LA RAGAZZA SI TOCCA PIÙ VOLTE LA PANCIA, UN GESTO CHE FANNO SPESSO LE DONNE IN DOLCE ATTESA
SI SA CHE È STATA COSTRETTA A SPOSARE UNO DEI CARCERIERI, TANTO DA NON ESSERSI VOLUTA CAMBIARE LA TUNICA DEI COLORI DELL'ISLAM CON CUI È SCESA DALL'AEREO
FONTI INVESTIGATIVE HANNO CONFERMATO CHE SILVIA ROMANO SI È CONVERTITA ALL'ISLAM: LA CONVERSIONE POTREBBE ESSERE FRUTTO "DELLA CONDIZIONE PSICOLOGICA IN CUI SI È TROVATA DURANTE IL RAPIMENTO".
MA LEI PRECISA: "STO BENE FISICAMENTE E MENTALMENTE”
La cooperante italiana Silvia Romano dopo essere stata liberata ha detto di essersi convertita all'Islam. Quando gli 007 italiani l'hanno prelevata nello scambio con i rapitori aveva il capo coperto e gli abiti tradizionali delle donne somale, e quando è stata portata nell'ambasciata italiana in Somalia avrebbe detto di non volersi cambiare d'abito perché è "una convertita", spiega il Corriere della Sera. La ragazza avrebbe poi detto di voler parlare con la madre per spiegarle tutto. Da chiarire anche il caso del riscatto che secondo quanto si apprende sarebbe stato pagato per il rilascio della cooperante rapita oltre un anno e mezzo fa.
La notizia dell'adesione all'Islam della giovane dopo mesi di prigionia jihadista era iniziata a circolare mesi fa quando si era ipotizzato che avesse sposato uno dei carcerieri. Silvia Romano parlerà presto anche di questo con i magistrati. Sarà ascoltata nel pomeriggio dal pm della Procura di Roma Sergio Colaiocco e dagli ufficiali dell’antiterrorismo del Raggruppamento operativo speciale dell'Arma dei Carabinieri nella caserma dei Ros della capitale.
Dopo l'arrivo in Italia all'aeroporto di Ciampino Silvia Romano, liberata ieri in Somalia, sarà sentita dagli inquirenti, che sulla sua scomparsa avevano aperto un fascicolo per sequestro di persona per finalità di terrorismo, per ricostruire le varie fasi del rapimento. Il colloquio con i pm verrà effettuato nel rispetto delle normative legate all'emergenza legata al coronavirus. La cooperante che collaborava con la onlus marchigiana "Africa Milele" era stata rapita più di un anno e mezzo fa, il 20 novembre 2018 da un commando di uomini armati nel villaggio di Chakama, a circa 80 chilometri a ovest di Malindi, in Kenya mentre seguiva un progetto di sostegno all'infanzia.
All'arrivo a Ciampino la 25enne, vestita con il velo e l'abito tradizionale islamico, è stata accolta dal premier Giuseppe Conte e dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio e si è abbandonata a un lungo abbraccio con la famiglia.
"Non ne abbiamo parlato, il fatto che non abbia voluto cambiare gli abiti che aveva può significare molte cose, una consuetudine acquisita in questi mesi, non necessariamente motivazioni di altro tipo". Così l’ambasciatore italiano in Somalia, Alberto Vecchi, ha risposto all’Adnkronos alla domanda se gli risulti che Silvia Romano si sia convertita all'Islam e che per questo abbia voluto continuare a indossare gli abiti tradizionali somali che aveva al momento della liberazione. L’ambasciatore ribadisce poi di essere rimasto colpito dalla sua forza d’animo, "questa mattina era tutta sorridente, contenta, ha reagito molto bene e ha raccontato di aver dormito benissimo nella stanzetta della foresteria dell’ambasciata che le abbiamo messo a disposizione". E poi ieri sera "abbiamo mangiato la pizza che lei aveva chiesto, non era il massimo, abbiamo fatto quello che si poteva", conclude Vecchi.
Fonte: Il Tempo
IL RUOLO DEL QATAR E QUELLO DELLA TURCHIA, I TRE VIDEO E LA TRATTATIVA GIOCATA SEMPRE SUL RIALZO DEL PREZZO: COM’È STATA LIBERATA SILVIA ROMANO?
A RAPIRLA IL 18 NOVEMBRE 2018 NON FURONO CRIMINALI LOCALI, ERA TUTTO PIANIFICATO DAI TERRORISTI DI AL SHABAAB: “MI HANNO DATO DEI VESTITI, POI MI HANNO TAGLIATO I CAPELLI”. UN MESE DOPO, MENTRE TUTTI LA CERCANO IN KENYA, È GIÀ IN SOMALIA, E GLI ESTREMISTI…
Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
«L' operazione è conclusa, ti liberiamo». È il 5 maggio 2020, il carceriere entra nella stanza di Silvia Romano. Le consegna un vestito e appena un' ora dopo inizia il viaggio: tre giorni a bordo di un trattore per arrivare sul luogo concordato per la consegna dell' ostaggio. Venerdì sera la giovane volontaria è al sicuro in ambasciata a Mogadiscio.
