PREDICA L'IDEOLOGIA NO BORDER (NO AI CONFINI) CHE È QUELLA DI UNA BORGHESIA GLOBALISTA UN PO' IN DECLINO, E SOPRATTUTTO NON HA TIMORE A VIOLARE LE LEGGI DEI VARI PAESI
”FOSSE PER ME SAREI GIÀ ATTRACCATA A LAMPEDUSA FIN DAL PRIMO GIORNO”
Marco Gervasoni per “il Messaggero”
Come avrebbe detto il signor De La Palice, è meglio essere ricchi che poveri. E ricca è Carola Rackete, la Capitana della Sea Watch, che potremmo anche chiamare una novella Anne Bonney, la più famosa pirata donna della storia.
E se atto di pirateria è da considerare la penetrazione illegale nelle acque di uno Stato, però, diversamente dalle donne pirata della storia, Carola la sua attività la svolge a fin di bene, o almeno il bene come lo intende lei. Certo, non deve essere facile nascere ricchi in Germania, e in particolare nella Bassa Sassonia protestante e luterana.
Oltre al clima plumbeo che predispone alla noia e in alcuni casi a gesti estremi, devi sentire di avere un debito con la società e forse con Dio, anche se non ci credi. E' la stessa Frau C. a dirlo: «Ho potuto frequentare tre università, sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto ho sentito un obbligo morale: aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità». Non puoi insomma fare come i millenial kids, categoria in cui la trentenne potrebbe essere inserita, che dilapidino le risorse di papà.
GLI STUDI
Quindi studia nel Regno Unito una curiosa materia, conservazione ambientale, poi si fa capitana sì, ma per l'ecologismo. A 23 anni guida una rompighiaccio, a 25 da vice comandante effettua spedizioni polari, a 27 continua la rotta polare, ma per Greenpeace.
Dagli orsi bianchi agli immigrati? Come avviene questo passaggio? Le cronache già apologetiche di quelli che «la sinistra italiana riparta da Carola» non ce lo dicono, ma eccola improvvisamente, dopo lo tsunami migratorio innescato dalla guerra civile siriana e dal poco lungimirante richiamo merkeliano, nel 2016, a collaborare con Sea Watch. Dall'ecologismo all'oeneggismo, che potremmo chiamare anche immigrazionismo: il salto non è così strano. E non è neppure così originale.
QUELLI COME LEI
Tipi come Carola li abbiamo visti in questi ultimi mesi: sono per la maggior parte tedeschi o olandesi, vengono da famiglie benestanti, predicano l'ideologia no border (no ai confini!) che è quella di una borghesia globalista un po' in declino, e soprattutto non hanno timore a violare le leggi dei vari paesi. Anche se per la verità sempre del nostro. Sarà che sono amanti del mare, freddo o caldo che sia, ma certo non li abbiamo visti mai sfidare le leggi e la polizia per esempio ungheresi, anche perché rimedierebbero certo punizioni più pesanti dei tutto sommato contenuti 53000 euro di multa, bruscolini nel bilancio di una Ong.
Questi figli di manager o di imprenditori sfruttano infatti le doti di famiglia a gestire le Ong, visto che, per volumi di entrate e di uscite, molte di loro possono essere considerate delle medie, e alcune persino delle grandi imprese. Nonostante la trasparenza dei bilanci, ci piacerebbe che la Capitana Carola utilizzasse una parte della sua loquacità per spiegarci chi finanzia i finanziatori. Forse capiremmo perché puntano sempre sull'Italia e non, per esempio, su paesi che hanno rapporti molto stretti con Berlino.
LE SPIEGAZIONI
E poi ci piacerebbe che la Capitana ci spiegasse se la grave decisione di violare il blocco sia stata presa da sola o in contatto con altri. Ma forse lo chiarirà al magistrato che, siamo sicuri, non mancherà di imputarle vari reati. Lei recita la sua parte, quella di sfidare Salvini. Avrà grazie a lui il suo quarto d'ora di celebrità. Quelli fuori spartito sono invece gli italiani che l'hanno eletta a leader morale. Non avremo come altrove un partito dei Pirati ma abbiamo una Pirata alla guida della Linke italiana.
LA CAPITANA CAROLA DAL POLO ALLE ONG: «SO CHE COSA RISCHIO»
Marta Serafini per il “Corriere della sera”
«Che però sia chiaro che non sono l' unica donna a bordo». È impegnata Carola Rackete. Ha da forzare un blocco e portare in porto i suoi «42 passeggeri». Non le importa cosa dicono di lei a terra.
