza la Parola di Dio per valorizzare la migrazione. Dio non ha mai voluto questi strappi.
Il cardinal Sarah ha scritto un libro di 440 pagine per la difesa appassionata della civiltà europea, lanciando l’allarme: essa sta morendo. Più esattamente, si suicida.
Chi ha “integrato” così bene Sarah?
Inviterei a vedere nel cardinale nero, guineano, uno splendido esempio di integrazione. Integrazione culturale, politica, storica . Un successo visibile di chi? Ma dei missionari francesi in Africa, e più o meno direttamente di Monsignor Lefebvre, da giovane nelle postazioni della brousse (la savana) , poi direttore di seminario in Gabon, e poi vescovo e vicario apostolico a Dakar dal 1947.
Duri, i missionari francesi in Africa: gente convinta che c’è una sola verità, e che la loro carità verso i neri consistesse nell’elevarli (sì, elevarli) alla cultura e civiltà d’Europa, la sola, e la più ambiziosa possibile: nei seminari Tomaso d’Aquino, latino, greco, diritto romano, Fénelon, la Chanson de Roland, la chevalerie, la grande storia di Francia nell’Europa.
Un’eredità che Sarah riconosce in pieno. Lui che sicuramente avrà imparato a scrivere compitando la frase “nos ancetres le Gaules…”, “i Galli, nostri antenati” che quei missionari insegnavano a scrivere ai bambini in Africa e in Vietnam, senza nessun rispetto multiculti – chiama il suo libro “un grido d’allarme che è pure un grido d’amore. L’ho fatto col cuore pieno di riconoscenza filiale per i missionari occidentali che sono morti sulla mia terra africana. Voglio mettermi al loro seguito e raccogliere la loro eredità”, perché oggi “Siamo così abituati alla barbarie, essa neppure ci sorprende più”.
Coloro che adottano “la falsa esegesi della parola di Dio” per obbligarci alla “accoglienza all’immigrato” come fosse comandata dal Vangelo, sorvolano – con sintomatica disonestà intellettuale – che ogni integrazione ha da essere integrazione “in una cultura”: una precisa e particolare, la propria del popolo che accoglie, la cultura nazionale e storica. I missionari francesi tutti d’un pezzo volevano il meglio per i loro neri, quando gli insegnavano la loro cultura, francese, europea, Fénelon, Racine, Montaigne, Le Roman de la Rose; da cui venne un presidente del Senegal, Léopold Sédar Senghor (1906-2001) che si dilettava di scrivere esametri latini.
Mai che, tra i nostri integrazionisti, se ne trovi uno che avesse, di fronte ai nigeriani e maghrebini, la carità ambiziosa di voler che sentissero Dante, Manzoni, Raffaello, o Montale, come loro proprio- come li sentiamo noi. Ma li sentiamo nostri, noi? Non dicono più nulla alla nostra vita comune.
Noi, senza civiltà, non possiamo integrare gli stranieri
Quindi “integrazione” al livello minimo, vitto alloggio e un po’ di “mediatori culturali” fasulli; quel tanto che basta per lucrare la diaria di Stato, e tenersene la maggior parte (e insegnare negri la disonestà spicciola di questo modo di essere “italiano”). Il lavoro, integratore per eccellenza, non c’è nemmeno – a livello alto – per i giovani laureati italiani, che devono andare all’estero a 250 mila all’anno. I nuovi arrivati, spesso già delinquenti nei loro paesi, con quali “stili di vita” italiani e nostre “culture” in senso antropologico vengano a contatto, lo sappiamo dalla cronaca nera: sono quelle delle movide e dai parchi della cocaina e del “fumo”, “nostri” ragazzi senza dignità che chiedono a loro droga, discotecari alcolici, ragazze “che la danno” (o hanno l’aria di darla), tutti italiani che per loro è naturale disprezzare. E dalle gaie sfilate di sodomiti, che cosa volete che imparino gli “Immigrati”, se non a disprezzarci?
Quando poi hanno a che fare con “l’ordine costituito”, imparano presto la nozione che possono deridere, minacciare, pestare poliziotti e carabinieri, imparando subito che verranno ripetutamente rilasciati dai “giudici” nonostante le recidive sempre più gravi. Stupratori seriali rilasciati per tornare a violentare. Mafia nigeriana indisturbata dalla magistratura troppo occupata a cercare i soldi che Savoini ha ricevuto da Mosca. Il giudice che rimette in libertà l’immigrato che si è masturbato davanti alla poliziotta, ritenendo ciò – ossa il vilipendio di pubblico ufficiale – “reato di lieve entità”. Provvedimenti di allontanamento mai eseguiti, nonostante le recidive criminali. Accettazioni di navi cariche di “minorenni non accompagnati” tutti nati giusto 17 anni fa. Il pakistano che ha violentato due bambine ed aveva ottenuto l’asilo “umanitario” dichiarandosi omosessuale e dunque in pericolo nel suo paese musulmano – come volete che non disprezzi la nostra “civiltà”, che è così palesemente spregevole?
Pensate che faccia venir loro il desiderio, la minima aspirazione, di “integrarsi” nella nostra “cultura”, la minima volontà di obbedire alle nostre leggi – che vedono disapplicate così spesso a loro favore, da giudici mossi da odio ideologico verso il ministro degli Interni ? (che anche lui, quanto a buon esempio, non ne dà). Fanno presto a rendersi conto di essere arrivati in una inciviltà e incultura, in un sistema dove propriamente nessuno mostra responsabilità di voler trasmettere una cultura degna di rispetto.
