All’inizio dell’avventura di Icebergfinanza, mentre esploravo attraverso la storia alcuni dei sintomi della Grande Depressione che si stavano manifestando in maniera impressionante nell’alba della madre di tutte le crisi, dopo un post introduttivo, nell’ Aprile del 2007 scrissi:
” In un precedente post cercai di spiegare come per comprendere l’eccezionale gravità della Grande Depressione degli anni 30 vi sono due ipotesi diametralmente opposte; la prima, strettamente legata agli economisti più eminenti della scuola austriaca (Mises, Hayek), considera la Depressione come il prodotto inevitabile e disastroso delle conseguenze insostenibili e devastanti sull’economia e sul sistema finanziario provocate dagli eccessi finanziari e monetari che si sono verificati tra il 1927-29 mentre la seconda legata alla visione della ormai classica “Monetary History of the United States” di Milton Friedman ed Anna Schwartz, nella quale viene affermato categoricamente che né l’ inflazione e nemmeno eccessi di moneta o di credito potevano aver causato il collasso economico avvenuto tra il 1929 ed il 1933, ma, partendo da tale tesi, per questi autori la causa principale della Grande Depressione è da ricercare negli errori politici fatti durante quegli anni e tra questi inevitabilmente furono ricomprese tutte quelle politiche di protezionismo e barriere doganali che contribuirono al prolungamento degli effetti depressivi del grande crollo di Wall Street.Secondo questa scuola di pensiero, la crisi del ’29 fù aggravata anche dalla politica economica commerciale seguita dal governo degli Stati Uniti. Iceberfinanza
E’ ormai chiaro a tutti solo oggi che questo non è un gioco, dovrebbe essere ormai chiaro a tutti per quali motivi da oltre due anni spiego quotidianamente per quale motivo una guerra commerciale è un rischio che il commercio mondiale in questa fase non doveva assolutamente vivere.
Ma la storia si sa, è fatta dagli uomini e in questo momento come in tanti altri della storia, gli uomini stanno clamorosamente ripetendo gli errori della storia.
Bisogna salvare i posti di lavoro americani, in pericolo perché troppi Paesi stranieri vendono i loro prodotti negli Stati Uniti minando il benessere degli onesti lavoratori americani. Un Donald Trump del 2017? Macché: siamo nel 1929, nell’occhio del ciclone della recessione, e a parlare è il repubblicano Reed Smoot, presidente della Commissione finanze del Senato. Mormone ma allo stesso tempo imprenditore senza scrupoli con interessi a tutto tondo (finanza, agricoltura, attività minerarie e costruzioni), il senatore dello Utah era pure un economista dilettante convinto che a far crollare Wall Street fosse stato l’eccesso di importazioni estere rispetto alla capacità di consumo statunitense.Qual era secondo Smoot la ricetta per restituire all’America i suoi posti di lavoro e il suo benessere? Semplice: dazi e protezionismo, spiegò il mormone al Congresso e a una nazione prostrata dalla crisi. E così, grazie all’appoggio dell’influente deputato Willis C Hawley, il senatore repubblicano riuscì a varare nel giugno 1930 il famoso Smoot-Hawley Tariff Act, ratificato dall’allora presidente Herbert Hoover nonostante l’appello di oltre mille economisti a non firmarlo. Nel giro di una notte il provvedimento fece balzare al 60% i dazi su oltre 20mila prodotti stranieri, in alcuni casi quadruplicandoli.Il risultato? Una guerra commerciale con Canada, Francia, Impero britannico e Germania: nel giro di tre anni le importazioni degli Stati Uniti crollarono del 66%, mentre le esportazioni si inabissavano del 61% in coppia con il commercio mondiale. Il tasso di disoccupazione triplicò dall’8% al 25%. In barba alla “nuova era di prosperità” sbandierata da Smoot, la ricchezza degli Stati Uniti si dimezzò.La tragedia è che l’ultraprotezionista legge Smoot-Hawley era assolutamente inutile. Come ricorda il giornalista e scrittore Selwyn Parker, autore del saggio The great crash dedicato proprio alla crisi del 1929, l’America aveva infatti un corposo surplus commerciale, poiché la crescita dell’export manifatturiero era più veloce di quella dell’import.
