venerdì 9 settembre 2016

Anche la Germania è stufa. Sì, ora tutto è possibile in Europa

La Merkel si accorge di aver sbagliato sui profughi. Ora. Troppo tardi. 


Come è tardiva la reazione dell’establishment all’ondata dei movimenti di protesta che sta avendo successo in molti Paesi europei. Non entro nel merito delle ragioni che hanno portato a un risultato storico in Meclemburgo-Pomeriana, ragioni che peraltro sono ovvie. Il significato del voto di domenica, nella sua accezione più politica, travalica i confini della Germania. Si potrebbe dire che il tappo è saltato.

Quale tappo? 

Quei condizionamenti psicologici e culturali che fino a giugno inibivano molti elettori dal dare le proprie preferenze a partiti che il politically correct bollava come “populisti”. 

Ma a giugno i britannici hanno votato per il Brexit dando ragione a Boris Johnson ma soprattutto a Nigel Farage, l’ex uomo d’affari che per 17 anni si è battuto contro l’Europa fino ad ottenere un voto che veniva considerato impossibile e foriero di catastrofiche conseguenze economiche. 

Farage era un impresentabile, ora è considerato un politico rispettabile e soprattutto vincente mentre la Gran Bretagna è tutt’altro che in ginocchio. L’impressione è che quel voto segni uno spartiacque, che abbia sdoganato idee e movimenti che il pubblico moderato non considera più off limits. 

La cavalcata di Alternative für Deutschland non sembra destinata ad esaurirsi rapidamente, tanto più a un anno dalle politiche.

Il quadro politico è in movimento anche altrove. Fra meno di un mese l’Ungheria andrà alle urne per dire sì o no alla ripartizione di quote di profughi decisa dall’Ue e si profila un risultato plebiscitario contro Bruxelles. Lo stesso giorno, domenica 2 ottobre, gli austriaci ripeteranno il ballottaggio presidenziale e le chances che a prevalere sia il leader del Partito delle Libertà Norbert Hofer sono alte. Negli Stati Uniti, Trump ha recuperato gran parte dello svantaggio su Hillary. In Francia si vota tra meno di un anno e Marine Le Pen appare destinata ad approdare al ballottaggio. Negli altri Paesi europei i partiti di centrodestra e di centrosinista soffrono la concorrenza di liste di ogni orientamento. 

In Italia le potenzialità del voto di protesta sono notevoli, nonostante le vicissitudini della giunta Raggi abbiano tolto tanto smalto al Movimento 5 Stelle e benché la Lega di Salvini si sia fermata nei sondaggi.

La sfida, però, per tutti questi movimenti è quella di riuscire a passare alla fase 2 ovvero a dimostrare di essere capaci non solo di ottenere ampi consensi elettorali ma di saper governare, il che significa riuscire a evitare di commettere un errore ricorrente: quello di scegliere la squadra dopo aver vinto le elezioni, di scoprire la macchina burocratica solo quando si entra nel Palazzo, di studiare i dossier in “real time” ovvero troppo tardi. 

Insomma di dimostrarsi sin dalle prime battute competenti, informati e autorevoli.


Solo in questo modo potranno durare. Solo così potranno cambiare davvero le cose o perlomeno tentarci seriamente.


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