La versione no-global di Donald Trump che tanto piace ai suoi elettori secondo gli analisti rappresenta solo una fase di passaggio che col tempo è destinata a scemare.
In questo primo mese di presidenza Donald Trump sembra aver vestito i panni del no-global. Lo stop all’accordo Trans-Pacifico, comunemente noto come TPP, insieme agli annunci protezionistici hanno spinto molti analisti a indicare Donald Trump come l’artefice di una progressiva tendenza de-globalizzatrice.
Durante il discorso di insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump aveva colto l’occasione per rinforzare lo slogan che aveva contraddistinto la sua campagna elettorale, quell’ “American First” che era riuscito a parlare alle pance della working class bianca americana per lanciare un chiaro messaggio nei confronti di tutte quell’aziende che negli ultimi anni avevano portato la produzione fuori dai confini americani, e per dichiarare «guerra» ai concorrenti commerciali, uno su tutti la Cina.
Da allora Trump è stato etichettato come un presidente protezionista, ma secondo alcuni addetti ai lavori questa sua tendenza no-global sarebbe destinata a scemare nel tempo. Di seguito vediamo perché.
Donald Trump no-global: una fase di passaggio
Secondo Sultan Ahmed bin Sulayem, presidente di DP World, i sentimenti anti-globalizzazione del presidente Donald Trump rappresenterebbero infatti solo una “fase” destinata a scemare con il tempo.
“Quello che Donald Trump desidera è un tipo di commercio equo e vantaggioso, una sorta di equo commercio contro libero commercio”
ha sostenuto il presidente di DP World in un’intervista alla CNBC.
“Gli Stati Uniti vogliono un commercio vantaggioso e penso che nessuno possa opporsi a questi motivi legittimi, ma sono convinto che questi sentimenti anti-globalizzazioni con il tempo passeranno, si tratta soltanto di una fase di passaggio”.
Sultan Ahmed bin Sulayem si è detto comunque convinto che dal momento in cui gli Stati Uniti hanno hanno esportato i loro prodotti all’esterno dei propri confini
“se un prodotto americano non riuscirà a trovare facilmente accesso nel mercato cinese, allora l’America reagirà”.
Guardando al clima di euforia che Trump ha portato nei mercati all’indomani della sua elezione Sultan Ahmed bin Sulayem ha poi dichiarato
“è una fase in cui tutti sono eccitati, quel sentimento per cui Donald Trump è stato eletto, ovvero la convinzione che sto perdendo ingiustamente il mio lavoro a causa della competizione”.
Trump durante la sua campagna elettorale, e nei primi giorni da presidente, ha più volte fatto riferimento a misure protezionistiche intenzionato ad attuare e che avrebbero come obiettivo la Cina. In molti hanno criticato l’atteggiamento protezionista di Trump, ritenuto sprovveduto in quanto sarebbe in grado di innescare una guerra commerciale con la seconda economia più grande al mondo.
Il Trump no-global piace agli americani?
Lunedì Klaus Schwab, economista tedesco tra i fondatori del World Economic Forum, ha inoltre commentato come secondo lui le elezioni degli Stati Uniti sono state in grado di mostrare
“tutta la rabbia della gente nei confronti della globalizzazione e delle élite che ne hanno tratto benefici”.
Quello che in molti degli analisti si auspicano è che Donald Trump si mostri in grado di saper gestire i delicati rapporti con i principali competitors, scongiurando il rischio di guerre commerciali che potrebbero aprire una spirale di crisi dagli effetti potenzialmente catastrofici.
Fonte: qui
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