“LA CASTELLI CI INVITA A CAMBIARE MESTIERE? MEGLIO CHE SIA LEI A FARLO. PURTROPPO VIVIAMO IN UN TEMPO IN CUI QUELLI CON LA LAUREA BREVE DIVENTANO MINISTRI…”
“LO STATO INIZI A RIDARMI I SOLDI CHE MI DEVE. CHE COSA ABBIAMO DI DIVERSO RISPETTO ALLA FIAT, CHE HA PURE LA SEDE FISCALE ALL' ESTERO?
RUTTE? SE VIENE IN ITALIA GLI METTO LE MANI ADDOSSO..."
Federico Novella per “la Verità”
Ragazzi, devo fare l' intervista, fate silenzio!». Il maestro Gianfranco Vissani, antesignano degli chef-star italiani, richiama all' ordine la ciurma delle cucine del suo ristorante di Baschi, in Umbria, sulla riva del lago di Corbara. Ma in sottofondo continua ad arrivare lo sfrigolio delle padelle sui fuochi.
«Abbiamo riaperto dieci giorni fa, con mille sacrifici: l' ho fatto soprattutto per i dipendenti. Magari ci avessero fatto uno sconto sulle tasse. Zero. Anzi, siamo stufi della gogna mediatica». Il Che Guevara della cucina italiana, per usare una sua definizione, promette di scatenare una guerriglia legale: «Questi qua non si rendono conto di quanto è grave la situazione. Non ci ascoltano. Organizzerò una class action contro il governo».
Non si placano le polemiche dopo la frase del viceministro Laura Castelli sui ristoratori. Gliela ripeto testuale: «Se una persona decide di non andare più a sedersi al ristorante, bisogna aiutare l' imprenditore a fare un' altra attività». Che cosa risponde?
«Meglio che sia lei a cambiare mestiere. Purtroppo viviamo in un tempo in cui quelli con la laurea breve diventano ministri. Queste sono le conseguenze».
Lei sarebbe disposto a reinventarsi?
«Lo faccio da sempre. Da noi si lotta e si cambia ogni anno: abbiamo rinnovato il menu, le sale, abbiamo acquistato i macchinari migliori per la sanificazione. È tutto sterilizzato: dai tavoli alle divise. Cinquant' anni di esperienza ti danno la forza di restare in piedi».
E il distanziamento?
«Quello da noi c' era anche prima. Tavoli sempre stati a 2 metri di distanza. Però».
Però?
«Però spiegatemi perché in spiaggia si sta pigiati come sardine, e poi da noi i camerieri devono stare in apnea con la mascherina. Chissà perché, i vigili i controlli li fanno solo nei ristoranti».
Comunque la storica rivista gastronomica del Gambero Rosso ha dato ragione alla Castelli.
Se lo aspettava?
«E che cos' è il Gambero Rosso? Venderà sì e no due copie. Una volta era una guida gastronomica, oggi si è ridotta a un volantino. Loro fanno politica, io no».
Cinquantamila ristoratori hanno firmato una lettera di protesta: «Ci hanno dato dei pigri e degli incapaci: non siamo più disposti a giustificare e a scusare». C' è anche la sua firma.
«Vorrei assumere per qualche tempo il viceministro nel mio locale, insieme con il premier.
Sarebbe utile per tutti. Una sorta di tirocinio, per fargli vedere come si lavora qui».
Perché, al governo non lo sanno?
«Conte non saprebbe mai gestire un ristorante. Il problema dei politici è che quando si siedono al tavolo, di solito il conto lo paga un altro».
E quindi?
«E dunque il funzionamento dell' azienda non gli interessa. Vorrei che iniziassero a mantenere le promesse che hanno fatto. E che magari cominciassero a ridarmi i soldi che mi devono».
Perché, lo Stato le deve dei soldi?
«Come no. A cominciare dal banchetto per Massimo D' Alema, nel 1999. Si ricorda, a Firenze? C' era tutti i grandi della terra: Bill Clinton, Tony Blair, Lionel Jospin, Gerhard Schroeder».
La storica celebrazione della «Terza Via» a sinistra. Com' è andata a finire?
«Mai visto una lira per quel pranzo, e ancora aspetto. E voglio precisare che Massimo non c' entra. Chiedete allo staff, a Claudio Velardi. Anni dopo mi dissero che nessuno aveva chiesto che apparecchiassi. Forse i piatti sono piovuti dal cielo?».
E poi?
«E poi aspetto dallo Stato 300.000 euro per i beni confiscati alla mafia.
Firmai il contratto col prefetto Morcone in persona. Soldi di 10 anni fa: adesso forse sono diventati qualcosa di più. Se sommiamo tutti gli arretrati, secondo me arriviamo al milione».
Ma la ripartenza nei locali non c' è mai stata?
«Io non faccio politica né voglio farla. Non me ne importa niente. Parlo da addetto ai lavori.
Sono il presidente onorario di Ristoritalia, rappresento 100.000 ristoratori in tutto il Paese. E le dico che la situazione è drammatica».
