FONTANA SOTTO ASSEDIO
COSA HA A CHE FARE LA GENESI E LA EVOLUZIONE DEI BENI PERSONALI DI FONTANA, CON LA VICENDA DEI CAMICI? UN LEGAME DIRETTO NON C'È. MA…
INTANTO IL GOVERNATORE PER L’INCARICO DA 22MILA € ALL’EX SOCIO, L'AVVOCATO MARSICO, NELLA SOCIETÀ PUBBLICA CHE GESTISCE LE CASE POPOLARI
Luca Fazzo per il Giornale
Il clima giudiziario intorno a Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, somiglia sempre più a un accerchiamento. Ieri sera la Guardia di Finanza ha perquisito la sede della Dama spa, la società del cognato Andrea Dini.
Le forze messe in campo dalla Procura, la determinazione con cui nel pieno dell' estate si scava negli affari pubblici e privati del governatore lombardo, dicono chiaramente che la vicenda dei camici forniti dal cognato di Fontana alla Regione è solo il varco attraverso il quale i pm si muovono ora per una ricostruzione a 360 gradi degli affari dell' esponente leghista.
Ieri si apre un nuovo capitolo nella analisi dei fondi esteri di Fontana: un articolo di Domani, il nuovo giornale di Carlo De Benedetti (per ora disponibile solo come newsletter) accende i riflettori su una fondazione in Liechtenstein, la Obbligo Familienstiftung di Vaduz. La Obbligo è il trustee, ovvero il gestore, del conto a Nassau, nelle Bahamas, dove la mamma di Fontana sposta numerosi milioni di euro. Beneficiario della Obbligo, scrive Domani, è sempre la signora Fontana e alla sua morte il figlio Attilio.
Sono i soldi che Fontana dopo la scomparsa della madre regolarizza con lo scudo fiscale e che cerca poi (senza riuscirci) di utilizzare per pagare una parte dei camici forniti dal cognato Andrea Dini alla Regione. Per capire quanto sta accadendo, va tenuto presente che sui soldi che si spostano tra Bahamas, Liechtenstein e Svizzera non si muove solo l' inchiesta di Domani. Le domande sollevate dalla newsletter, si dice in Procura, «sono le stesse che ci stiamo facendo anche noi».
Cosa ha a che fare tutto ciò, ovvero la genesi e la evoluzione dei beni personali di Fontana, con la vicenda dei camici? Un legame diretto, evidentemente, non c' è. Ma i tre pm (Scalas, Furno e Filippini) coordinati da un superesperto come il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli puntano a ricostruire l' intero contesto in cui la vicenda si è sviluppata. L' unico reato contestato per ora al presidente lombardo è la frode in forniture pubbliche, in pratica gli viene contestata la mancata consegna alla Regione dell' intero blocco di 75mila camici promessi dalla Dama, la società di Dini. Non c' è, per il momento, un reato tributario.
Ma si può stare certi che se dovessero inciampare in un dettaglio illecito, i pm (ammesso che non si tratti di fatti ormai prescritti, visto il tempo trascorso) non esiterebbero a fare scattare nuove accuse.
Fontana, da parte sua, continua a mostrarsi sicuro di poter dimostrare la regolarità dei suoi comportamenti sia sul fronte dei camici sia nella gestione del patrimonio. Nell' incontro dell' altroieri con gli inquirenti, il legale del governatore, Jacopo Pensa, è tornato a manifestare la disponibilità a chiarire tutto il versante estero.
ATTILIO FONTANA SI METTE LA MASCHERINA
A questo punto la Procura sta rallentando i tempi della rogatoria prevista verso la Svizzera, perché se fosse lo stesso Fontana a mettere a disposizione i documenti si risparmierebbe tempo e fatica. Ma è comprensibile che prima di consegnare tutte le carte il presidente voglia capire esattamente qual è l' obiettivo reale della indagine.
È una domanda che Fontana si sta ponendo con insistenza, tanto più quanto si considera estraneo al tema ufficiale dell' indagine. Non capiva come lo si potesse accusare, come era stato ipotizzato, di avere spinto per il contratto tra Regione e Dama, essendo ormai pacifico che ne seppe solo a cose fatte. Ma ancora meno capisce come gli si possa rinfacciare la decisione del cognato di non ultimare la consegna. E allora, si chiede, dove vogliono arrivare? Intanto il M5s insiste: sulla donazione ha mentito, se ne vada.