Nulla sa della contropartita versata ai sequestratori, di quella triangolazione tra Italia, Turchia e Qatar che ha consentito di chiudere la partita con il gruppo fondamentalista che l' ha tenuta prigioniera per 18 mesi. Su quel quaderno trasformato nel diario del suo incubo Silvia annotava ogni dettaglio. E adesso sono proprio i dettagli a comporre il quadro di una trattativa giocata sempre sul rialzo del prezzo.
Quando il 18 novembre 2018 Silvia viene catturata nel villaggio di Chakama in Kenya da tre uomini armati, si accredita la matrice dei criminali locali. E invece è stato tutto pianificato, sono i terroristi ad aver ordinato il sequestro. Fanno un primo tratto di strada in moto, si addentrano nella foresta. «Mi hanno dato dei vestiti, un paio di pantaloni, una maglietta e un maglione. Poi mi hanno tagliato i capelli. Dovevamo camminare tra i rovi, mi hanno detto che era meglio».
Un mese dopo, mentre tutti la cercano in Kenya, Silvia è già in Somalia. Gli estremisti hanno già pronte le condizioni per ottenerne il rilascio. Soldi, molti soldi. Da quel momento cominciano a giocare sulla paura, diffondono notizie facendo credere che Silvia sia morta. Prima viene detto che è stata coinvolta in una sparatoria, poi che potrebbe essere rimasta vittima di un' infezione a un piede che non si è riusciti a curare. In Kenya la cercano con i droni e con le battute nella foresta. Più volte la polizia locale annuncia che «la liberazione della cooperante italiana è imminente». Ma è soltanto un bluff. In realtà Silvia è lontana e ha cambiato almeno due covi. A maggio 2019, quando arriva il primo video per provare che è viva, l' intelligence si fa portavoce della risposta del governo italiano: trattiamo le condizioni.
«Ero tenuta in ostaggio da sei persone. Arrivavano a gruppi di tre. Avevano sempre il volto coperto ma con il tempo ho imparato a capire le differenze tra loro. Soltanto uno parlava inglese, e credo fosse il capo. È stato lui a ordinare che cosa dovevo dire mentre mi riprendeva con il telefonino. Il mio nome e la data del giorno. Io tenevo il tempo scrivendo il diario».
Su quel quaderno Silvia annota quel che accade quotidianamente. I mesi trascorrono, e lei adesso ricorda «quel momento in cui ho sentito il bisogno di credere in qualcosa. Ho chiesto di leggere e mi hanno portato il Corano. Così ho trovato conforto». Così è diventata Aisha. Si sposta ancora, la fanno viaggiare a bordo di macchine e camioncini. La chiudono in una stanza dove le portano da mangiare. È sempre da sola.
«Però sentivo vociare nelle altre stanze, il richiamo del muezzin, quindi credo fossero villaggi». Ad agosto il capo del gruppo le chiede di girare un altro video. È la seconda prova in vita chiesta dall' intelligence . Il 19 settembre Il Giornale pubblica la notizia che «Silvia è stata costretta al matrimonio islamico con uno dei suoi aguzzini, obbligata alla conversione». Dopo mesi di silenzio arriva la conferma che è nelle mani dei fondamentalisti. Sale l' angoscia. E anche il prezzo per la sua liberazione.
I negoziatori fanno capire che si trova a sud della Somalia, in quell' area del Jubaland dove gli estremisti sono gli unici padroni. Gli 007 dell' Aise guidati dal generale Luciano Carta lavorano in collaborazione con i servizi segreti somali, ma è soprattutto sulla Turchia che si fa affidamento. Su quei contatti che certamente si sono rivelati decisivi per tenere aperto il canale e riportare Silvia a casa. L' ultimo video del 17 gennaio 2020 arriva in Italia a metà aprile. Ma non basta, in questi tre mesi di lockdown mondiale da coronavirus Silvia potrebbe essere morta.
La carta decisiva, come del resto è accaduto anche in altri sequestri, si gioca attraverso il Qatar. È lì, tra fine aprile e i primi giorni di maggio, che i mediatori consegnano l' ultima prova in vita e ottengono il via libera al pagamento del riscatto. Poi viene dato il segnale che la partita è chiusa. Martedì scorso il capo della banda entra nella prigione dove Silvia è segregata.
Sarà proprio lei a ricordare quel momento domenica pomeriggio, a Roma, nella caserma dei carabinieri dove è stata portata per l' interrogatorio dopo il rientro in Italia. La voce di Silvia tradisce emozione mentre dà forma al ricordo di fronte al pubblico ministero Sergio Colaiocco e al colonnello del Ros Marco Rosi. «Mi ha detto "è finita, ti liberiamo". Poi mi ha caricato su un trattore dove c' era un altro uomo e abbiamo viaggiato per tre giorni».
