LE EMAIL CON LA SEGRETERIA DI STATO SUGLI ''AFFARI SPECULATIVI'' IN MANO AL FINANZIERE DI POMEZIA, CHE AVEVA CARTA BIANCA DALLA SANTA SEDE, CHE AVEVA SOTTOSCRITTO IN DOLLARI UN FONDO CHE INVESTIVA IN EURO E AVEVA COMPRATO UN PALAZZO IN STERLINE. UN TRIPLO RISCHIO DI CAMBIO E NESSUNA COPERTURA. TANTO CHE A UN CERTO PUNTO MINCIONE PROPONE DI ''RIDENOMINARLO''…
Mario Gerevini e Fabrizio Massaro per il “Corriere della Sera”
«Mons. Perlasca, dott. Tirabassi, oltre a rinnovare i nostri ringraziamenti per essere venuti a trovarci volevo rinnovare l'appello... la Banca Popolare di Milano è un'importante opportunità di investimento... Per darvi un'idea, con 50 milioni... si ottiene oggi il 2,40% della Banca». È il 17 giugno 2016, la mail arriva alla Segreteria di Stato vaticana dagli uffici di Londra di Raffaele Mincione, il gestore del fondo Athena che dal 2014 aveva in portafoglio 200 milioni di dollari del Vaticano.
È firmata dal suo vice, Michele Cerqua. Dentro le Mura sono cauti: «Egregio dottor Cerqua, in merito alla proposta (le azioni Bpm, ndr ) se ne è presa attenta nota...», risponde il 24 giugno Fabrizio Tirabassi, in copia il suo capo, monsignor Alberto Perlasca, e Mincione. È la prova che i due tesorieri del Papa sapevano dell'approccio speculativo di Mincione. Anzi non c'era alcuna remora a discutere di «scalate» bancarie. Tutto ciò due anni prima che si realizzasse in tutta fretta l'uscita dal fondo Athena in pesante perdita, dov' era custodito il palazzo di Sloane Avenue a Londra. Una gestione da mesi sotto esame dei pm del Papa.
«Dal nostro incontro l'azione (Bpm, ndr ) ha guadagnato il 20%», incalza Cerqua in un'altra mail. Tirabassi replica che ci sarebbe già una posizione su quel titolo «che potrebbe essere tatticamente mediata, raddoppiandola, in virtù delle attuali correzioni di mercato». Si può fare, insomma, dicono in Segreteria, ma eventualmente con il fondo Athena «in quanto al momento non si dispone di ulteriore liquidità». Tra i motivi delle perdite del Vaticano ci sono le valute.
La Segreteria aveva sottoscritto in dollari un fondo che investiva in euro e aveva comprato un palazzo in sterline. Un triplo rischio di cambio e nessuna copertura. Tanto che a un certo punto Mincione propone di «ridenominare» il fondo da dollari a euro; l'operazione impatta sul valore delle quote, in Vaticano se ne rendono conto e si alza la tensione. Chi si accolla la perdita? Alla fine non se ne fa niente. Il finanziere riesce a calmare le acque facendo forse balenare anche che il palazzo sarebbe stato venduto a breve.
Tant' è che Tirabassi scrive il 19 dicembre 2016: «Oggetto 60 Sloane Avenue... Invio i ringraziamenti di mons. Perlasca per le spiegazioni fattuali e circostanziate riguardo gli investimenti in essere e le imminenti potenziali prospettive di vendita» del palazzo. Dalla Segreteria chiedono però anche una relazione su ogni attività del fondo «in quanto dovremo rispondere alle domande del revisore in fase di analisi e certificazione del bilancio».
Non sappiamo quanto l'allora revisore Libero Milone abbia guardato nei conti della Segreteria: il 19 giugno 2017 viene licenziato in tronco, senza spiegazioni. Il 12 gennaio 2017 alle 5.38 del mattino Perlasca e Tirabassi ricevono da Enrico Crasso il report che avevano chiesto sulla gestione di Mincione nel fondo Athena. Crasso è il finanziere, ex Credit Suisse, da anni custode di una parte consistente del patrimonio del Papa. È critico: «La performance negativa è frutto esclusivo della loro attività di gestione». Crasso evidenzia le difficoltà nell'avere «report chiari e completi» e la richiesta «disattesa» di non comprare azioni Bpm: «Oggi si registra una perdita di 5 milioni solo su questo titolo».
