“ANCHE LA MAFIA HA I SUOI PENTITI, IL PALLONE NO”
LE IPOTESI?
1) TRAUMI (COLPI DI TESTA, SCONTRI, INFORTUNI);
2) USO DI SOSTANZE DOPANTI E ABUSO DI FARMACI;
3) ESPOSIZIONE A SOSTANZE CHIMICHE PER RAVVIVARE L'ERBA E IL VERDE DEI CAMPI…
Gaia Piccardi per il “Corriere della Sera”
Anastasi Pietro, morto venerdì a Varese di sclerosi laterale amiotrofica (Sla) a 71 anni, ci costringe ad aggiornare la macabra contabilità dei caduti sotto l' implacabile tackle della «malattia professionale» dei calciatori. A definire per primo così la Sla è stato il magistrato torinese Raffaele Guariniello, autore di un prezioso studio epidemiologico su un campione di 24 mila calciatori italiani di Serie A, B e C dalla stagione '59-60 a quella '99-2000 (fondamentale si rivelò l' archivio delle figurine Panini), recentemente confermato da uno studio dell' Istituto Mario Negri di Milano arrivato fino al 2018 con un follow up allargato. Le ricerche concordano: in Italia i calciatori si ammalano di Sla di più e prima delle altre categorie professionali.
I casi fin qui accertati di Sla nel calcio italiano sono 32. Esclusi Anastasi e Giovanni Bertini, ex difensore di Roma e Fiorentina (le misteriose morti dei giocatori viola degli anni 70, da Beatrice a Longoni, da Saltutti a Galdiolo, furono al centro di un' inchiesta di Guariniello), arresosi alla Sla a 68 anni lo scorso dicembre. «Il rischio ricalcolato sulla popolazione calcistica è circa 2 volte di più rispetto alla popolazione generale - spiega il dottor Ettore Beghi -. Considerando solo la Serie A, il rischio sale a 6 volte di più».
Il 6 novembre 2002 si spegneva Gianluca Signorini, amatissima bandiera del Genoa, il primo celebre caduto sul fronte della Sla. Verrebbe da dire che dopo quasi quattro lustri di indagini e ricerca non è cambiato nulla. La Sla resta una malattia neurodegenerativa incurabile, multifattoriale, quindi difficilissima da decifrare.
«La mia speranza, mentre la casistica purtroppo cresce, è che sia maturata la consapevolezza dell' ambiente - dice l' ex pm, che presiede la commissione amianto del ministero dell' Ambiente -. Trovare il nesso tra calcio e Sla è importante ai fini della prevenzione. Io lavorai da solo, in un clima sconsolante. Con una perplessità che non mi ha mai abbandonato: benché non si possa pensare che la Sla sia una malattia solo dei giocatori italiani, il mio studio non ebbe seguito in Europa.
Provai a sensibilizzare Michel Platini all' Uefa, da noi Damiano Tommasi sembrava molto interessato, ma non ci fu seguito. Sarebbe stato interessante, invece, incrociare i dati». I casi nel calcio continentale non mancano (l' olandese Fernando Ricksen, ex Rangers e Zenit, è deceduto il 18 settembre 2019 a soli 43 anni), però nessuno ne parla.
Contro l' indifferenza delle istituzioni ha sbattuto anche Chantal Borgonovo, che insieme al marito Stefano (ex Fiorentina e Milan) ha combattuto in prima linea, pubblicamente: una generosità che ha finalmente portato la Sla sulle prime pagine dei giornali. «La ricerca va avanti, ma sul fronte calcio siamo fermi - racconta dal timone della Fondazione Borgonovo -. Nel silenzio generale i calciatori continuano ad ammalarsi e morire». Nel febbraio 2017 un incontro a Zurigo con il neopresidente della Fifa Gianni Infantino, cui fu chiesto di finanziare proprio la ricerca del l' Istituto Mario Negri, finì con un pugno di mosche in mano.
Salvo sentirsi dire un anno dopo che «adesso che c'è la Fondazione Fifa siamo pronti al dialogo». Un libro già uscito, una fiction da proporre, altre iniziative per tenere vivo l'interesse su un tema di cui si torna a parlare in occasione dei funerali (stamane a Varese quello di Anastasi): «A vent'anni pensi solo a giocare a calcio. Dovrebbero essere le istituzioni a fare opera di sensibilizzazione. Ma io non mi arrendo» promette Chantal.