Due notti all' addiaccio, tre giorni prima della fine del dramma. Venerdì pomeriggio, a una trentina di chilometri da Mogadiscio, Silvia scende dal trattore e viene caricata su un auto dove l' aspettano altri due uomini. Sono i rappresentanti dello Stato che la porteranno in ambasciata. Componenti della squadra che in questi 18 mesi non ha mai smesso di cercarla. Mentre entrano nella sede diplomatica vengono sparati alcuni colpi di mortaio. Scatta l' allarme, ma Silvia è ormai in salvo. All' alba comincia il viaggio verso casa dove arriva ieri sera. E in quell' appartamento dove si chiude con la mamma e la sorella comincia la nuova vita di Aisha. Fonte: qui
Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
«L' operazione è conclusa, ti liberiamo». È il 5 maggio 2020, il carceriere entra nella stanza di Silvia Romano. Le consegna un vestito e appena un' ora dopo inizia il viaggio: tre giorni a bordo di un trattore per arrivare sul luogo concordato per la consegna dell' ostaggio. Venerdì sera la giovane volontaria è al sicuro in ambasciata a Mogadiscio.
Nulla sa della contropartita versata ai sequestratori, di quella triangolazione tra Italia, Turchia e Qatar che ha consentito di chiudere la partita con il gruppo fondamentalista che l' ha tenuta prigioniera per 18 mesi. Su quel quaderno trasformato nel diario del suo incubo Silvia annotava ogni dettaglio. E adesso sono proprio i dettagli a comporre il quadro di una trattativa giocata sempre sul rialzo del prezzo.
Quando il 18 novembre 2018 Silvia viene catturata nel villaggio di Chakama in Kenya da tre uomini armati, si accredita la matrice dei criminali locali. E invece è stato tutto pianificato, sono i terroristi ad aver ordinato il sequestro. Fanno un primo tratto di strada in moto, si addentrano nella foresta. «Mi hanno dato dei vestiti, un paio di pantaloni, una maglietta e un maglione. Poi mi hanno tagliato i capelli. Dovevamo camminare tra i rovi, mi hanno detto che era meglio».
Un mese dopo, mentre tutti la cercano in Kenya, Silvia è già in Somalia. Gli estremisti hanno già pronte le condizioni per ottenerne il rilascio. Soldi, molti soldi. Da quel momento cominciano a giocare sulla paura, diffondono notizie facendo credere che Silvia sia morta. Prima viene detto che è stata coinvolta in una sparatoria, poi che potrebbe essere rimasta vittima di un' infezione a un piede che non si è riusciti a curare. In Kenya la cercano con i droni e con le battute nella foresta. Più volte la polizia locale annuncia che «la liberazione della cooperante italiana è imminente». Ma è soltanto un bluff. In realtà Silvia è lontana e ha cambiato almeno due covi. A maggio 2019, quando arriva il primo video per provare che è viva, l' intelligence si fa portavoce della risposta del governo italiano: trattiamo le condizioni.
«Ero tenuta in ostaggio da sei persone. Arrivavano a gruppi di tre. Avevano sempre il volto coperto ma con il tempo ho imparato a capire le differenze tra loro. Soltanto uno parlava inglese, e credo fosse il capo. È stato lui a ordinare che cosa dovevo dire mentre mi riprendeva con il telefonino. Il mio nome e la data del giorno. Io tenevo il tempo scrivendo il diario».
Su quel quaderno Silvia annota quel che accade quotidianamente. I mesi trascorrono, e lei adesso ricorda «quel momento in cui ho sentito il bisogno di credere in qualcosa. Ho chiesto di leggere e mi hanno portato il Corano. Così ho trovato conforto». Così è diventata Aisha. Si sposta ancora, la fanno viaggiare a bordo di macchine e camioncini. La chiudono in una stanza dove le portano da mangiare. È sempre da sola.
«Però sentivo vociare nelle altre stanze, il richiamo del muezzin, quindi credo fossero villaggi». Ad agosto il capo del gruppo le chiede di girare un altro video. È la seconda prova in vita chiesta dall' intelligence . Il 19 settembre Il Giornale pubblica la notizia che «Silvia è stata costretta al matrimonio islamico con uno dei suoi aguzzini, obbligata alla conversione». Dopo mesi di silenzio arriva la conferma che è nelle mani dei fondamentalisti. Sale l' angoscia. E anche il prezzo per la sua liberazione.
I negoziatori fanno capire che si trova a sud della Somalia, in quell' area del Jubaland dove gli estremisti sono gli unici padroni. Gli 007 dell' Aise guidati dal generale Luciano Carta lavorano in collaborazione con i servizi segreti somali, ma è soprattutto sulla Turchia che si fa affidamento. Su quei contatti che certamente si sono rivelati decisivi per tenere aperto il canale e riportare Silvia a casa. L' ultimo video del 17 gennaio 2020 arriva in Italia a metà aprile. Ma non basta, in questi tre mesi di lockdown mondiale da coronavirus Silvia potrebbe essere morta.