Inoltre emerge «un'obbligazione di 20,5 milioni con sottostante azioni Bpm e similari». «Operazioni «anomale», «utilizzo di fondi del cliente per fini del gestore», «la società di proprietà del Sig. Mincione (Time&Life) con questa operazione-ponte sta pagando di interessi meno di una multinazionale quotata». Invita la Segreteria a far valutare il palazzo di Londra da una società indipendente e a chiudere con i bond sottoscritti da Athena ma non autorizzati.
Mincione ha comunque sempre spiegato di avere avuto per contratto piena discrezionalità negli investimenti. Poteva essere il momento di chiudere con il finanziere. Invece quello stesso 12 gennaio Mincione porta il presidente di Enasarco, Gianroberto Costa, a incontrare in Vaticano il potente Sostituto della Segreteria Giovanni Angelo Becciu, capo di Perlasca e Tirabassi. L'ente di assistenza degli agenti di commercio, 7,5 miliardi di patrimonio, era stato proprietario del palazzo di Londra prima del Vaticano, sempre con la regia di Mincione.
Fonte: qui
GERALDINA BONI: “IL PAPA DEVE AVVIARE UN PROCESSO, E PER MOLTI MOTIVI. IL SUO GIUDIZIO POTREBBE INFATTI APPARIRE NON ADEGUATAMENTE MOTIVATO E DUNQUE ARBITRARIO, SE NON TIRANNICO”
“IL POPOLO DI DIO HA DIRITTO NON TANTO ALLA TRASPARENZA
OGGI MOLTO DI MODA
MA A CONOSCERE LA VERITÀ DOPO CHE ESSA È STATA ACCERTATA”
Andrea Mainardi per www.startmag.it
Appena stamane, il Papa ricevendo gli esperti del Consiglio d’Europa (Moneyval) – che in questi giorni stanno scandagliando le misure contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo messe in atto oltre le Mura leonine – ha ricordato quanto il tema gli sia “particolarmente a cuore”.
Detta Bergoglio dalla Biblioteca privata del Palazzo apostolico: “Gesù ha scacciato dal tempio i mercanti e ha insegnato che ‘non si può servire Dio e la ricchezza’. Quando, infatti, l’economia perde il suo volto umano, non ci si serve del denaro, ma si serve il denaro. È questa una forma di idolatria contro cui siamo chiamati a reagire, riproponendo l’ordine razionale delle cose che riconduce al bene comune, secondo il quale ‘il denaro deve servire e non governare!’”.
Lo ricorda, citandosi dalla Evangelii Gaudium. Incalzato in passato dai giornalisti su veri o presunti scandali cuciti in veste filettata, Papa Francesco ha spesso ricordato convintamente una locuzione cardine del diritto romano: in dubio pro reo. Con differenti esiti processuali a seconda dei casi. Dopo indagini, rinvii a processo, archiviazioni o inflitte condanne.
Di fatto quel “dubio pro reo” si trattava di incipit prudenziale. Che non significa garantismo o giustizialismo ideologico. Per Francesco è sempre apparso come atteggiamento di prudenza esercitata nell’ignaziano discernimento. Anche in faccende giuridiche ed eventuali inciampi.
Quanto accaduto al cardinale Angelo Becciu in quella che, si narra – ermeneutica poi implicitamente approvata dal porporato in successive interviste – udienza burrascosa, in quel giorno di inizio autunno (era il 24 settembre) quando il prefetto della Congregazione delle cause dei santi e tra i suoi principali collaboratori in Segreteria di Stato fino al giugno 2018 sale a colloquio con il Papa per una firma ad alcuni decreti riguardanti il sigillo pontificio ad un miracolo, un martirio e due certificati di “virtù eroiche”, poi precipitato in un deciso, richiesto passo indietro, nella rinuncia ai diritti del cardinalato per presunti malaffari economici, è faccenda che lascia in un limbo la persona di monsignor Becciu, alimenta illazioni e costruzioni.
Pone, soprattutto, domande. Legittimamente poste dai fedeli. “Il Popolo di Dio ha diritto non tanto alla trasparenza – oggi molto di moda – ma a conoscere la verità dopo che essa è stata accertata. Mi sembra che questa possa essere una ricostruzione giuridica corrispondente a quella ragionevolezza che nella Chiesa traduce l’irrinunciabile conformità alla giustizia. La soddisfazione che qualcuno ha manifestato per questa condanna senza processo mi pare, oltre che senza giustificazione, non genuinamente cristiana”.
Così Geraldina Boni, professore ordinario di Diritto canonico, di Diritto ecclesiastico e di Storia del diritto canonico all’Università di Bologna e, tra l’altro, consultore del Pontificio consiglio per i Testi legislativi della Santa Sede.