«Mi ricevete? Sto entrando nelle vostre acque territoriali». Parla alla radio. Voce ferma, inglese perfetto e tono di una che non ha tempo da perdere. Al suo fianco ci sono le altre dieci donne del team di Sea Watch 3. Verena, la dottoressa che ha curato i migranti in queste due settimane al largo e che dice «vi prego, fateci sbarcare che loro non ce la fanno più». E Haidi, la mediatrice culturale che con pazienza spiega ai 42 cosa sta succedendo.
«Basta, ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So a cosa vado incontro ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo». La «Capitana» contro il «Capitano». La comandante della Sea Watch e il ministro dell' Interno italiano Matteo Salvini.
Quando la nave nel primo pomeriggio fa rotta su Lampedusa in rete parte l' urlo. «O capitana, o mia capitana». Carola che con un colpo di timone fa quello che nessuno prima di lei aveva mai osato.
I compagni a terra però si preoccupano. Perché ora Carola rischia grosso. Incriminazione per favoreggiamento di immigrazione clandestina, il sequestro della nave e una multa da 50 mila di euro. Ma la «Capitana» non è il tipo che si ferma di fronte a un decreto. Già nei giorni scorsi Rackete aveva risposto agli strali di Salvini. «Non riporterò i migranti in Libia, né tantomeno in Olanda, vorrebbe dire circumnavigare l' Europa, sarebbe ridicolo», aveva scandito sicura. Poi quando Strasburgo ha rigettato il ricorso presentato dalla sua Ong è andata dai suoi «passeggeri» e li ha informati. «Fosse per me sarei già attraccata a Lampedusa fin dal primo giorno».
All' arrivo in porto il tono di voce è ancora calmo. «Le autorità italiane sono appena salite a bordo e ci hanno controllato i documenti. Ma non ci fanno sbarcare», spiega.
Trentun' anni, passaporto tedesco, Rackete è cresciuta a Hambühren, nella stessa Bassa Sassonia dove i depositi di armi della Seconda Guerra Mondiale oggi sono stati trasformati in edifici residenziali, tra piste ciclabili e foreste.
Poi Carola lascia mamma e papà e va a studiare all' estero, alla Edge Hill University nel Lancashire, in Gran Bretagna.
Si diploma con una tesi sugli albatros, prende un master.
«Amo la natura e gli animali».
Il profilo perfetto della ragazza tedesca che si batte per l' ambiente. E per i diritti. Così dopo la laurea si mette al timone di una nave rompighiaccio nel Polo Nord per uno dei maggiori istituti oceanografici tedeschi l' Alfred Wegener, per cui lavora dal 2011 al 2013. Cinque lingue sul curriculum, a 25 anni è secondo ufficiale a bordo della Ocean Diamond. E due anni dopo è sull' Arctic Sunrise di Greenpeace.
Avanti fino al 2016, quando è volontaria di Sea-Watch. Sono gli anni in cui alle Ong ancora è permesso stare in mare senza problemi.
Carola che ci crede e che non si arrende. In poco tempo diventa coordinatrice dei team di avvistamento di Moonbird e Colibrì, i piccoli aeroplani della Ong che pattugliano il Mediterraneo alla ricerca dei barconi in difficoltà. Lì impara cosa significa scrutare per ore e ore l' orizzonte in attesa di un puntino nero. E apprende la delicata arte di districarsi tra i messaggi in codice della capitanerie. Roma, Tripoli, Malta. Per diventare una che forza il blocco bisogna studiare.
I sovranisti di lei dicono che è una figlia di papà, lei invece di sé a La Repubblica ha raccontato: «La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare tre università, sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto ho sentito un obbligo morale: aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità».
Fonte: qui
TRAVAGLIO FA NERA LA SEA WATCH E LA SUA CAPITANA: “HA VIOLATO UNA SERIE INNUMEREVOLE DI NORME ITALIANE E INTERNAZIONALI, IL CHE NON LE VERREBBE CONSENTITO DA ALCUNO STATO DI DIRITTO DEL MONDO LIBERO
SULLA PELLE DEI MIGRANTI, USATI COME OSTAGGI E SCUDI UMANI, SI STA GIOCANDO UNA LUNGA, CINICA E IPOCRITA GARA TUTTA POLITICA. ANCHE IN EUROPA, CHE STA A GUARDARE. NESSUNO CI VENGA A RACCONTARE CHE DA UNA PARTE CI SONO I BUONI E DALL'ALTRA GLI ITALIANI XENOFOBI. O CHE UN GOVERNO NON HA…”
Estratto dell’articolo di Marco Travaglio per il “Fatto quotidiano”
[…] Dopo 14 giorni di navigazione nel Mediterraneo, approda sulle coste italiane la nave SeaWatch-3, di proprietà di un'ong privata tedesca ma battente bandiera olandese, carica di 42 profughi raccolti in acque libiche. In origine erano 52, ma 10 - quelli in pericolo - sono già sbarcati in Italia il 15 giugno.