CONSULENZA ALL'EX SOCIO DEL GOVERNATORE ALTRO GUAIO IN REGIONE
Chiara Baldi per la Stampa
A fine maggio, ancora in emergenza coronavirus, in una delle partecipate più importanti di Regione Lombardia veniva nominato come consulente, a 22 mila euro l' anno, l' ex socio del presidente Attilio Fontana, Luca Marsico.
Quello stesso Marsico per il quale Fontana aveva rischiato un anno fa di mettersi nei guai, finendo indagato per abuso d' ufficio nell' ambito dell' inchiesta «Mensa dei poveri»: l' ipotesi era che Fontana avesse caldeggiato la figura di Marsico come membro esterno del nucleo di valutazione degli investimenti pubblici della Regione Lombardia. Ma a marzo la Procura di Milano aveva chiesto l' archiviazione per il governatore.
Poi, il 28 maggio scorso ecco l' ex socio dello studio legale di Fontana rispuntare in Aler Milano: con una deliberazione a firma del presidente Mario Angelo Sala, di area maroniana, nello stesso ente pubblico, che si occupa delle case popolari in Lombardia e che è controllato dalla Regione, Luca Marsico viene nominato «membro esterno» del nuovo Organismo di Vigilanza.
La nomina parte dal primo giugno 2020 e ha durata triennale, fino al 31 maggio 2023. Per questo incarico di consulente esterno l' avvocato Marsico, che nel 2018 non è stato rieletto al Consiglio Regionale perché il ras di Forza Italia, Gioacchino Caianiello gli ha preferito un altro (Angelo Palumbo), percepirà 22 mila euro l' anno più Iva.
Tra i ruoli dell' Organismo di Vigilanza, spiegano da Aler, c' è quello di «vigilare sulla corretta applicazione del Modello di Organizzazione e Gestione (Mog); analizzare i flussi informativi da parte dei soggetti destinatari dei protocolli di prevenzione previsti dal Mog; verificare la diffusione del modello tra i suoi destinatari; curare l' aggiornamento e l' implementazione dello stesso; comunicare eventuali falle o distorsioni nell' applicazione dei modelli organizzativi da parte dei destinatari».
In più, dice la delibera, l' Organismo di Vigilanza potrà «effettuare spese per lo svolgimento delle attività fino all' importo massimo annuo di 35 mila euro, secondo le modalità da concordarsi con il Direttore Generale». A capo dell' Organismo di Vigilanza, un tassello sopra Marsico, viene confermata un' altra vecchia conoscenza della Lega: Carmine Pallino, ex commissario della Fondazione Molina di Varese, una delle tre più importanti case di riposo della Lombardia, fondazione privata il cui Presidente e Consiglio di Amministrazione vengono nominati dal sindaco di Varese. Che fino al 2016 è stato Attilio Fontana.
Pallino, in verità, in Fondazione Molina tra la fine del 2016 e ottobre 2018 subentra ai vertici nominati proprio da Fontana, che incappano in una brutta storia - attualmente ancora in corso, dal punto di vista giudiziario - riguardo l' uso di alcuni fondi della Fondazione che sarebbero stati usati per finanziare un' emittente privata per attività che esulavano quelle della stessa emittente.
In Aler Milano Pallino viene riconfermato «membro esterno con funzioni di presidente» dell' Organismo di Vigilanza a 25 mila euro l' anno più iva «e oneri accessori di legge, onnicomprensivo di eventuali rimborsi spese» (che spettano anche a Marsico).
Le nomine di Marsico e Pallino cadono in un momento delicato non solo per l' emergenza Covid, ma anche perché pochi giorni dopo «Report» tirerà fuori la storia dei camici, vicenda in cui Fontana ora è indagato.
«Questo è il modo in cui la Lega opera in Lombardia», commenta il consigliere regionale del Partito Democratico Pietro Bussolati. «Un vero e proprio "Sistema Lega" inaccettabile, in cui vengono nominati sempre gli stessi.