Fino a che punto?
«Ci sono locali, anche quotati, che riaprono e poi chiudono dopo una settimana. Sono stato a Jesolo l' altro giorno, una zona solitamente molto movimentata: tutto sbarrato».
È arrivata la cassa integrazione ai suoi dipendenti?
«Nelle ultime settimane a qualcuno sono arrivati 400 euro, su uno stipendio di 1.300. Molti dipendenti non ho potuto riprenderli con me. Intanto però continuiamo tutti a pagare le tasse come se nulla fosse successo. Perché devo pagare quella sulla spazzatura dopo quattro mesi di chiusura?».
Si aspettava uno sconto?
«Con una mano danno, e con l' altra prendono. Serviva un anno bianco fiscale, un periodo di sospensione, perlomeno un semestre».
Invece?
«Facciamo fatica a farci ascoltare. Quando abbiamo incontrato Conte a Roma ci ha detto: "Non è colpa mia". D' accordo: ma almeno ci dia una mano, stiamo parlando di un settore che vale il 13% del Pil».
La sento arrabbiato.
«Ci vogliono male. Ci trattano peggio. E sono stufo della gogna mediatica. Sto pensando a una class action contro il governo».
Addirittura?
«Sì, ci dovranno spiegare che cosa abbiamo di diverso rispetto alla Fiat, che riceve miliardi di garanzie pur avendo la sede fiscale all' estero».
Se non altro, dopo l' accordo europeo, arriveranno all' Italia più di 200 miliardi. Non è sollevato?
«Mi pare sia una fregatura. I primi soldi arriveranno l' anno prossimo, o sbaglio?».
Troppo tardi?
«Se a settembre non prolungano la cassa integrazione, tempo tre mesi e chiudiamo. E non parlo dei ristoranti stellati: delle stelle non importa più niente a nessuno».
A chi pensa?
«Penso ai ristoranti gestiti per anni dalle famiglie, agli esercizi all' interno delle discoteche, degli aeroporti, delle stazioni, ai servizi di catering, i bistrot, le panetterie, le pasticcerie. La ristorazione in Italia è ovunque, fa parte della nostra vita. Sono tutti nostri affiliati che non hanno più ossigeno».
Pare che in autunno si studi un ritocco della tassa di successione, per far fronte al bisogno di denaro fresco.
«Ci provino. Con i locali chiusi, nessuno pagherà più».
Conte ha gestito bene la trattativa a Bruxelles?
«Poteva e doveva essere più duro. Non mi pare che gli altri si siano molto spaventati».
Gli altri?
«Rendiamoci conto: mi pare di aver capito che rischiamo di farci dare i voti dagli olandesi. Gente che alle 4 del pomeriggio, di solito, è già ubriaca».
Ce l' ha con il presidente Rutte, il capo dei frugali?
«Quello che non cedeva su nulla per acchiappare qualche voto in più a casa sua: se passa dall' Italia, gli metto le mani addosso. Qualcuno mi venga a spiegare perché ci ostiniamo a mantenere i paradisi fiscali in Europa: Olanda, Irlanda, Lussemburgo».
Dunque non ha fiducia nel piano europeo?
«L' Europa doveva essere una comunità costruita sulla solidarietà. Purtroppo, abbiamo visto tutti che la realtà è un' altra. Mentre gli Stati Uniti si sono fondati sul sacrificio di chi ha combattuto dando la vita, l' Europa si fonda semplicemente sull' euro. Una moneta fatta a tavolino che ha dimezzato la nostra ricchezza».
Che cosa le fa più rabbia?
«Dicevano che non avrebbero lasciato indietro nessuno, invece c' è una metà del Paese che muore e l' altra metà pagata dallo Stato per starsene a casa. Forse vogliono vederci tutti mangiare davanti al pc in smart working? Credetemi, se non interveniamo subito, tra 5 anni arriveranno americani, giapponesi e cinesi a conquistare i nostri ristoranti».
Che cosa si aspetta?
«Mi aspetto che qualcuno si renda conto che la rinascita non può che arrivare dalle cucine dei ristoranti e delle trattorie».
Cioè?
«Siamo un Paese che vive sulla convivialità, sull' accoglienza, sul contatto quotidiano che comincia la mattina al bar con il caffè. Il lockdown ha rotto questo equilibrio e ci ha messo in ginocchio. Per questo bisogna occuparsi seriamente di rilanciare il turismo».
Fosse facile.
«Il cibo è la nostra storia. Dovrebbe essere ovunque. Vorrei vedere assaggi di prosciutto anche nei negozi di abbigliamento, come fanno in Spagna con il Patanegra. Talvolta dimentichiamo i tesori che abbiamo in casa: quando vedo certi posti dove fanno il purè con la schiuma non ci vedo più».
Il suo sogno?
«Un ritorno all' antico, all' epoca d' oro degli anni Sessanta, alla grande cucina del territorio, alla favola di Capri ammirata in tutto il mondo. Ecco, mi immagino il nuovo miracolo italiano iniziare nel posto migliore: a tavola». Fonte: qui
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