La carta decisiva, come del resto è accaduto anche in altri sequestri, si gioca attraverso il Qatar. È lì, tra fine aprile e i primi giorni di maggio, che i mediatori consegnano l' ultima prova in vita e ottengono il via libera al pagamento del riscatto. Poi viene dato il segnale che la partita è chiusa. Martedì scorso il capo della banda entra nella prigione dove Silvia è segregata.
Sarà proprio lei a ricordare quel momento domenica pomeriggio, a Roma, nella caserma dei carabinieri dove è stata portata per l' interrogatorio dopo il rientro in Italia. La voce di Silvia tradisce emozione mentre dà forma al ricordo di fronte al pubblico ministero Sergio Colaiocco e al colonnello del Ros Marco Rosi. «Mi ha detto "è finita, ti liberiamo". Poi mi ha caricato su un trattore dove c' era un altro uomo e abbiamo viaggiato per tre giorni».
Due notti all' addiaccio, tre giorni prima della fine del dramma. Venerdì pomeriggio, a una trentina di chilometri da Mogadiscio, Silvia scende dal trattore e viene caricata su un auto dove l' aspettano altri due uomini. Sono i rappresentanti dello Stato che la porteranno in ambasciata. Componenti della squadra che in questi 18 mesi non ha mai smesso di cercarla. Mentre entrano nella sede diplomatica vengono sparati alcuni colpi di mortaio. Scatta l' allarme, ma Silvia è ormai in salvo. All' alba comincia il viaggio verso casa dove arriva ieri sera. E in quell' appartamento dove si chiude con la mamma e la sorella comincia la nuova vita di Aisha. Fonte: qui
''LA FARNESINA VUOLE CHIEDERE I DANNI ALLA ONG CHE HA MANDATO SILVIA ROMANO IN AFRICA''.
OVVIAMENTE NON PUÒ PRETENDERE QUELLI DEL RISCATTO, PERCHÉ UFFICIALMENTE NON È STATO PAGATO, MA QUELLI DELLE SPESE PER VIAGGI E OPERAZIONI DEI SERVIZI SEGRETI''
FACCI: ''DENUNCIATE LA ONG, CHIUDETELA E VIETATE QUESTI INCOSCIENTI VIAGGI CHE FINISCONO SOLO PER FINANZIARE LA JIHAD''
ONG NEL MIRINO DEI GIUDICI "NON HA VALUTATO I RISCHI"
Grazia Longo per ''la Stampa''
Il sequestro di Silvia Romano si sarebbe potuto evitare? E ancora: qualcuno dovrà rispondere per i soldi spesi dallo Stato durante le indagini e le trattative? L' associazione onlus marchigiana Africa Milele, per conto della quale la venticinquenne milanese prestava volontariato nel villaggio di Chakama in Kenya, finisce nel mirino della Procura di Roma e del Ministero degli Esteri.
Da un lato, il pool antiterrorismo guidato dal pm Sergio Colaiocco punta a verificare se alla cooperante erano state garantite condizioni di sicurezza dall' Africa Milele. Dall' altro, la Farnesina potrebbe chiedere all' Ong i danni economici in sede civile.
Non certo per il riscatto, che il nostro governo nega di aver versato - mentre fonti dell' intelligence somala smentiscono e parlano di 1 milione e mezzo al rilascio più i pagamenti durante il passaggio di informazioni - quanto per le spese sostenute per i vari viaggi dei nostri 007 e degli inquirenti.
Infatti, in base all' articolo 19 bis della legge 43 del 2015, a proposito «dell' incolumità dei cittadini italiani che intraprendono viaggi in Paesi stranieri, resta fermo che le conseguenze dei viaggi ricadono nell' esclusivo responsabilità individuale di chi assume le decisione di intraprendere o di organizzare i viaggi stessi». Ma il condizionale resta d' obbligo, innanzitutto per ragioni che afferiscono alla sfera politica e all' opportunità di creare un precedente nei casi di sequestri simili a quello di Silvia Romano. Inoltre la ragazza non era dipendente, ma una volontaria dell' onlus di Fano.
E poi c' è l' indagine penale. La Procura di Roma, oggi diretta da Michele Prestipino, è quella che per la prima volta è riuscita a inchiodare alle proprie responsabilità i vertici della Bonatti spa di Parma, dopo il sequestro, nel 2015, di quattro tecnici (due dei quali persero la vita) in Libia. Al processo di primo grado sono stati condannati cinque persone tra cui i primi dirigenti della società. Il tribunale ha accolto la tesi del pm Colaiocco per il quale il rapimento dei quattro tecnici si sarebbe potuto evitare se l' impresa avesse adottato le misure di sicurezza necessarie.