Oggi Mike suk suo blog ci spiega in maniera esemplare quello che sta succedendo all’interno dell’amministrazione americana, non tutti sono d’accordo con Trump, ma eseguono fedelmente gli ordini…
Trump's Ignores Advisors, Doubles Down on Failed Policies, Kudlow Won't Comment
An excellent column by @paulkrugman with whom I usually diagree led to my column and lost of charts showing how Trump failed. moneymaven.io/mishtalk/econo …
Nonostante tutte le perdite e nessuna vittoria, Trump rifiuta di cambiare la sua politica tariffaria. Ora è uno spettacolo personale.
Trump ignora gli aiutanti, lo fa da soloNessun commento da Kudlow
- Trump si fida del suo istinto e ignora il consiglio dei suoi aiutanti riguardo alle questioni che circondano il conflitto commerciale con la seconda economia più grande del mondo, hanno detto cinque persone informate sull’azione.
- Il direttore del Consiglio economico nazionale Larry Kudlow ha rifiutato di commentare martedì in un’intervista della CNBC che lui e altri consiglieri non sono d’accordo con le azioni di guerra commerciale di Trump .
Nessun commento è un commentoNessun commento su tali domande è davvero un commento.C’è chiaro dissenso tra i consiglieri di Trump.Trump’s Trade QuagmireNon sono spesso d’accordo con Krugman, ma questa è una delle volte che lo faccio.In Trump’s Trade Quagmire (Wonkish) , Krugman nota l’ovvio ” Continua a intensificare man mano che la sua strategia fallisce “.Ricordi il pantano del Vietnam? Bene, ecco il mio pensiero: la guerra commerciale di Trump assomiglia sempre di più a un classico pantano politico. Non funziona, ovvero non fornisce affatto i risultati desiderati da Trump. Ma è anche meno disposto del politico medio ad ammettere un errore, quindi continua a fare ancora di più di ciò che non funziona. E se estrapoli in base a tale intuizione, le implicazioni per gli Stati Uniti e le economie mondiali stanno iniziando a diventare piuttosto spaventose.
I cinque punti di Krugman
- La guerra commerciale sta diventando grande. Le tariffe sui beni cinesi sono tornate ai livelli che associamo al protezionismo pre-1930. E la guerra commerciale sta raggiungendo il punto in cui diventa un freno significativo per l’economia americana.
- La guerra commerciale sta fallendo nei suoi obiettivi, almeno come li vede Trump: i cinesi non stanno piangendo zio, e il deficit commerciale sta aumentando, non diminuendo.
- La Fed probabilmente non può compensare il danno che la guerra commerciale sta facendo e probabilmente sta diventando meno disposta nemmeno a provarci.
- È probabile che Trump risponda alle sue delusioni aumentando, con tariffe su più cose e più paesi e, nonostante le smentite, alla fine, con l’intervento valutario.
- Altri paesi risponderanno, e questo diventerà molto brutto, molto veloce.
Fallimento delle tariffe di Trump
Krugman ha pubblicato alcuni grafici che mostrano i fallimenti e le bugie di Trump.Da quando Trump ha lanciato la sua guerra commerciale sempre crescente:
- Le esportazioni nette sono diminuite di $ 90,8 miliardi
- I dazi doganali sono aumentati di $ 33,9 miliardi
- Le tasse sui consumatori e sulle imprese sono aumentate di circa $ 100 miliardi
Se questo non è un insuccesso, che cos’è?
L’unica cosa vera e giusta l’ha pubblicata ieri Trump, trilioni di dollari stanno dirigendosi verso l’America per rmotivi di sicurezza, investimento e opportunità, ciò che vi stiamo spiegando da anni e siamo solo all’inizio di un lungo cammino.
Tutto è ancora in gioco anche se le cose si sono davvero spinte troppo in la, come sempre gli uomini faranno la storia, noi invece abbiamo il compito di informarVi attraverso la storia, prepararvi sperando che non accadda il peggio.
Trilioni di dollari stanno invadendo l'America per motivi di sicurezza, investimento e opportunità tassi. Ci voleva tanto a capirlo Ragazzi! https://t.co/kdSjYWcCka
— Andrea Mazzalai (@icebergfinanza) August 6, 2019
Come ho scritto alcuni giorni fa attenzione all’industria del risparmio gestito PASSIVA, qui sotto, sul Financial Times e non su Icebergfinanza, vi spiegano molto bene quali sono i rischi in questo momento e nei prossimi mesi…
Appuntamento al fine settimana con Machiavelli nel Paese delle Meraviglie!
