Processo concluso lo scorso novembre: il pm sostenne la corruzione per l'ampliamento della struttura oggi colpita dalla slavina.
Per i giudici di primo grado il fatto non sussiste, ora i reati sono prescritti
Il sospetto di un abuso edilizio e un processo per corruzione conclusosi con l'assoluzione di tutti gli imputati perché "il fatto non sussiste": è questo il prequel della tragedia che si è verificata alle pendici del Gran Sasso, a causa di una slavina abbattutasi sull'hotel Rigopiano, nel comune di Farindola.
La vicenda ha inizio nel 2008 con una delibera comunale "sospetta" e prosegue con l'inchiesta del pm della procura di Pescara Gennaro Varone che, sulla base di intercettazioni telefoniche nell'ambito di un'indagine denominata Vestina - poi condensata in un processo -, ipotizzava un passaggio di denaro e posti di lavoro in cambio di un voto favorevole per sanare l'occupazione abusiva del suolo pubblico.
La presunta corruzione e l'assoluzione dell'ex sindaco
Il presunto abuso riguardava proprio l'ampliamento della struttura, che in origine era un casolare adibito ad albergo, per la realizzazione dell'attuale hotel a quattro stelle, gestito dalla società Del Rosso e in seguito ceduto alla Gran Sasso Resort. A processo, nel 2013, finirono sette persone tra cui l'ex sindaco del paesino in provincia di Pescara, Massimiliano Giancaterino, e il suo successore alla guida del comune Antonello De Vico all'epoca consigliere comunale. Inoltre rimasero coinvolti i due ex assessori Ezio Marzola e Walter Colangeli, l’ex consigliere Andrea Fusaro e gli imprenditori Paolo Marco e Roberto Del Rosso.
Il fatto oggetto del processo, come detto, risale al 2008. Secondo l'accusa, l'allora sindaco, assessori e consiglieri avevano votato a favore della delibera comunale del 30 settembre di quell'anno finalizzata a "sanare l’occupazione abusiva di suolo pubblico da parte della società Del Rosso", è scritto in un articolo del Centro di pescara dell'epoca, in una zona fino ad allora adibita a pascolo del bestiame e compresa in un'area naturalistica protetta. Scrive Lacerba (giornale locale di Penne), citando la procura, che "l'autorizzazione a sanatoria si basava sul presupposto che detta occupazione non costituisse abuso edilizio per mancata, definitiva trasformazione del suolo". Secondo quanto sosteneva il pm, Giancaterino e De Vico in cambio della delibera avrebbero incassato la "promessa di un versamento di denaro destinato al finanziamento del partito" di appartenenza (il Pd) e, in particolare, il secondo avrebbe ottenuto "il pagamento di 26.250 euro" che, dice ancora l’accusa, andava ad "adempimento parziale di un debito pregresso ma inquadrabile nel rapporto corruttivo".
"Soldi per il partito e assunzioni nel resort"
Il pm sosteneva inoltre che come merce di scambio per quella delibera favorevole, i consiglieri e gli assessori del tempo avessero ottenuto dai titolare della società Del Rosso anche "assunzioni preferenziali per i propri protetti". L'ex sindaco di Farindola nel corso del processo aveva sempre respinto l'accusa di corruzione, ottenendo ragione dal giudice che lo scorso novembre ha emesso la sentenza di assoluzione "perché il fatto non sussiste". Il reato era comunque prescritto già nell'aprile del 2016, ragion per cui questa sentenza non potrà essere appellata. Le motivazioni della sentenza non sono state ancora depositate.
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