Aler dovrebbe impegnarsi a rendere vivibili le case popolari, invece si impegna solo a compiacere Fontana con le nomine del suo ex socio e di altre figure già contestate sul territorio. Mi chiedo quale libertà di giudizio avranno Marsico e Pallino su Aler». Fonte: qui
NON FU DONAZIONE: FONTANA SEMPRE PIU’ NEI GUAI PER LO SCANDALO CAMICI. L’IPOTESI DEI PM: DA UN WHATSAPP LA RIPROVA DI UN "ACCORDO PREORDINATO" TRA IL COGNATO DEL GOVERNATORE E LA CENTRALE ACQUISTI DELLA REGIONE LOMBARDIA
TUTTE LE CONTRADDIZIONI DEL GOVERNATORE
SUL CONTO ESTERO SCUDATO FONTANA SOSTIENE CHE SI TRATTI DI UN’EREDITA’ DEI GENITORI. MA ALLORA PER QUALE MOTIVO QUESTI SOLDI SONO STATI SCHERMATI PER ANNI CON UN TRUST ALLE BAHAMAS?
SALVINI CHIAMA IL GOVERNATORE, CHE NELLE SCORSE ORE HA PENSATO DI LASCIARE, E PRETENDE UN CHIARIMENTO…
Luigi Ferrarella per corriere.it
Sono un messaggio whatsapp delle 9 del mattino del 20 maggio, e un anticipo di 2 ore, a fondare la convinzione dei pm di «un preordinato inadempimento» contrattuale «per effetto di un accordo retrostante» tra la Regione Lombardia e l’imprenditore varesino Andrea Dini (fratello della moglie del presidente della giunta regionale Attilio Fontana), che il 16 aprile era stato affidatario diretto con la propria «Dama spa» di una commessa da 513.000 euro per la fornitura di 75.000 camici e 7.000 set sanitari alla centrale acquisti regionale «Aria spa» diretta da Filippo Bongiovanni.
La «fornitura» cambia il 20 maggio
La convinzione è che il suo improvviso tramutare il 20 maggio la «fornitura» in «donazione» — limitata però ai 49.000 camici e 7.000 set sanitari sino allora già forniti, e senza più ulteriore consegna alla Regione dei restanti 25.000 camici pur pattuiti all’inizio dal contratto — sia stata non una sua scelta generosa (per quanto magari affannata dopo la richiesta di Fontana il 17 maggio di soprassedere ai pagamenti per non alimentare polemiche su conflitto di interessi), ma un trucco pianificato sulla scorta di «una rassicurazione ottenuta per il tramite di un accordo stabilito altrove».
Sinora, infatti, si credeva che l’ipotesi di reato di «frode in pubbliche forniture» (contestata ai tre) valorizzasse il fatto che, dopo la donazione, Dini avesse cercato di rivendere i 25.000 camici per rientrare in parte del mancato profitto al quale aveva rinunciato con la mail delle ore 11.07 del 20 maggio ad «Aria spa»: «Come anticipato per le vie brevi, la presente per comunicare che abbiamo deciso di trasformare il contratto di fornitura in donazione. Certi che apprezzerete la nostra decisione, vi informiamo che consideriamo conclusa la nostra fornitura».
Ma ora in mano ai pm c’è un whatsapp di Dini («Ciao, abbiamo ricevuto una bella partita di tessuto per camici. Li vendiamo a 9 euro, e poi ogni 1000 venduti ne posso donare 100») nel quale alle ore 8.58 di quel 20 maggio, due ore prima di formulare per la prima volta l’offerta alla Regione di trasformare la fornitura in parziale donazione e contestuale riduzione della restante fornitura, Dini già «offriva in vendita» alla interlocutrice commerciale E.R. «i camici non consegnati ad Aria spa, a riprova di una rassicurazione ottenuta per il tramite di un accordo divisatosi aliunde».
Il sequestro dei 25mila camici
Il giuridichese è orribile, ma vuol dire che, se Dini cercava di vendere i 25.000 camici già due ore prima di proporre alla Regione la donazione, e dunque a maggior ragione senza nemmeno sapere se la Regione l’avrebbe poi accettata (cosa che formalmente non accadrà mai), era perché Dini era già sicuro, per sottostanti accordi con qualcuno in Regione, di poter contare sul fatto che la Regione non pretendesse più i 25.000 camici restanti.