Fonte: IcebergFinanza
TIRA UNA BRUTTA ARIA DI RECESSIONE SUI MERCATI MONDIALI
TRUMP ACCUSA LA FED DOPO CHE INDIA, NUOVA ZELANDA E THAILANDIA HANNO TAGLIATO I TASSI, E INTANTO DA MARZO C’È STATA LA TANTO TEMUTA INVERSIONE DELLA CURVA DEI RENDIMENTI, CHE DI SOLITO È PRELUDIO DELLA CRISI
LE BANCHE STATUNITENSI NON HANNO IMPARATO LA LEZIONE DEL 2008 E HANNO 272.500 MILIARDI DI DERIVATI. LA CORSA ALL’ORO FA SCHIZZARE LE QUOTAZIONI A 1500 DOLLARI L’ONCIA…
“Three more Central Banks cut rates.” Our problem is not China - We are stronger than ever, money is pouring into the U.S. while China is losing companies by the thousands to other countries, and their currency is under siege - Our problem is a Federal Reserve that is too.....
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USA, LO SPETTRO DELLA RECESSIONE TRUMP: «IL PROBLEMA È LA FED»
Flavio Pompetti per “il Messaggero”
Il prezzo dell'oro raggiunge i 1500 dollari l'oncia, la rendita dei buoni decennali del Tesoro statunitensi vanno a picco a quota 1,63%, le banche centrali di India, Nuova Zelanda e Tailandia tagliano i tassi di sconto sulle relative valute, mentre le borse mondiali accusano un'altra giornata di alto nervosismo. Lo spettro di una possibile recessione che parte dagli Usa per investire il resto del mondo, negli ultimi giorni sta prendendo forma in una serie di dati preoccupanti, la cui concomitanza non si vedeva dall'estate del 2007.
L'allarme viene dall'alto, con un tweet presidenziale che ancora una volta sollecita l'intervento della Fed. Il presidente punta il dito sull'inversione della curva tra i bond a tre mesi e quelli decennali. In un'economia sana, la fiducia degli investitori spinge in alto il rendimento di quelli a lunga scadenza, e rende più rischiosi quelli a breve. Lo scorso marzo questo rapporto ha iniziato ad invertirsi, e ieri i bond a tre mesi garantivano un interesse del 2,05%, mentre quelli a dieci anni hanno perso 42 punti base (0,42%) in soli otto giorni.
La recessione è già in atto nel settore industriale, in crescita negativa da due trimestri, perché l'incertezza causata dalla guerra commerciale e la consapevolezza di una frenata del Pil globale hanno paralizzato gli investimenti, e la produzione ne risente. L'idea che una brusca frenata possa trasmettersi anche al resto dell'economia sembrava un ipotesi fantasiosa alla luce delle rassicurazioni della Fed; poi è arrivato il terremoto di lunedì scorso, seguito ieri da un altro profondo scivolone dei listini di Wall Street.
Lunedì, mentre i tre maggiori indici perdevano il 2,9% di valore, una sofferenza maggiore è stata accusata dalle maggiori banche: -4,42% per Bank of America, -3,87% Morgan Stanley, -3,67% Goldman Sachs, -3,59% per Citigroup. Significativo è il fatto che anche i due maggiori gruppi privati che assicurano il debito bancario sono ugualmente in difficoltà (-3,75% per Lincoln National e -3,58% per Ameriprice Financial).
I DATI
Dietro questa sofferenza c'è l'accumulo di una bolla creditizia gigantesca. Il totale dei derivati detenuti dalle banche Usa nel settembre 2008 al picco della crisi era di 184.000 miliardi. Lo stesso dato oggi è di 272.500 miliardi. La stagnazione delle paghe negli ultimi anni, unita alla lievitazione dei costi per le tasse scolastiche, hanno costretto i consumatori ad assumere un livello di debito a fine 2018 (13.300 miliardi) più alto di quanto lo era nel 2008 (12.700 miliardi).
La leva dell'indebitamento industriale nei tre anni di presidenza Trump è cresciuta del 40%, e su questo sfondo il governo federale si prepara ad infrangere di nuovo a settembre il tetto di spesa di bilancio.