Certo, in quel caso si trattava di una società con lavoratori dipendenti, mentre nella circostanza di Silvia Romano siamo di fronte ad un' associazione di volontariato. Ma gli inquirenti vogliono comunque verificare se la ragazza operasse in condizioni di sicurezza o meno.
La presidente dell' Africa Milele, assicura che non mancava la salvaguardia e la tutela della persona. «Ci tengo a precisare che Chakama non era zona rossa e che Silvia non è stata mai lasciata sola - esordisce -. È partita dall' Italia il 5 novembre con due volontari. Ad aspettarli inoltre c' era il mio compagno, che è il referente in Kenya dei progetti e della sicurezza, e un altro addetto alla sicurezza, entrambi Masai. I due volontari partiti con Silvia dovevano rientrare il 19 novembre e lei doveva andare con loro a Malindi per accogliere i nuovi che però hanno ritardato di due giorni perché avevano trovato un volo più economico. Così Silvia per caso è rimasta sola a Chakama. Il 20 è stata rapita».
Per Silvia, tra l' altro, non era stata ancora stipulata l' assicurazione che l' Ong in genere attiva e che copre da infortuni e malattia «perché non c' era stato il tempo materiale».
In questi mesi, precisano gli inquirenti, Lilian Sora è stata più volte ascoltata dai carabinieri del Ros, sia su sua richiesta sia su convocazione, ma ha fornito notizie «non di prima mano» e sulle quali si stanno ancora cercando riscontri.
Sul fronte delle indagini il pm Sergio Colaiocco attende risposte dalle autorità somale dopo l' invio di una rogatoria internazionale. Da Mogadiscio fanno sapere che sulla vicenda è stata avviata una indagine e Sulaymaan Maxamed Maxmuud, giudice federale della Corte Suprema e procuratore generale della Repubblica federale della Somalia, ha chiesto ufficialmente «supporto all' Italia per le indagini e nello sviluppo della azione penale contro i sequestratori».
UN’INGENUA UMILIATA DALL’ISLAM. LO STATO CHIEDA I DANNI ALLE ONG
Filippo Facci per “Libero quotidiano”
C' è poco da aggiungere. Ma c' è molto da chiedersi. Lo Stato ha dato quattro milioni di euro a dei terroristi islamici (qualsiasi gruppo sia, sono jihadisti) per farci riavere una cittadina italiana di nome Silvia Romano, una lombarda un po' sciroccata che anni fa era partita per il Kenia ufficialmente per aiutare dei bambini di pelle scura ma che alla fine ha aiutato solo degli adulti di pelle scura cucinando per loro, e infine arricchendoli con il riscatto pagato, così da aiutarli virtualmente a farci la nostra pelle bianca.
È partita magra e vestita all' occidentale e dopo diciotto mesi è tornata cicciona e vestita con un barracano islamico verderame da passeggio perché, ecco, intanto si è convertita «per libera scelta» (dice lei, e ripetono i cretini) mentre la verità è che altrimenti i carcerieri l' avrebbero ammazzata. Con calma, ma l' avrebbero fatto. Lei, di ritorno, poteva cambiarsi, rimettersi degli abiti decenti prima di scendere dall' aereo e procedere alla sfilata di liberazione: se non l' ha voluto fare è stato per esibire la rinnovata condizione che intanto continua, ieri spiegavano che il palandrone non se l' era ancora tolto, avrà i ragni sotto. Ma scritta così è becera.
Allora citiamo un rispettato collega della Stampa, Domenico Quirico, che anni addietro si è ritrovato in condizioni analoghe, e ha spiegato come funziona. Un po' di legittimo terrore, di disorientamento, poi ti propongono cordialmente di cambiare il tuo nome e di assumerne uno musulmano. In pratica è un obbligo: ti lavorano l' anima con tiepidezza orientale mentre altri, più praticoni, si muovono per il riscatto ma senza fretta, perché il tempo fa crescere le azioni, permette di giocare al rialzo e al tempo stesso c' è da fare un lavoro complicato in cui loro bravissimi: salvare una miscredente dal peccato così da farle varcare lo stipato paradiso dei giusti. Per incassare c' è tempo, per ammazzarla pure.
Una nuova identità
Beh, succede che in genere accettano tutte. In genere subito. Una come Silvia Romano magari anche prima. Capiscono tutte che il loro vecchio nome non esiste più, mentre se accetti morbidamente una nuova e fluida identità (la cui ricerca è già spesso il fondamento della partenza e della fuga: la ricerca di un altrove che spinge tante novizie o novizi a partire alla cazzo) ecco che cessa di esistere anche ogni violenza, ogni malaria, ogni benda sugli occhi, ogni trasferimento terrorizzante. Ed è un sollevo immediato, per cominciare. La conversione, già. Mica l' hanno costretta. L' hanno scaraventata giù da un aereo e lei stava per fracassarsi al suolo, ma tirando una leva si sarebbe aperto un paracadute: è lei che ha tirato la leva, è stata una sua libera scelta, no?