Uno dei motivi più fondamentali per cui dobbiamo temere l’immigrazione di massa dall’Africa e dal mondo musulmano, è questa: che non abbiamo una cultura degna di rispetto. Non abbiamo più una civiltà da trasmettere con dignità, senso di responsabilità e orgoglio. Quindi lasciamo questi spostati non integrati, non educati, non corresponsabili del mantenimento del bene comune – un “bene comune” su cui nemmeno tra noi sappiamo accordarci.
E tutto, senza vedere la tragicità del passo storico in cui ci troviamo. Quella che coglie il cardinal Sarah, e – sarà un caso – anche uno storico francese di nome David Engels, docente in Polonia all’Istituto Zachodni e all’università libera di Bruxelles.
Da tempo dedito a studiare nel declino di Roma i segni del collasso della civiltà Europea (nel 2013 ha scritto Le Déclin. La crise de l’Union européenne et la chute de la République romaine , adesso ha pubblicato “ Que Faire? Vivre avec le déclin de l’Europe (Blue Tiger Media, 2019) come “una guida di sopravvivenza per gli amanti dell’Occidente”.
Il collasso d’Europa è una tragedia storica che ci riguarda tutti
“Il declino massiccio dell’Europa in quanto civiltà non è un fatterello di cronaca di cui prendere nota – dice Engels a Le Figaro. “E’ una vera tragedia storica che ci coinvolge tutti, sia come collettività sia come individui. Io soffro personalmente, enormemente, di questa fine annunciata della civiltà che amo con tutto il cuore”.
Engels rifiuta l’accusa di pessimismo eccessivo. “Preferireste andare da un medico che vi cura per raffreddore e non vi dice che avete il cancro, per non farvi star male psicologicamente? Tacere volontariamente la realtà gravissima dei processi culturali che si svolgono attualmente – l’immigrazione di massa e l’invecchiamento della popolazione, l’islamizzazione, la dissoluzione degli stati-nazione, l’auto-distruzione del sistema scolastico e universitario, l’immenso ritardo dell’Europa sulla Cina, la patologizzazione della democrazia i tecnocrazia – equivale a mio parere ad un alto tradimento, con effetti che dureranno.
“Quando la verità, ossia la irreversibilità del processo, si manifesterà in piena luce, anche gli ultimi resti di fiducia nel nostro sistema politico, nella solidarietà sociale fra i gruppi sociali e culturali voleranno in mille pezzi..
“Basta passeggiare nelle periferie delle capitali, o nelle campagne sempre più deserte; constatare coi propri occhi il livello di istruzione delle scuole e università; studiare l’evoluzione dei tassi d’interesse ; parlare coi politici ed amministratori europei, sempre più autoreferenziali e sconnessi dalla realtà; basta sentire il disorientato disamore di sempre più europei per i loro sistemi politici, per vedere che l’Occidente sta trasformandosi in modo radicale. Lo scoppio della grane crisi che tutti noi sappiamo avverrà, potrà essere ritardata mesi o qualche anno, con grandi spese. Ma una volta che le casse saranno svuotate e la sicurezza sociale collasserà, vedremo che le manifestazioni dei Gilet Gialli non sono state che il preludio a conflitti che saranno molto più violenti. E l’Europa che ne emergerà non avrà più molto a che fare con quella che conosciamo nei suoi ultimi spasimi. Se vogliamo cominciare conservare almeno qualcosa di quel che amiamo di questa civiltà in declino, è questo il momento.
Ma come? La proposta di Engels:
“Si tratta di conservare la nostra identità attraverso le crisi che ci attendono. E’ gran tempo di smettere di chiederlo a ad un mondo politico indifferente o addirittura ostile alla vera cultura europea – e che comunque non sarà facile schiodare rapidamente – e cominciare a difendere e rafforzare la nostra identità propria , giorno dopo giorno. Nei fatti, noi constatiamo sempre più la forza interna delle “società parallele” che ormai dominano le nostre metropoli [gli islamici, i nigeriani, i Casamonica, il Palamari , ndr.] : se non agiamo rapidamente per riaffermare la nostra propria identità culturale, presto non avremo nemmeno più il diritto alla nostra “società parallela”… Ormai, il tempo in cui potevamo contare sulla stabilità insieme del nostro sistema politico e di quello culturale, è finito; se vogliamo proteggere la nostra eredità, la lotta deve essere doppia: da una parte dobbiamo trasformare ciascun individuo, famiglia, ogni gruppo di amici, in una piccola fortezza dai valori ed identità fermi; dall’altra parte, dobbiamo sviluppare una nuova ideologia politica che allei il conservatorismo culturale con la battaglia per l’Europa unita”.
Con l’avvertenza, aggiunge Engels, “di non confondere “Europa” con “Unione Europea”: per secoli, essa è stata culturalmente unita più di oggi. Una sparizione dell’UE non significherebbe affatto la liquidazione dell’Europa in quanto civiltà. Il cui disfacimento viene dall’interno: la distruzione della famiglia, il relativismo culturale, il masochismo storico, lil politicamente corretto, la tendenza a censurare ogni opinione che spiace, il rimpiazzo di comunità omogenee e dunque solidali per giustapposizione di gruppi che cercano unicamente il proprio interesse particolare. La polarizzazione sociale, il cinismo con cui ogni nozione di verità assoluta è sostituito con compromessi di “valori negoziati”….”.
Che per questo titanico collasso simultaneo di tutto ciò che era “ civiltà” basti la proposta di Engels, si può dubitare. Ma almeno, egli pone il problema, ed è già molto rispetto allo zero italiota di intelligenza e irresponsabilità storica.
Del resto egli rimanda al suo ultimo libro, che ha fatto uscire prima in lingua tedesca e poi uscirà in francese, polacco, inglese, italiano e spagnolo. Titolo: Renovatio Europae. In latino.
Fonte: qui
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