LA DOMANDA
Come è stato possibile ricreare le condizioni che innestarono la recessione globale undici anni fa? La legge Dodd Frank nel 2010 aveva imposto alle banche di isolare i derivati dagli altri asset come i conti correnti, che sono coperti da assicurazione federale. Le banche quattro anni dopo sono riuscite a far inserire un emendamento nella legge di bilancio di emergenza, che annullava questa disposizione. I derivati coperti da assicurazione sono tornati ad essere molto popolari sul mercato, e oggi sono di nuovo un iceberg che viaggia sotto il mare in tempesta della borsa degli ultimi giorni.
Basterebbe un nulla: l'annuncio di un riflusso dei dati sull'impiego; la conferma di un altro trimestre negativo per le imprese, l'impennata dei prezzi prevista dopo l'entrata in vigore dei nuovi dazi contro la Cina, a far saltare la polveriera. Di fronte a questi dati la richiesta pressante che Trump sta facendo alla Fed di Jerome Powell assume più l'aspetto di un intervento di salvataggio, piuttosto che di stimolo alla crescita. E le armi in mano al direttore della Banca centrale, per quanto potenti, potrebbero rivelarsi inadatte ad affrontare l'emergenza.
CONTINUA LA CORSA AI BENI RIFUGIO, L'ORO SFONDA I 1.500 DOLLARI L'ONCIA
Roberta Amoruso per “il Messaggero”
Meglio correre ai ripari. Lontano dal rischio e verso portafogli più diversificati tra titoli di Stato, obbligazioni corporate di qualità (investment grade), oro, yen giapponesi e franchi svizzeri. I mercati hanno capito subito, dopo la mossa a sorpresa di Pechino con tanto di valutazione dello yuan, che il nuovo affondo sui dazi di Donald Trump rischia di innescare una vera e propria guerra valutaria.
Certo, ci sono molte differenze con il precedente del 2015, l'ultima volta che Pechino è intervenuta a gamba tesa sullo yuan. Ma anche se Fed e Bce sono pronte a usare l'artiglieria per scongiurare una brusca frenata dell'economia mondiale, ci sono già tutti i segnali di una recessione imminente.
L'ALLARME
Da Pimco a Morgan Stanley, da Nomura a Natixis, evocano un rischio in salita di stop della macchina globale. E un po' tutti snocciolano le strategie di difesa per affrontare l'escalation di incertezza aggravata anche dall'incognita Brexit.
Così, mentre il petrolio è sceso del 2% l'oro è volato oltre la soglia psicologica dei 1.500 dollari l'oncia sui livelli di aprile 2013, ma lontano dai 1.900 del 2011, spingendo il rialzo da inizio anno oltre 17%. Un modo, per gli investitori, per puntare su un asset che conserva valore nel momento in cui i governi puntano a valute più deboli per essere maggiormente competitivi.
Dopo il timido taglio dei tassi deciso dalla Fed il 31 luglio, è ora più probabile una politica più aggressiva da parte di Jerome Powell, ieri attaccato di nuovo frontalmente da Donald Trump. In questo contesto il metallo giallo resta un approdo per gli investitori che alleggeriscono il portafoglio dagli asset a rischio e mantengono un approccio diversificato rispetto ai titoli di Stato costretti a una brusca contrazione dei rendimenti. I T-Bond sono scesi sotto l'1,6%, e i tassi reali Usa decennali stanno tornando verso lo zero (allo 0,16% contro l'1% di un anno fa) gettando un'ombra sulla sostenibilità del rally del dollaro.
Mentre il Bund tedesco è sceso al record di -0,586% con i Btp all'1,4%. Tanto che la curva dei rendimenti tedeschi comincia ad assomigliare a quella Usa, prossima alla tipica inversione pre-recessione (con i titoli a breve che pagano più di quelli a lungo). A questo punto l'oro potrebbe spingersi anche oltre visto che l'indebolimento dello yuan può dare nuovo slancio alla domanda di oro fisico in Cina, tra i principali consumatori al mondo. La divisa locale rende del resto più attrattivo il metallo giallo che, espresso in dollari, garantisce anche l'esposizione al biglietto verde.
Fonte: qui
“Three more Central Banks cut rates.” Our problem is not China - We are stronger than ever, money is pouring into the U.S. while China is losing companies by the thousands to other countries, and their currency is under siege - Our problem is a Federal Reserve that is too.....
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