Poi che fanno? Poco. E lentamente. Ti dicono che devi pregare: e che problema c' è. Tu preghi. Lo fai. Obbedisci. Se in un angoletto della tua corteccia cerebrale conservi una porzione di insincerità, cioè preservi l' auto-racconto secondo il quale stai solo fingendo, beh, in fondo a loro sai che gliene frega. Sanno che si consumerà a poco a poco, talvolta in un niente. Il lavaggio dei cervelli brevi ha tempi molto brevi, soprattutto se metti l' ammorbidente. Accettare la tua nuova condizione è come poter chiudere gli occhi e assopirsi dopo una tortura fatta di luce freddamente vivida: chi eri tu? Chiunque sia ora, tu, questa tua nuova identità sta già meglio. Non è una conversione: è un annullamento.
Siamo nella dimensione Jihad: le donne non esistono. Se esistono devono fabbricare figli da mandare al massacro, finire schiave in qualche mercato, farsi carne da penetrazione, finire lapidate per il singolo adulterio di adùlteri seriali e culturali, magari farsi esplodere e ringraziare per il privilegio, oppure, ecco: andarsela a cercare e farsi rapire come una deficiente partendo da quell' occidente dove chiamano «Stato» delle entità disposte a pagare per riavere - che spasso - una misera una donna, una inesauribile incubatrice di martiri.
Una misera donna che ha dovuto cancellare ogni memoria per sostituirla con una soffice violenza, l' unica che ora gli resta. Se le chiedi di cancellarla, non le resta niente. Come chi, sperduto per anni in una foresta, dapprima ti racconterebbe che è diventata un' animale, che qualsiasi bestia ora è diventata sua amica. Diamole tempo. E biasimiamo chi le vuole bene e basta, senza tirar fuori cazzate sulla libertà religiosa, per favore. Non c' era nessuna libertà. E quella non era religione. Povera ragazza.
Quella palandrana le andava tolta
Silvia Romano è uscita fiaccata e rincoglionita da una prigionia di un anno e mezzo e da pressioni che tutti i racconti del mondo non possono nemmeno farci immaginare, una che ora sorride perché sa di essere viva e salva (qui, in Italia) ma che andrebbe annoverata, almeno per ora, tra i soggetti incapaci di intendere e di volere.
Non riesce a smettere di sorridere perché è viva, e da quella bocca, intanto, lasciatela dire ogni cazzata che vuole. Non conta. Chi le voleva bene è chiaro che continua a volergliene. Chi manco la conosceva e straparla di libertà religiosa è roba da sanatorio, non c' è neanche da discutere.
Ma noi, lo Stato? Lo Stato fa lo Stato, anche questa è realpolitik, anche utilizzare i servizi segreti e buttare via soldi per una nostra cittadina, anche sporcarsi le mani e servirsi di un intermediatore scandaloso che intanto lasciava morire tre giornalisti in carcere come dei Bobby Sands: parliamo di Recep Tayyp Erdogan, uno che straparla di Europa e manda in giro la moglie col viso coperto. Le domande sono quelle di sempre: che dovremmo fare se rapissero una Silvia Romano alla settimana?
Sovvenzionare a vita il Jihad, istituire dei costosi Erasmus esistenziali per chiunque abbia problemi col proprio io, salvo vedercelo restituire lobotomizzato? Solo per Aldo Moro, in Italia, non si tratta? Lo Stato faccia lo Stato. Quella palandrana gliela dovevano togliere prima che scendesse dall' aereo. Al diavolo le Ong, al diavolo i viaggi organizzati dell' incoscienza. Fatelo pagare a Silvia Romano, il riscatto, o a chi ce l' ha mandata.
Fatele pagare, alle Ong, anche le perizie neurologiche che saranno sicuramente disposte. Si perdoni l' analogia alpinistica, ma un cretino che cerchi di scalare il Cervino, dal niente, poi i soccorsi dovrà pagarseli lui.
A meno, ecco, che sia iscritto al Cai. Ma lo Stato non è il Cai. Lo Stato non è un' assicurazione sull' idiozia. Io le montagne le scalo, ma non mi sono mai iscritto al Cai, e proprio per questo: perché voglio sentirmi italiano ma non per questo irresponsabile.
Chiusa la trascurabile analogia. A Silvia Romano, quella palandrana di merda, dovevano scagliarla giù dall' aereo. Altro che darle una scorta.