Professoressa Boni, qual è la valenza della rinuncia dai diritti del cardinalato di monsignor Becciu presentata nelle mani del Santo Padre?
Con riguardo alla rinuncia ai (piuttosto che ‘dai’, come recita il bollettino della sala stampa della Santa Sede del 24 settembre 2020) ‘diritti connessi al cardinalato’, anzitutto due precisazioni. Contrariamente a quanto è stato scritto in questi giorni, il Codice di Diritto Canonico menziona iura (diritti dei cardinali: can. 351 § 2) e li disciplina: d’altronde, per esempio, la Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis regola lo ius eligendi Romanum Pontificem (n. 33) e altri diritti, oltre che privilegi e facoltà, sono menzionati nell’Elenco dei privilegi e facoltà in materia liturgica e canonica dei cardinali (18 marzo 1999).
Non manca un travagliato precedente, recente, per ben altre questioni…
Nel comunicato stampa del 20 marzo 2015, si informava che il Santo Padre aveva accettato «la rinuncia ai diritti e alle prerogative del cardinalato, espresse nei canoni 349, 353 e 356 del Codice di Diritto Canonico, presentata […] da Sua Eminenza il signor Cardinale Keith Michael Patrick O’Brien» (il quale anche nel sito della Santa Sede risulta ancora annoverato tra i cardinali non elettori). Ma ogni buon canonista sa che nell’ordinamento canonico la contrapposizione tra diritto e dovere è speciosa e deviante: ogni diritto, dovendo essere sperimentato nella dimensione comunionale e di servizio, ha un ineliminabile spessore di doverosità.
Cosa è accaduto con quel passaggio nel tardo pomeriggio del 24 settembre nei confronti del cardinale Becciu?
Al di là della dizione, il Papa, accettando la rinuncia di Angelo Becciu – che di fatto non è stata volontaria ma coartata (come sovente accade nell’ordinamento canonico per evitare una rimozione, se non altro più traumatica e ‘scandalosa’) -, ha inteso, a mio avviso, immediatamente interdire l’esercizio di ogni funzione cardinalizia.
Provvedimento non consueto…
È evidente come questo atipico provvedimento di accettazione della rinuncia sollecitata, che ovviamente il Papa come titolare del potere supremo può emettere, svuoti completamente la dignità cardinalizia, spogliata di ogni contenuto concreto ed effettivo. Eppure, il non avere privato Becciu della berretta cardinalizia (e, direi, della diaconia) lascia aperta la possibilità che la situazione possa evolvere e risolversi anche in maniera positiva.
Becciu può aspirare a quello che a più riprese ha chiesto e invoca come chiarimento?
Laddove si accerti mediante la via giudiziaria – e non, si auspica, un’assai meno garantista via amministrativa – l’innocenza di Becciu, potrà essere pienamente reintegrato nel suo ruolo e nelle sue prerogative.
Infatti, è vero che il Papa può emettere sentenze senza alcun vincolo processuale (si tratti di cardinali o no, con ‘diritti’ o senza): ma può anche sottoporre il cardinale sia a un processo canonico sia ad un processo vaticano (a seconda del crimine di cui è accusato), operando comunque sempre i tribunali vicariamente, cioè in nome del Romano Pontefice. Tra l’altro il can. 1405 § 1 n. 2 pone la riserva al Papa del diritto esclusivo di giudicare i cardinali: non afferma affatto che non si svolgerà il processo.
Quindi Becciu è ampiamente processabile dal tribunale dello Stato?
Oserei anche affermare che il Papa, almeno in questo caso, deve avviare un processo: e per molti motivi. Il suo giudizio potrebbe infatti apparire non adeguatamente motivato e dunque arbitrario, se non tirannico: anche tenendo conto che il suo ‘verdetto’ non è in alcun modo impugnabile (e, per questo, i casi dovrebbero essere davvero rarissimi ed eccezionali).
Un auspicio a passare per le vie dei tribunali…
In coerenza, inoltre, alla tradizione dell’ordinamento canonico che certamente ha contribuito non poco all’edificazione di quelle garanzie che oggi sostanziano l’universalmente riconosciuto diritto al giusto processo. Per il rispetto, ancora, di molti principi riconducibili al diritto divino naturale, vigente ovviamente in Ecclesia e da cui anche il Papa non è svincolato: primi tra tutti il diritto di difesa ma anche il diritto fondamentale del fedele al giudizio e di essere giudicato secondo le disposizioni di legge, da applicarsi con equità (can. 221 §§ 1-2).