Il natante, guidato dalla capitana tedesca Carola Rackete, ha violato una serie innumerevole di norme italiane e internazionali, il che non le verrebbe consentito da alcuno Stato di diritto del mondo libero. Nel 2017 non ha firmato il Codice di autoregolamentazione del ministro dell'Interno Pd Marco Minniti, regolarmente siglato da altre ong, per farla finita col Far West nel Mediterraneo (migliaia di sbarchi e di morti). S'è addentrata nella zona di ricerca e soccorso libica, competenza della Guardia costiera di Tripoli.
Avrebbe dovuto far rotta sul porto sicuro più vicino: cioè in Tunisia o a Malta. Invece ha scientemente deciso di proseguire fino a Lampedusa, per creare l'ennesimo incidente in polemica con le politiche migratorie del governo italiano, secondo il copione collaudato da altre navi della stessa Ong (una saga a puntate: Sea Watch-1, 2, 3 e così via).
Il governo ha negato il permesso di ingresso nelle acque territoriali e poi di sbarco nel porto. La capitana Carola, subito idolatrata da una sinistra a corto di idee e simboli, se n' è infischiata. Prima ha tentato di far annullare l' alt dal Tar: ricorso respinto. Poi di farsi autorizzare in via provvisoria e urgente dalla Corte dei diritti dell' uomo di Strasburgo.
Che però le ha dato torto, per la seconda volta (il diritto allo sbarco in Italia era già stato negato il 29 gennaio a un'altra Sea Watch con 49 migranti): il provvedimento provvisorio di sbarco, in deroga agli ordini di un governo, può essere adottato solo "nei casi eccezionali in cui i richiedenti sarebbero esposti - in assenza di tali misure - a un vero e proprio rischio di danni irreparabili".
E fortunatamente non è questa la situazione degli ospiti della SeaWatch-3 dopo la discesa delle tre famiglie con bimbi e donne incinte. Certo - precisa la Corte - il governo deve "continuare a fornire tutta l'assistenza necessaria alle persone in situazione di vulnerabilità per età o stato di salute". Ma non esiste un diritto di accesso alle acque territoriali di uno Stato in violazione delle sue norme, salvo appunto per gravi motivi di salute, senza i quali la nave che ha compiuto il salvataggio (in questo caso, un'estensione del territorio olandese) è essa stessa un luogo sicuro per i naufraghi.
A quel punto, siccome il tribunale italiano e quello comunitario le han dato torto, la capitana ha calpestato entrambe le sentenze. E l'ordine di fermarsi della Guardia Costiera e di Finanza. E s' è affacciata su Lampedusa sventolando una causa di forza maggiore già esclusa da Strasburgo: la salute dei migranti dopo 14 giorni di navigazione (che sarebbero stati molti meno se fosse andata dove doveva: Tunisia o Malta).
Quel che pensiamo su questa ennesima guerra delle opposte propagande fra alcune Ong e il governo italiano lo scriviamo da sempre: sulla pelle dei migranti, usati come ostaggi e scudi umani, si sta giocando una lunga, cinica e ipocrita gara tutta politica. Anche e soprattutto nella cosiddetta Europa, che sta a guardare. Sul piano umanitario, è fin troppo evidente che - stando così le cose - quei 42 disperati devono sbarcare in Italia, com' è sempre avvenuto, anche sotto il ministro della Cattiveria di un governo tacciato di fascismo e razzismo da chi in casa propria fa ben di peggio.
Ma nessuno ci venga a raccontare che da una parte ci sono i buoni (l' eroica capitana) e dall' altra i cattivi (gli italiani xenofobi). O che un governo non ha il diritto-dovere di proteggere i confini da chi vorrebbe decidere le sue politiche migratorie dalla tolda di una nave tedesca con bandierina olandese. E di indicare l' unica via d' accesso all' Italia per chi ha diritto all' asilo: quella dei corridoi umanitari. Cioè, parlando con pardon, la via legale. Fonte: qui
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