“HO FATTO TAMPONI SUGLI ASINTOMATICI QUANDO
NON SI POTEVA”
LA CONFESSIONE DEL VIROLOGO CRISANTI: “SE MI FOSSI
ADATTATO AL GREGGE ANCHE IL VENETO SAREBBE FINITO COME LOMBARDIA E
PIEMONTE”
IL PROTOCOLLO CHE ARRIVAVA DALL’ALTO IMPONEVA DI TESTARE
SOLO CHI AVEVA LA FEBBRE SUPERIORE A 38 CON TOSSE E SOSPETTA POLMONITE,
MA LA REGIONE HA CHIUSO UN OCCHIO SULLA STRATEGIA DI CRISANTI CHE GIÀ UN
MESE PRIMA DI…
Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera”
Da
una parte il professor Andrea Crisanti, che oggi lo confessa: «Ho fatto
tamponi sugli asintomatici quando non si poteva perché mi sembrava
chiaro che erano veicolo di contagio... se mi adattavo al gregge il
Veneto sarebbe andato in rotta di collisione con il virus, come
Lombardia e Piemonte».
Dall'
altra la Regione, che non ha difficoltà a riconoscere di aver forzato
la legge sulla privacy per spegnere i focolai: «Nell' interesse
superiore della salute pubblica». Semplificando un po', il segreto di
fabbrica del modello Veneto è anche il risultato di due violazioni,
riconosciute come tali dagli stessi protagonisti. Crisanti ha violato la
«legge» della sanità prendendo una posizione contraria a quella dell'
Oms e, a cascata, dell' Istituto superiore di sanità e della Regione.
La
Regione, pur non assecondando subito Crisanti sugli asintomatici, ha
invece organizzato velocemente un sistema unico di monitoraggio dei
contagiati, chiamato «Cruscotto», sul filo della legge che tutela il
diritto alla privacy. Così facendo il Veneto ha anticipato di circa un
mese le altre regioni, come emerge con sempre maggiore evidenza dai
documenti sulle prime fasi dell' epidemia.
Ma
andiamo con ordine e riavvolgiamo il nastro di quattro mesi. Gennaio
2020, mercoledì 29. In Italia manca quasi un mese all' esplosione dell'
epidemia e il professor Crisanti scrive una lettera a sorpresa:
«...anche in assenza di sintomi contattare questo numero e fissare un
appuntamento per indagini di laboratorio». È un appello a tutti gli
studenti, docenti e ricercatori padovani di rientro dalla Cina.
Tradotto:
facciamo tamponi anche agli asintomatici, categoria umana fino a quel
momento ignorata dalle strategie mondiali antivirus. «Il primo test è
del 5 febbraio, era un cinese, poi ne sono seguiti altri...». Non
potrebbe, perché il protocollo che arriva dall' alto lo esclude,
prevedendoli solo su chi ha febbre superiore a 38 con tosse e sospetta
polmonite.
«Si
chiede di conoscere sulla base di quali indicazioni ministeriali si sia
ipotizzata tale scelta di sanità pubblica...», lo richiama all' ordine
Domenico Mantoan, il potente direttore generale della sanità regionale,
braccio destro di Luca Zaia (che di recente ha attribuito i meriti della
strategia veneta non a Crisanti ma alla dirigente Russo), presidente
dell' Aifa del farmaco e ora proposto dal ministro Speranza alla guida
dell' Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.
Crisanti
lo rassicura a stretto giro: «Ci siamo limitati a fare diagnosi in
persone sintomatiche». Non è vero. I tamponi li aveva fatti, usando la
scappatoia della tosse sospetta.
«Diciamo che
ho edulcorato la lettera per tranquillizzare Mantoan... se non mi avesse
fermato avremmo controllato sul nascere l' epidemia». Da parte sua
Mantoan, meno espansivo di Crisanti, liquida così la questione: «Abbiamo
seguito le indicazioni del ministero, nessuno era autorizzato a
iniziative autonome».
Il
21 febbraio, con il primo decesso a Vo' Euganeo, le cose cambiano:
macchina dei tamponi a tutto vapore e numeri che danno ragione al
modello «asintomatici-Cruscotto». La storia del coronavirus in Veneto è
anche questa. Idee originali, controcorrente, che si sono dimostrate
vincenti.
Fonte: qui
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