Senza entrare nei presunti reati economici e finanziari – non ufficialmente contestati a quanto risulta all’arcivescovo – ma almeno a vagliare le differenti ricostruzioni. Per il bene della Chiesa…
Il Popolo di Dio ha diritto non tanto alla trasparenza – oggi molto di moda – ma a conoscere la verità dopo che essa è stata accertata. Mi sembra che questa possa essere una ricostruzione giuridica corrispondente a quella ragionevolezza che nella Chiesa traduce l’irrinunciabile conformità alla giustizia. La soddisfazione che qualcuno ha manifestato per questa condanna senza processo mi pare, oltre che senza giustificazione, non genuinamente cristiana. Fonte: qui
Il Vaticano lucrava sul fallimento delle aziende. Al setaccio la finanza di Becciu
La finanza vaticana scommetteva sulla morte delle aziende in crisi. Un "gioco d'azzardo" molto poco etico, quello al centro della nuova puntata de l'Espresso sui fondi della Segreteria di Stato negli anni in cui era guidata dall'allora Sostituto, il cardinale Angelo Becciu, poi allontanato da Papa Francesco. Tra i movimenti emersi nei rendiconti, riporta Repubblica, emergono infatti "investimenti in credit default swap , in compagnie petrolifere di dubbia fama, passaggi in banche maltesi e svizzere indagate per corruzione, finanza speculativa con base in paradisi fiscali". Non solo. I derivati che scommettevano sull'affidabilità del colosso dell'autonoleggio Hertz, poi fallito. Ma anche sulle obbligazioni della Tullow Oil, compagnia petrolifera irlandese accusata di corruzione e di aver provocato un disastro ambientale
in Uganda.
Tra le ipotesi gli inquirenti al lavoro nell'inchiesta aperta in Svizzera i soldi movimentati dal finanziere Enrico Crasso per la Segreteria di Stato di Becciu sarebbero passati attraverso paradisi fiscali e banche accusate di corruzione. "Le carte consultate dall'Espresso raccontano poi come Crasso, attraverso il Fondo Centurion, abbia amministrato i tesori della Segreteria di Stato dividendoli in fondi di investimento offshore e in obbligazioni di società con sede in paradisi fiscali. In particolare, attraverso un'altra scatola, la gestione del denaro era in mano alla società Gamma capital, che ha depositato tutti i fondi del Centurion in una piccola banca svizzera, la Zarattini, e nella Sparkasse di Malta - scrive Repubblica - istituti accomunati dall'essere al centro di indagine da parte degli inquirenti Usa per le tangenti che hanno coinvolto funzionari del governo del Venezuela e i vertici della statale Petròleos de Venezuela". Fonte: qui
La finanza vaticana scommetteva sulla morte delle aziende in crisi. Un "gioco d'azzardo" molto poco etico, quello al centro della nuova puntata de l'Espresso sui fondi della Segreteria di Stato negli anni in cui era guidata dall'allora Sostituto, il cardinale Angelo Becciu, poi allontanato da Papa Francesco. Tra i movimenti emersi nei rendiconti, riporta Repubblica, emergono infatti "investimenti in credit default swap , in compagnie petrolifere di dubbia fama, passaggi in banche maltesi e svizzere indagate per corruzione, finanza speculativa con base in paradisi fiscali". Non solo. I derivati che scommettevano sull'affidabilità del colosso dell'autonoleggio Hertz, poi fallito. Ma anche sulle obbligazioni della Tullow Oil, compagnia petrolifera irlandese accusata di corruzione e di aver provocato un disastro ambientale
Tra le ipotesi gli inquirenti al lavoro nell'inchiesta aperta in Svizzera i soldi movimentati dal finanziere Enrico Crasso per la Segreteria di Stato di Becciu sarebbero passati attraverso paradisi fiscali e banche accusate di corruzione. "Le carte consultate dall'Espresso raccontano poi come Crasso, attraverso il Fondo Centurion, abbia amministrato i tesori della Segreteria di Stato dividendoli in fondi di investimento offshore e in obbligazioni di società con sede in paradisi fiscali. In particolare, attraverso un'altra scatola, la gestione del denaro era in mano alla società Gamma capital, che ha depositato tutti i fondi del Centurion in una piccola banca svizzera, la Zarattini, e nella Sparkasse di Malta - scrive Repubblica - istituti accomunati dall'essere al centro di indagine da parte degli inquirenti Usa per le tangenti che hanno coinvolto funzionari del governo del Venezuela e i vertici della statale Petròleos de Venezuela". Fonte: qui
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