Fonte: qui
“QUELLO CHE SILVIA ROMANO FACEVA IN KENYA NON AVEVA NESSUN IMPATTO SU NESSUNO”
EDWARD LUTTWAK DICE QUELLO CHE MOLTI PENSANO: “LA RAGAZZA DOVEVA ANDARE
IN UN QUARTIERE DI NAPOLI A DARE UNA MANO E DOVE C'ERA BISOGNO DI LEI. LE ONG? SONO UNA PIAGA, SONO FORMATE DA GIOVANOTTI SBANDATI
CHE VANNO A VANVERA NEL MONDO E METTONO NEI GUAI I GOVERNI
L’ITALIA
HA COLLABORATO COI PUZZOLENTI SERVIZI TURCHI, AVREBBERO DOVUTO SPUTARE
IN FACCIA A QUESTI SIGNORI”
“Anni
fa una brava persona è morta per salvare una donna andata in Iraq per
scrivere male dei soldati italiani in Iraq. Vorrei dire che gli
operativi dell’Aise sono operativi sul serio e chiunque critichi queste
cose, non deve criticare loro. I loro colleghi di altri servizi sono
molto operativi nei film, ma in pratica non sono operativi. Il peggior
aspetto di questo è la collaborazione con i servizi turchi, gli agenti
di Erdogan e dell’islamismo. Gli italiani avrebbero dovuto sputargli in
faccia, a questi del servizio turco. Questa è una cosa terribile”.
Lo
dice Edward Luttwak, politologo americano, a La Zanzara su Radio 24.
“Queste persone italiane che si auto nominano Ong – dice Luttwak - e
che vanno a mettersi nei guai, non hanno diritto di esigere questi
grandi sforzi. Più dei soldi c’è il rischio per il personale, che non
sono lì per fare le bambinaie di queste disgraziatissime persone che
vanno proprio lì dove c’è il pericolo. Vi assicuro che quello che questa
signora faceva in Kenya non aveva nessun impatto su nessuno.
Io
vi do una lista di quartieri a Napoli dove c’è un enorme bisogno di
lei…invece lei va a fare un’avventura personale e poi si fa salvare
dallo Stato italiano, e poi com’è successo quella volta con quelle due
disgraziatissime Simone, il padre diceva che se vogliono poi tornare in
Iran, non è che le blocco. Hanno il diritto di farlo. E così ogni volta
lo Stato italiano va lì e paga milioni”.
“Queste
Ong – aggiunge Luttwak - sono ragazze e ragazzi che vanno in giro con
Toyota Land Cruiser da 70.000 dollari, parlano a vanvera, non parlano la
lingua, non sanno fare sono alcune ong importanti accreditate? La
parola ong vuol dire non governativa. Vuol dire cioè che non è
sorvegliata da nessuno. Questi sono giovanotti e giovanotte che non
hanno una collocazione nella loro società, e sotto il nome di ong vanno a
vanvera nel mondo. Ero in Bolivia e nell’Amazzonia boliviana, ho la mia
fattoria di mucche. E vedo questi sbandati delle ong che vanno in giro a
fare programmi cretini e poi scompaiono. Raccolgono soldi da qualche
cretino e poi scompaiono. Sono una piaga”.
Silvia
Romano si vuol far chiamare Aisha: “Un po’ di rispetto, Aisha è la
moglie di Mohammed. L’ha sposata quando Aisha aveva sei anni, ma nella
biografia ufficiale spiegano che non ha consumato fino all’età di nove
anni. Quindi è un glorioso nome Aisha. Un orrore? No, è una cosa
bellissima. Adesso sento che questa vuole ritornare lì per farsi
catturare di nuovo per essere liberata di nuovo. E magari c’è un
genitore in giro, come ha fatto con le due disgraziatissime, che dice se
mia figlia vuole ritornare io non è che la blocco.
Se
dovremmo impedire a queste persone di tornare lì? No, no, bisogna
pubblicare una notizia oggi, in giro per il mondo, che se tu sei un
cittadino italiano, che ti chiami ong o non ti chiami ong, Ciro o Giro,
tu devi contattare il consolato italiano più vicino, e se il consolato
ti avvisa che è pericoloso essere dove sei, se tu non ritorni a casa il
consolato italiano non può più tutelarti”.
Molti
italiani sono rimasti infastiditi nel vedere la Romano vestita in
maniera islamica? Tu sei un razzista del peggior tipo, sei un anti
islamico. Lei si chiama Aisha che era la moglie di Mohammed. Che ha
sposato a sei anni, consumato a nove. Questa è una parte importante. Io
sto citando la biografia ufficiale del mondo religioso islamico. Lui ha
detto guarda che non sono un pedofilo perché non ci ho fatto niente fino
all’età di nove anni. Ma a me preoccupa solo un fatto, di aver
collaborato coi puzzolenti turchi, i peggiori turchi del mondo, ci sono
turchi belli e brutti. I più brutti sono quelli del servizio turco”. Fonte: qui
Silvia Romano è uscita fiaccata e rincoglionita da una prigionia di un anno e mezzo e da pressioni che tutti i racconti del mondo non possono nemmeno farci immaginare, una che ora sorride perché sa di essere viva e salva (qui, in Italia) ma che andrebbe annoverata, almeno per ora, tra i soggetti incapaci di intendere e di volere.
