UN TEAM DI MEDICI CANADESI HA OSSERVATO COME SPESSO L’ATTIVITÀ CARDIACA UMANA S’INTERROMPA PER RIPRENDERE VARIE VOLTE
IL PERIODO PIÙ LUNGO IN CUI IL CUORE È RIMASTO INATTIVO PRIMA DI RIPARTIRE DA SOLO È STATO DI QUATTRO MINUTI E 20 SECONDI, MA NESSUNO DEI PAZIENTI HA…
Amanda Van Beinum e Sonny Dhanani per "it.businessinsider.com"
Quanto devono aspettare i dottori dopo che è apparsa la “linea piatta” prima di dichiarare la morte di una persona? Come fanno a essere certi che il cuore non riprenda a battere facendo circolare il sangue?
Il modo più comune in cui muoiono le persone è in seguito a un arresto cardiaco. Però, non ci sono molte prove a supporto di quanto a lungo aspettare per determinare il decesso una volta che il cuore si è fermato. Questa informazione mancante ha ripercussioni sulla pratica clinica e sulla donazione di organi.
Un principio fondamentale della donazione di organi è la regola del donatore morto: i donatori devono essere morti prima dell’espianto degli organi, e l’espianto degli organi non deve essere la causa della morte. Una mancanza di prove circa il tempo di attesa prima di dichiarare il decesso crea tensione: se i dottori aspettano troppo dopo che il cuore si è fermato, la qualità degli organi inizia a peggiorare.
D’altro canto, non aspettare abbastanza introduce il rischio di procedere all’espianto degli organi prima che sia effettivamente avvenuto il decesso.
Il nostro team interdisciplinare di dottori, bioingegneri ed esperti ricercatori clinici ha passato gli ultimi dieci anni studiando cosa succede quando una persona muore in seguito ad arresto cardiaco. Ci siamo concentrati sui pazienti dei reparti di terapia intensiva che sono morti in seguito allo spegnimento delle macchine, dato che questi pazienti possono essere anche idonei alla donazione di organi. In particolare, eravamo interessati a capire se è possibile che il cuore si riattiva da solo, senza alcun intervento quale rianimazione cardiopolmonare (RCP) o farmaci.
Uno sguardo più attento alla linea piatta di fine vita
Il nostro recente studio, pubblicato nel New England Journal of Medicine, presenta l’osservazione della morte di 631 pazienti tra Canada, Repubblica Ceca e Paesi Bassi, deceduti nei reparti di terapia intensiva. Le famiglie di tutti i pazienti avevano dato il consenso a partecipare alla ricerca.
Oltre alla raccolta di informazioni mediche su ogni paziente, abbiamo realizzato un programma informatico per raccogliere e controllare battito cardiaco, pressione sanguigna, livello di ossigenazione del sangue e modelli respiratori direttamente dai monitor collegati alle macchine. Come risultato, siamo riusciti ad analizzare i modelli di linea piatta di fine vita di 480 pazienti su 631 — e anche a osservare se e quando ogni eventuale attività circolatoria o cardiaca riprendeva dopo essersi interrotta per almeno un minuto.
Questo video mostra la pressione del sangue arterioso e i segnali dell’elettrocardiogramma fermarsi per 64 secondi prima di riprendere, e infine fermarsi dopo quasi tre minuti. Il video è accelerato otto volte.
Come si è capito, la classica linea piatta della morte non è così lineare.
Abbiamo scoperto che l’attività cardiaca umana spesso s’interrompe per riprendere varie volte durante il processo che porta alla morte.
Su 480 segnali di “linea piatta”, abbiamo scoperto uno schema di interruzione-e-riavvio in 67 (14 per cento).
Il periodo più lungo in cui il cuore è rimasto inattivo prima di ripartire da solo è stato di quattro minuti e 20 secondi. Il periodo più lungo in cui l’attività cardiaca ha continuato in seguito alla ripresa è stato di 27 minuti, ma la maggior parte delle ripartenze è durata appena uno o due secondi. Nessuno dei pazienti che abbiamo seguito è sopravvissuto o ha riacquistato conoscenza.
Abbiamo inoltre scoperto che era normale che il cuore continuasse a mostrare attività elettrica molto tempo dopo che il flusso sanguigno o i battiti si erano fermati. Il cuore umano funziona come risultato di una stimolazione elettrica dei nervi che provoca la contrazione del muscolo cardiaco e contribuisce alla circolazione del sangue — il battito che puoi sentire nelle tue arterie e nelle tue vene.
Abbiamo scoperto che il ritmo cardiaco (la stimolazione elettrica causa il movimento del muscolo cardiaco) e il battito (movimento del sangue nelle vene) si fermavano insieme solo nel 19 per cento dei pazienti. In alcuni casi, l’attività elettrica del cuore proseguiva per oltre 30 minuti senza provocare alcuna circolazione del sangue.
Perché è importante capire la morte
I risultati del nostro studio sono importanti per alcune ragioni.
Primo, l’osservazione che le interruzioni e le riprese dell’attività cardiaca e della circolazione fanno spesso parte del naturale processo di morte sarà rassicurante per dottori, infermieri e membri della famiglia al capezzale. A volte, segnali intermittenti sui monitor delle macchine possono allarmare se gli osservatori li interpretano come segnali di un inatteso ritorno della vita. Il nostro studio fornisce prove che interruzioni e riprese devono essere previste durante un normale processo di morte senza RCP (rianimazione cardio-polmonare), e che non portano a riprendere coscienza o alla sopravvivenza.
Secondo, la nostra scoperta che la pausa più lunga prima della ripresa autonoma dell’attività cardiaca era di quattro minuti e 20 secondi supporta la pratica corrente di aspettare cinque minuti dopo che la circolazione si è fermata prima di dichiarare il decesso e procedere all’espianto degli organi. Ciò contribuisce a rassicurare le organizzazioni che si occupano di donazione degli organi su fatto che le pratiche volte a determinare il decesso sono sicure e adeguate.
I nostri risultati saranno impiegati a livello internazionale per migliorare le pratiche informative e le linee guida per la pratica della donazione di organi. Affinché i sistemi di donazione funzionino, quando qualcuno è dichiarato morto, deve esserci la fiducia che la dichiarazione sia davvero veritiera. La fiducia permette alle famiglie di scegliere la donazione nel momento del dolore e consente alla comunità medica di assicurare cure di fine vita sicure e coerenti.
Questo studio è importante anche perché migliora la nostra comprensione più ampia della storia naturale della morte. Abbiamo mostrato che forse non è così semplice capire quando un morto è davvero morto. Ci vogliono un’osservazione attenta e uno stretto monitoraggio fisiologico del paziente. È inoltre necessario comprendere che, proprio come la vita, il processo di morte può seguire molti schemi.
Il nostro lavoro rappresenta un passo avanti verso l’apprezzamento della complessità del morire e indica che dobbiamo andare oltre l’idea di una semplice linea piatta che indichi quando è avvenuta la morte. Fonte: qui
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