Ovvio che il whatsapp avrebbe questo valore solo se offerti fossero davvero stati quei camici della fornitura regionale, e non altri: ascoltata come teste, il 18 giugno la donna ha rafforzato questa interpretazione dei pm, aggiungendo che invece in aprile Dini le aveva detto «di dover vendere alla Regione» in forza di «un contratto in via esclusiva». Il sequestro probatorio in «Dama spa» dei 25.000 camici «corpo del reato» (proprio quelli del lotto regionale) non impensierisce il legale di Dini, Giuseppe Iannaccone, anzi «contento che i pm abbiano fatto queste verifiche» perché «dimostrano che i camici sono sempre stati in magazzino e mai c’è stata alcuna rivendita. Confido che questi accertamenti possano accelerare le indagini e chiarire ciò che io so molto bene, e cioé che Dini è una persona specchiata».
Il bonifico mancato
Sul tentativo di Fontana di «risarcire» il cognato il 19 maggio con un bonifico di 250.000 euro, la newsletter Domani inquadra la tecnica dell’operazione «segnalata sospetta» da Unione Fiduciaria e bloccata: dal conto svizzero Ubs «a nome della fiduciaria italiana» a «un conto omnibus intestato alla fiduciaria presso la Banca Popolare di Sondrio», e da qui alla società di Dini. Senza mai che Fontana comparisse in «un trasferimento formalmente disposto da una società fiduciaria (ma di fatto da Fontana) tramite un’operazione domestica (ma di fatto proveniente da un conto estero)».
ATTILIO FONTANA E LA FIGLIA MARIA CRISTINA
LE CONTRADDIZIONI
GIUSEPPE SCARPA per il Messaggero
IL FOCUS ROMA Contraddizioni. Mezze verità. Inesattezze. Insomma bugie. Se la somma delle incongruenze raccontate dal governatore della Lombardia Attilio Fontana avrà come risultato definitivo l'incriminazione da parte della procura di Milano, lo si vedrà nelle prossime settimane. Ad oggi, infatti, il numero uno del Pirellone sconta un'indagine per frode in pubbliche forniture. Tuttavia ciò che adesso rileva è il qui ed ora. Se le menzogne non sono sempre sanzionate dal codice penale hanno invece un peso politico.
C'è in ballo la credibilità dell'uomo al vertice della più produttiva e ricca regione d'Italia. Le affermazioni di Fontana vacillano paurosamente, smentite dai fatti o dallo stesso governatore nel giro di poche ore o di qualche giorno al massimo. Ecco, perciò, un riassunto delle principali contraddizioni in cui è incappato l'esponente delle Lega sul caso dei camici anti-covid ceduti da Dama, la società del cognato, Andrea Dini, alla Lombardia.
LE CONTRADDIZIONI L'8 giugno Fontana afferma: «Nel caso dell'azienda di mio cognato i camici sono stati donati». È una mezza verità. Il governatore, infatti, messo alle strette dopo l'indagine giornalistica di Report impone il dietrofront al parente che inizialmente quei camici li stava vendendo alla Regione. Tre episodi smentiscono la versione di Fontana, il primo: Dini aveva inviato una mail ad Aria, la centrale d'acquisti della Lombardia, con le tariffe proposte, 6 euro a camice. La seconda, lo stesso governatore il 19 maggio bonifica 250 mila euro al cognato, forse per i sensi di colpa dovuti alla mancata vendita trasformata in donazione forzata.
INCHIESTA DI REPORT SU CAMICI ALLA REGIONE LOMBARDIA
Inoltre ad indebolire il concetto che si tratti di un autentico regalo c'è un altro aspetto: i camici da consegnare erano 75 mila, ma Dama ne conferisce 50mila alla Regione, gli altri 25mila cerca di venderli a 9 euro a pezzo ad una Rsa. Sempre i primi di giugno, il 7, Fontana mette in fila una serie di affermazioni che poi vengono sconfessate: «Non sapevo nulla della procedura attivata da Aria spa e non sono mai intervenuto in alcun modo». Invece non è così e il governatore il 27 luglio afferma:
«Dei rapporti negoziali a titolo oneroso tra Dama (società del cognato, ndr) e Aria non ho saputo fino al 12 maggio scorso». Insomma confuta sé stesso. Ma c'è di più, perché anche quest' ultima versione ha degli elementi, per così dire, di debolezza. A contestare la data del 12 maggio, giorno in cui Fontana ritiene di essere stato informato dell'affaire che riguardava l'azienda di Dini, è lo stesso ex numero uno di Aria, Filippo Bongiovanni: il dg ha spiegato ai pm di aver comunicato dell'intera faccenda la segreteria del governatore il 10 maggio. Perciò due giorni prima rispetto a quanto sostenuto dal numero uno del Pirellone.