“QUELLO CHE SILVIA ROMANO FACEVA IN KENYA NON AVEVA NESSUN IMPATTO SU NESSUNO”
EDWARD LUTTWAK DICE QUELLO CHE MOLTI PENSANO: “LA RAGAZZA DOVEVA ANDARE IN UN QUARTIERE DI NAPOLI A DARE UNA MANO E DOVE C'ERA BISOGNO DI LEI. LE ONG? SONO UNA PIAGA, SONO FORMATE DA GIOVANOTTI SBANDATI CHE VANNO A VANVERA NEL MONDO E METTONO NEI GUAI I GOVERNI
L’ITALIA HA COLLABORATO COI PUZZOLENTI SERVIZI TURCHI, AVREBBERO DOVUTO SPUTARE IN FACCIA A QUESTI SIGNORI”
“Anni
fa una brava persona è morta per salvare una donna andata in Iraq per
scrivere male dei soldati italiani in Iraq. Vorrei dire che gli
operativi dell’Aise sono operativi sul serio e chiunque critichi queste
cose, non deve criticare loro. I loro colleghi di altri servizi sono
molto operativi nei film, ma in pratica non sono operativi. Il peggior
aspetto di questo è la collaborazione con i servizi turchi, gli agenti
di Erdogan e dell’islamismo. Gli italiani avrebbero dovuto sputargli in
faccia, a questi del servizio turco. Questa è una cosa terribile”.
Lo
dice Edward Luttwak, politologo americano, a La Zanzara su Radio 24.
“Queste persone italiane che si auto nominano Ong – dice Luttwak - e
che vanno a mettersi nei guai, non hanno diritto di esigere questi
grandi sforzi. Più dei soldi c’è il rischio per il personale, che non
sono lì per fare le bambinaie di queste disgraziatissime persone che
vanno proprio lì dove c’è il pericolo. Vi assicuro che quello che questa
signora faceva in Kenya non aveva nessun impatto su nessuno.
Io
vi do una lista di quartieri a Napoli dove c’è un enorme bisogno di
lei…invece lei va a fare un’avventura personale e poi si fa salvare
dallo Stato italiano, e poi com’è successo quella volta con quelle due
disgraziatissime Simone, il padre diceva che se vogliono poi tornare in
Iran, non è che le blocco. Hanno il diritto di farlo. E così ogni volta
lo Stato italiano va lì e paga milioni”.
“Queste
Ong – aggiunge Luttwak - sono ragazze e ragazzi che vanno in giro con
Toyota Land Cruiser da 70.000 dollari, parlano a vanvera, non parlano la
lingua, non sanno fare sono alcune ong importanti accreditate? La
parola ong vuol dire non governativa. Vuol dire cioè che non è
sorvegliata da nessuno. Questi sono giovanotti e giovanotte che non
hanno una collocazione nella loro società, e sotto il nome di ong vanno a
vanvera nel mondo. Ero in Bolivia e nell’Amazzonia boliviana, ho la mia
fattoria di mucche. E vedo questi sbandati delle ong che vanno in giro a
fare programmi cretini e poi scompaiono. Raccolgono soldi da qualche
cretino e poi scompaiono. Sono una piaga”.
Silvia
Romano si vuol far chiamare Aisha: “Un po’ di rispetto, Aisha è la
moglie di Mohammed. L’ha sposata quando Aisha aveva sei anni, ma nella
biografia ufficiale spiegano che non ha consumato fino all’età di nove
anni. Quindi è un glorioso nome Aisha. Un orrore? No, è una cosa
bellissima. Adesso sento che questa vuole ritornare lì per farsi
catturare di nuovo per essere liberata di nuovo. E magari c’è un
genitore in giro, come ha fatto con le due disgraziatissime, che dice se
mia figlia vuole ritornare io non è che la blocco.
Se
dovremmo impedire a queste persone di tornare lì? No, no, bisogna
pubblicare una notizia oggi, in giro per il mondo, che se tu sei un
cittadino italiano, che ti chiami ong o non ti chiami ong, Ciro o Giro,
tu devi contattare il consolato italiano più vicino, e se il consolato
ti avvisa che è pericoloso essere dove sei, se tu non ritorni a casa il
consolato italiano non può più tutelarti”.
Molti
italiani sono rimasti infastiditi nel vedere la Romano vestita in
maniera islamica? Tu sei un razzista del peggior tipo, sei un anti
islamico. Lei si chiama Aisha che era la moglie di Mohammed. Che ha
sposato a sei anni, consumato a nove. Questa è una parte importante. Io
sto citando la biografia ufficiale del mondo religioso islamico. Lui ha
detto guarda che non sono un pedofilo perché non ci ho fatto niente fino
all’età di nove anni. Ma a me preoccupa solo un fatto, di aver
collaborato coi puzzolenti turchi, i peggiori turchi del mondo, ci sono
turchi belli e brutti. I più brutti sono quelli del servizio turco”. Fonte: qui
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