Ieri, nel corso di un seminario alla Luiss, il professor Marcello Messori ha illustrato un impatto “singolare” ed assai poco razionale del Quantitative Easing della Bce, gli acquisti di titoli di stato da parte dell’istituto di Francoforte. Secondo Messori (ma soprattutto secondo i numeri), le banche italiane avrebbero perso la grande occasione di ridurre la concentrazione di Btp nei loro portafogli. Occasione che invece pare essere stata sfruttata appieno da altri intermediari europei.
Secondo Messori,
“Nel 2014 si arriva ad un picco in cui lo stock dei titoli di debito pubblico nei bilanci delle banche e dei fondi raggiunge i 425 miliardi di euro”. Poi “a marzo 2015 incomincia il Qe e uno si aspetterebbe che le banche sfruttino l’occasione per diminuire la quota dei loro titoli di debito pubblico. Ma ciò avviene in misura minima”, sottolinea Messori. “Dall’inizio del Qe ad oggi il decremento dei titoli pubblici italiani nelle banche è pari al 7%” (Ansa, 11 aprile 2017)
Un vero peccato. Certo, parliamo di dato aggregato, ma il sistema bancario nella sua interezza pare aver preferito preservare il “tesoretto” di Btp e non diversificare su altri titoli di stato dell’Eurozona. Le motivazioni possono essere le più varie. Ad esempio, che il Btp “rende di più”, che è poi la più miope in assoluto ma di certo non disdegnata da banche che hanno in media problemi di insufficiente redditività. Ma soprattutto diciamo che le nostre banche potrebbero aver voluto evitare problemi col Tesoro, alleggerendo le posizioni. Certamente più diplomatico attendere la scadenza dei titoli e rinnovare per importo minore. Ma così facendo non si progredisce verso la riduzione del rischio banco-sovrano e si fornisce ai tedeschi un robustissimo alibi per continuare a bloccare l’Unione bancaria e la garanzia europea sui depositi.
A vendere quindi i titoli del debito pubblico italiano alla Bce e al sistema europeo delle banche centrali ed in particolare alla Banca d’Italia, “sono stati gli intermediari finanziari esteri e i risparmiatori esteri”, mette in risalto Messori, spiegando che “questo si ritrova su Target2, il sistema di compensazioni di banche centrali, che fa vedere come sia aumentata enormemente l’esposizione debitoria della Banca d’Italia rispetto alla Bundesbank”. Quindi, conclude il professore, “ciò vuol dire che sono stati i tedeschi a vendere i titoli del debito pubblico italiano, sfruttando il Qe (Ansa, ibidem)
A dirla tutta, a vendere potrebbero anche essere stati altri istituzionali e retail italiani, investendo i controvalori in titoli esteri, ma il senso non cambia. La sensazione è che la “ragion di Stato” abbia giocato pesantemente contro la razionalità gestionale delle banche. Il problema del classamento del debito pubblico italiano resta, e con esso quello del legame banco-sovrano, che tanto stimola il patriottismo di politici ed editorialisti, assieme alle sofferenze. Aver perso un treno di tale epocale portata potrebbe rivelarsi assai miope.
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