Il primo nel '73 fu Armando Segato, ex Cagliari e Fiorentina, seguito da Fulvio Bernardini, centrocampista di Lazio, Inter e Roma, ct della Nazionale dal '74 al '77. Le ipotesi? Sempre le stesse: 1) Traumi (colpi di testa, scontri, infortuni); 2) uso di sostanze dopanti e abuso di farmaci; 3) esposizione a sostanze chimiche per ravvivare l' erba e il verde dei campi. «Non si vuole criminalizzare il calcio - chiosa Guariniello -, ma trovare il nesso. Peccato non aver mai incontrato un pentito su questo fronte. La mafia li ha, il calcio no». Fonte: qui
Gaia Piccardi per il “Corriere della Sera”
Anastasi Pietro, morto venerdì a Varese di sclerosi laterale amiotrofica (Sla) a 71 anni, ci costringe ad aggiornare la macabra contabilità dei caduti sotto l' implacabile tackle della «malattia professionale» dei calciatori. A definire per primo così la Sla è stato il magistrato torinese Raffaele Guariniello, autore di un prezioso studio epidemiologico su un campione di 24 mila calciatori italiani di Serie A, B e C dalla stagione '59-60 a quella '99-2000 (fondamentale si rivelò l' archivio delle figurine Panini), recentemente confermato da uno studio dell' Istituto Mario Negri di Milano arrivato fino al 2018 con un follow up allargato. Le ricerche concordano: in Italia i calciatori si ammalano di Sla di più e prima delle altre categorie professionali.
I casi fin qui accertati di Sla nel calcio italiano sono 32. Esclusi Anastasi e Giovanni Bertini, ex difensore di Roma e Fiorentina (le misteriose morti dei giocatori viola degli anni 70, da Beatrice a Longoni, da Saltutti a Galdiolo, furono al centro di un' inchiesta di Guariniello), arresosi alla Sla a 68 anni lo scorso dicembre. «Il rischio ricalcolato sulla popolazione calcistica è circa 2 volte di più rispetto alla popolazione generale - spiega il dottor Ettore Beghi -. Considerando solo la Serie A, il rischio sale a 6 volte di più».
Il 6 novembre 2002 si spegneva Gianluca Signorini, amatissima bandiera del Genoa, il primo celebre caduto sul fronte della Sla. Verrebbe da dire che dopo quasi quattro lustri di indagini e ricerca non è cambiato nulla. La Sla resta una malattia neurodegenerativa incurabile, multifattoriale, quindi difficilissima da decifrare.
«La mia speranza, mentre la casistica purtroppo cresce, è che sia maturata la consapevolezza dell' ambiente - dice l' ex pm, che presiede la commissione amianto del ministero dell' Ambiente -. Trovare il nesso tra calcio e Sla è importante ai fini della prevenzione. Io lavorai da solo, in un clima sconsolante. Con una perplessità che non mi ha mai abbandonato: benché non si possa pensare che la Sla sia una malattia solo dei giocatori italiani, il mio studio non ebbe seguito in Europa.
Provai a sensibilizzare Michel Platini all' Uefa, da noi Damiano Tommasi sembrava molto interessato, ma non ci fu seguito. Sarebbe stato interessante, invece, incrociare i dati». I casi nel calcio continentale non mancano (l' olandese Fernando Ricksen, ex Rangers e Zenit, è deceduto il 18 settembre 2019 a soli 43 anni), però nessuno ne parla.
Contro l' indifferenza delle istituzioni ha sbattuto anche Chantal Borgonovo, che insieme al marito Stefano (ex Fiorentina e Milan) ha combattuto in prima linea, pubblicamente: una generosità che ha finalmente portato la Sla sulle prime pagine dei giornali. «La ricerca va avanti, ma sul fronte calcio siamo fermi - racconta dal timone della Fondazione Borgonovo -. Nel silenzio generale i calciatori continuano ad ammalarsi e morire». Nel febbraio 2017 un incontro a Zurigo con il neopresidente della Fifa Gianni Infantino, cui fu chiesto di finanziare proprio la ricerca del l' Istituto Mario Negri, finì con un pugno di mosche in mano.
Salvo sentirsi dire un anno dopo che «adesso che c'è la Fondazione Fifa siamo pronti al dialogo». Un libro già uscito, una fiction da proporre, altre iniziative per tenere vivo l'interesse su un tema di cui si torna a parlare in occasione dei funerali (stamane a Varese quello di Anastasi): «A vent'anni pensi solo a giocare a calcio. Dovrebbero essere le istituzioni a fare opera di sensibilizzazione. Ma io non mi arrendo» promette Chantal.
Il primo nel '73 fu Armando Segato, ex Cagliari e Fiorentina, seguito da Fulvio Bernardini, centrocampista di Lazio, Inter e Roma, ct della Nazionale dal '74 al '77. Le ipotesi? Sempre le stesse: 1) Traumi (colpi di testa, scontri, infortuni); 2) uso di sostanze dopanti e abuso di farmaci; 3) esposizione a sostanze chimiche per ravvivare l' erba e il verde dei campi. «Non si vuole criminalizzare il calcio - chiosa Guariniello -, ma trovare il nesso. Peccato non aver mai incontrato un pentito su questo fronte. La mafia li ha, il calcio no». Fonte: qui
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