INCHIESTA DI REPORT SU CAMICI ALLA REGIONE LOMBARDIA
CONTO IN SVIZZERA I guai però per Fontana non finiscono qui. Il bonifico da 250 mila euro al cognato (mai perfezionato per un allert dell'antiriciclaggio) ha scoperchiato la storia del tesoretto del governatore in Svizzera nella banca Ubs. Denari scudati nel 2015 che oggi ammontano a 4,4 milioni di euro. Cinque anni fa il conto superava i 5 milioni di euro. Ebbene il governatore sostiene si tratti dell'eredità lasciata dai genitori. Per Fontana non ci sono dubbi, non sono riserve frutto di evasione fiscale da parte del padre o della madre. Ma allora per quale motivo questi soldi sono stati schermati per anni con un trust alle Bahamas? Una domanda a cui il governatore ha risposto sostenendo che si tratta di «un conto che avevano i miei genitori, una cosa purtroppo (portare i soldi all'estero, ndr) di moda a quei tempi». E sempre su quel deposito milionario Fontana compie un altro scivolone: «Era un conto non operativo da decine di anni, penso almeno dalla metà degli anni Ottanta».
Ebbene nella newsletter del quotidiano Domani si legge che tra il 2009 e il 2013 ci sono stati diversi grossi movimenti di denaro sul conto. Insomma si tratterebbe di un'altra contraddizione. Disattenzioni sul tesoretto svizzero che in passato sono già costate a Fontana un multa da mille euro da parte dell'Anac: sanzione per omessa dichiarazione dello stato patrimoniale nel 2017.
In pratica il presidente di Regione Lombardia venne multato per non aver fornito al Comune di Varese - di cui era sindaco fino al giugno 2016 - lo stato patrimoniale relativo al 2015, da cui sarebbe risultata la nuova disponibilità, 5 milioni di euro, che era stata sanata in rientro dalla Svizzera utilizzando lo scudo fiscale. Un'eredità che adesso può costare a Fontana il posto di governatore.
ATTILIO TENTATO DALL'ADDIO
EMILIO PUCCI per il Messaggero
Si sono sentiti anche ieri. Nei giorni scorsi Fontana per un attimo ha pensato di lasciare, amareggiato per gli attacchi personali. Ma Salvini gli ha ripetuto nuovamente di andare avanti, di non farsi intimorire da quella che considera una vera e propria macchina del fango in movimento.
ROBERTO MARONI ATTILIO FONTANA MATTEO SALVINI
Il segretario difende il governatore lombardo a spada tratta ma riferisce un big della Lega ha voluto un chiarimento, un quadro ben definito per non trovarsi sui giornali nuovi particolari dell'inchiesta e conoscere tutti i risvolti giudiziari. Insomma da un lato il leader del partito di via Bellerio lo invita a resistere, dall'altro vuole spiegazioni per capire in maniera completa ogni aspetto su cui la magistratura sta indagando. Con il convincimento che il caso camici non porterà a nulla.
Tra i lumbard però il malessere aumenta. «Avrebbe dovuto evitare», dice un alto dirigente, «sarà anche un avvocato e non un politicante ma il suo comportamento è stato sconveniente», ammette un altro. Il timore è uno solo: «Nei sondaggi caliamo perché osserva un deputato di primo piano perdiamo consensi in Lombardia. Tuttavia in questo momento non possiamo fare nulla, né un rimpasto né tantomeno pensare ad un commissariamento». Il danno d'immagine ecco la consapevolezza comune nel partito c'è ma la necessità è di respingere «la tempesta perfetta».
Con Salvini che oggi dovrebbe finire sotto processo per la vicenda Open arms e le altre vicende ancora aperte, l'assedio rischia di completarsi. In tanti nel Carroccio ricordano che la scelta di Fontana per la candidatura della regione è stata consigliata a Salvini da Giorgetti.
«Io mi sono fatto l'idea che Fontana non sapeva nulla e quando è venuto a conoscenza della storia ha detto pago tutto io», confida parlando del caso camici il numero due della Lega che asseconda la tesi dell'operazione «politico-mediatica». «In questo momento aggiunge - tutti attaccano la Lega e intanto Conte si è preso i pieni poteri di cui parlava Salvini... (…)
Fonte: qui
Nessun commento:
Posta un commento