Spese folli per la Stretto di Messina Spa, 6 milioni di stipendi a 53 dipendenti. Tutti gli sprechi, dalle consulenze sugli uccelli ai consigli per cinesi e indonesiani. Il governo proroga il varo del progetto. E così continuerà a pagare a fondo perduto
PALERMO - Il baraccone andrà avanti,
continuando a spendere soldi per inseguire il sogno di realizzare
l'opera che non c'è. Dopo l'annuncio dello stop alla costruzione del
Ponte perché "l'Italia non può permettersi questa infrastruttura", il
governo Monti con una nota di poche righe ridà fiato alla società
Stretto di Messina spa, che da oltre trent'anni tenta di collegare
Calabria e Sicilia solo sulla carta: "Il Consiglio dei ministri ha
deciso di prorogare, per un periodo complessivo di circa 2 anni, i
termini per l'approvazione del progetto definitivo del Ponte al fine di
verificarne la fattibilità tecnica e la sussistenza delle effettive
condizioni di bancabilità". In sintesi, due anni ancora di lavoro per
una cinquantina di dipendenti e amministratori di una società che dal
1981 a oggi è costata già 300 milioni di euro, e altri 300 milioni ne
dovrà sborsare per le penali maturate tra opere realizzate e mancati
guadagni per il consorzio d'imprese guidato dalla Impregilo. In totale
600 milioni, 1.200 miliardi delle vecchie lire: il costo che alla fine
degli anni Sessanta stimava l'Eni per fare un tunnel sotterraneo tra
Villa San Giovanni e Messina. Il Ponte è già costato di più, ma non una
pietra è stata posata.
LA SOCIETÀ DALLE POLTRONE D'ORO.
Di quest'opera in Italia si è cominciato a parlare fin dal 1866 durante
il governo Ricasoli, ma è nel 1981, con i governi Forlani e Spadolini,
che lo Stato ha inizia davvero a spendere soldi per questa faraonica
infrastruttura, con la costituzione della Stretto di Messina spa. È il
primo passo del grande spreco. Sono trascorsi trentuno anni filati e tra
assunzioni, consulenze, mantenimento di sedi distaccate, gettoni agli
amministratori e progettazioni riviste di anno in anno, sono stati spesi
ad oggi 300 milioni di euro, secondo una stima fatta dall'Anas stessa.
Un carrozzone che andrà avanti per almeno altri due anni, grazie alla
decisione del governo Monti.
Ieri è stato quindi un giorno di doppia
festa per gli undici amministratori, che costano 443 mila euro lordi
all'anno, 40 mila euro a testa, quasi tutti con incarichi in altre
aziende. Come Guglielmo Rositani, che è anche consigliere della Rai, il
presidente Giuseppe Zamberletti, che guida l'Igi, sigla che riunisce le
principali aziende italiane nel settore edile, o il focoso generale dei
carabinieri Antonio Pappalardo, che nel maggio scorso ha tentato la
scalata al Comune di Palermo.
E possono dormire sonni tranquilli anche i
56 dipendenti, di cui 11 dirigenti.
Un numero, questo, cresciuto dal
2010 a oggi, nonostante l'Unione europea abbia dichiarato l'opera non
più strategica.
Per almeno altri ventiquattro mesi si spenderà
di stipendi oltre 6 milioni di euro all'anno, che si sommeranno ai 4
milioni di euro per manutenzione e affitti. Chissà cosa faranno nei
prossimi mesi i 53 dipendenti chiusi nei quattro piani della sede romana
di via Marsala, che costa d'affitto 1,2 milioni di euro. Chissà cosa
continueranno a fare i tre funzionari distaccati al fronte: cioè alla
periferia di Messina, in un'altra sede che costa d'affitto 32 mila euro.
"Questi due anni ci consentiranno di aprire al mercato la realizzazione
del Ponte, verificando l'interesse d'investitori privati per non
gettare tutto al macero", dicono dell'Anas. Ma perché in due anni
dovrebbero riuscire a fare quello che non sono stati capaci di fare in
trent'anni? Perché continuare a cercare investitori per un'opera che nel
progetto preliminare doveva costare 6,3 miliardi e adesso invece ne
costerebbe 8,5?
ANNI DI ASSUNZIONI ALLEGRE E SPESE PAZZE.
Di certo sarà difficile per la Stretto di Messina ripetere gli anni
fortunati tra il 2001 e il 2006, quando grazie al governo Berlusconi in
cassa arrivavano a flusso continuo milioni da spendere in consulenze ed
iniziative varie. Se oggi la società costa 10 milioni di euro all'anno,
negli anni fortunati si è arrivati anche a 18 milioni. Nel 2005, ad
esempio, solo di consulenze si sono spesi 5,7 milioni. Il tutto per
elaborati a dir poco strambi, come quello "sull'impatto emotivo" del
Ponte per le popolazioni locali, o lo studio "sulle caratteristiche
chimico-fisiche delle acque dello Stretto e sulle possibili relazioni
con i flussi migratori cetacei". E, ancora, "sull'investigazione radar
delle specie di uccelli migratori notturni": progetto, questo, affidato
all'Istituto ornitologico svizzero.
Le spese da queste parti
sono ripartite alla grande tra il 2010 a il 2011, in coincidenza del
ritorno alla guida del Paese di Berlusconi, che della grande opera ha
fatto sempre la sua bandiera per lasciare "il segno nella storia". Ed
ecco l'inizio della collaborazione della Stretto di Messina con la
società indonesiana Wiratman & Associates. Per fare cosa? "Gli
incontri svoltisi con gli indonesiani hanno costituito l'occasione per
valutare diverse ipotesi di collaborazione tra le quali il supporto
nelle attività di redazione del "basic design e project management
consultant"", si legge nella relazione dell'ultimo bilancio della
società italiana. In sintesi, mentre qui tutto è fermo, vorremmo andare
in Indonesia a spiegare come si fanno i ponti. Ma la Stretto di Messina
ha spiegato anche ai cinesi, durante l'Expo di Shangai, come fare il
Ponte, con tanto di missione in Oriente con al seguito modellino e
"filmato riguardate le principali caratteristiche dell'opera". Tra le
spese singolari, c'è poi quella da 10 mila euro per istituire un
Consorzio, denominato Sch, con sede a Messina e di cui fanno parte anche
delle ditte di navigazione locale, come la Caronte & Tourist della
famiglia Franza. Perché un Consorzio? "La nostra attività riguarda la
realizzazione di un sistema integrato per la valutazione della
vulnerabilità ambientale dell'area dello Stretto", dice Vincenzo Franza.
Tutte queste pompose iniziative sembravano essere state messe
finalmente da parte, dopo la decisione di Palazzo Chigi di stanziare 300
milioni di euro per pagare le penali alle ditte private. Ma adesso, con
altri due anni di ossigeno, tutto si rimetterà in moto. E in tanti
brindano.
UNO SCHIAFFO ALL'ONESTÀ. Le reazioni
di ambientalisti e sinistra non si sono fatte attendere. "La decisione
del governo è uno schiaffo all'Italia onesta - dice il presidente dei
Verdi, Bonelli - si va avanti per un'opera che rappresenta la sagra
dello spreco e dell'inutilità". "Pensavamo fosse un capitolo finito -
aggiunge il segretario di Sel, Nichi Vendola - invece no". Di diverso
parere i deputati del Pdl, Nino Foti ed Enrico La Loggia: "La proroga di
due anni consentirà a un governo politico e non fatto di tecnici di
assumersi la responsabilità se fare andare avanti o meno questa
infrastruttura". Insomma, altri due anni per riflettere.
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