IL VIRUS È STATO TROVATO NEL PARTICOLATO ATMOSFERICO E QUESTO POTREBBE AUMENTARE LA PERSISTENZA DEL VIRUS NELL’ATMOSFERA.
MA NON È DIMOSTRATO CHE SIA UNA TERZA VIA DEL CONTAGIO.
ALTRI STUDI HANNO IPOTIZZATO CHE IL CORONAVIRUS SIA PIÙ LETALE DOVE C’È INQUINAMENTO…
Cristina Marrone per corriere.it
La Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) annuncia che il coronavirus SARS-Cov-2 è stato ritrovato sul particolato (PM), le polveri sottili. «Questa prima prova apre la possibilità di testare la presenza del virus sul particolato atmosferico delle nostre città nei prossimi mesi come indicatore per rilevare precocemente la ricomparsa del coronavirus e adottare adeguate misure preventive prima dell’inizio di una nuova epidemia», anticipa il professor Alessandro Miani, presidente della Sima.
«Le prime evidenze relative alla presenza del coronavirus sul particolato provengono da analisi eseguite su 34 campioni di PM10 in aria ambiente di siti industriali della provincia di Bergamo, raccolti con due diversi campionatori d’aria per un periodo continuativo di 3 settimane, dal 21 febbraio al 13 marzo», spiega Leonardo Setti, coordinatore del gruppo di ricerca scientifica insieme a Gianluigi De Gennaro e a Miani.
La presenza del virus nel particolato
I campioni sono stati analizzati dall’Università di Trieste in collaborazione con i laboratori dell’azienda ospedaliera Giuliano Isontina, che hanno verificato la presenza del virus in almeno 8 delle 22 giornate prese in esame. I risultati positivi sono stati confermati su 12 diversi campioni per tutti e tre i marcatori molecolari, vale a dire il gene E, il gene N ed il gene RdRP, quest’ultimo altamente specifico per la presenza dell’RNA virale SARS-CoV-2» . Possiamo confermare di aver ragionevolmente dimostrato la presenza di RNA virale del SARS-CoV-2 sul particolato atmosferico rilevando la presenza di geni altamente specifici, utilizzati come marcatori molecolari del virus, in due analisi genetiche parallele”4, precisa Setti.
La persistenza del virus nell’aria
Secondo De Gennaro «questa è la prima prova che l’RNA del SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato in aria ambiente, suggerendo così che, in condizioni di stabilità atmosferica e alte concentrazioni di PM, le micro-goccioline infettate contenenti il coronavirus SARS-CoV-2 possano stabilizzarsi sulle particelle per creare dei cluster col particolato, aumentando la persistenza del virus nell’atmosfera come già ipotizzato sulla base di recenti ricerche internazionali. L’individuazione del virus sulle polveri potrebbe essere anche un buon marker per verificarne la diffusione negli ambienti indoor come ospedali, uffici e locali aperti al pubblico».
Una nuova via di contagio?
«La prova che l’RNA del SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato in aria ambiente non attesta ancora con certezza definitiva che vi sia una terza via di contagio», prosegue De Gennaro. «Tuttavia, occorre che si tenga conto nella cosiddetta Fase 2 della necessità di mantenere basse le emissioni di particolato per non rischiare di favorire la potenziale diffusione del virus». «È possibile che il particolato possa facilitare la diffusione del virus , può essere un trasportatore, ma non conosciamo la carica virale e quanto è efficace per contribuire davvero al contagio» sintetizza Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi di Milano.
Cosa dicono gli altri studi: non c’è univocità
Altri studi hanno ipotizzato che il coronavirus sia più letale dove c’è inquinamento. Secondo un’analisi non pubblicata dell’Università di Harvard condotto dall’italiana Francesca Dominici, sul lungo periodo basta un piccolo aumento nei livelli medi di polveri sottili per far salire la mortalità del 15% anche se la metodologia utilizzata presenterebbe lacune.
Un altro studio evidenzia la relazione tra epidemia e polveri sottili. La società italiana di aerosol ha sempre ribadito che non è stato dimostrato alcun effetto di maggiore suscettibilità al contagio al Covid-19 dovuto all’esposizione alle polveri atmosferiche. Nelle varie analisi contano moltissimi fattori com e densità di popolazione, scambi internazionali, attività industriali e non solo l’inquinamento atmosferico, scrive Sergio Harari, direttore della Unità operativa di Pneumologia all’ospedale San Giuseppe di Milano. Ancora molte relazioni sono da verificare.
Densità abitativa
Proprio sulla densità abitativa si è focalizzato un altro studio italiano diffuso oggi dalla Società italiana di Allergologia. Secondo i ricercatori la densità abitativa diffonde il coronavirus più dello smog: Bergamo e Brescia, più densamente abitate di Verona, sono state colpite più duramente dal virus nonostante un livello di smog simile o addirittura inferiore, come nel caso della città di Bergamo. Fonte: qui
Proprio sulla densità abitativa si è focalizzato un altro studio italiano diffuso oggi dalla Società italiana di Allergologia. Secondo i ricercatori la densità abitativa diffonde il coronavirus più dello smog: Bergamo e Brescia, più densamente abitate di Verona, sono state colpite più duramente dal virus nonostante un livello di smog simile o addirittura inferiore, come nel caso della città di Bergamo. Fonte: qui
Gli scienziati trovano ulteriori prove: il coronavirus può viaggiare sulle particelle di inquinamento atmosferico
Gli scienziati si stanno arrampicando per trovare spiegazioni sul perché l'epidemia di coronavirus nel nord italiano sia stata molto più pervasiva e mortale rispetto alle epidemie in altre parti d'Europa e persino in altre parti d'Italia. Alcuni hanno suggerito che la popolazione anziana italiana potrebbe avere qualcosa a che fare con essa, sebbene i dati demografici del Giappone siano simili e lo scoppio in quel paese sia stato molto meno mortale.
Ora, un team di ricercatori che ha studiato i livelli di inquinamento atmosferico nella provincia di Bergamo in Italia ha trovato ulteriori prove del fatto che il virus può viaggiare su particelle di inquinamento atmosferico, secondo il rapporto Guardian , che potrebbe offrire alcune informazioni sul problema.
Leonardo Setti dell'Università di Bologna, in Italia, che ha guidato il lavoro, ha affermato che è importante indagare se il virus potrebbe essere trasportato più ampiamente dall'inquinamento atmosferico.
"Sono uno scienziato e sono preoccupato quando non lo so", ha detto. "Se lo sappiamo, possiamo trovare una soluzione. Ma se non lo sappiamo, possiamo solo subirne le conseguenze".
A dire il vero, mentre gli scienziati hanno trovato prove di materiale genetico virale sulle particelle d'aria, la ricerca non offre alcuna idea sul fatto che queste particelle possano effettivamente trasmettere il virus in un modo che gli consentirebbe di infettare altri esseri umani.
Ecco altro dal Guardian:
Gli scienziati italiani hanno utilizzato tecniche standard per raccogliere campioni di inquinamento dell'aria esterna in un sito urbano e industriale nella provincia di Bergamo e hanno identificato un gene altamente specifico di Covid-19 in più campioni. Il rilevamento è stato confermato da test ciechi presso un laboratorio indipendente.[…]Il potenziale ruolo delle particelle di inquinamento atmosferico è legato alla domanda più ampia di come viene trasmesso il coronavirus. Grandi gocce cariche di virus da tosse e starnuti delle persone infette cadono a terra entro un metro o due. Ma goccioline molto più piccole, di diametro inferiore a 5 micron, possono rimanere nell'aria per minuti o ore e viaggiare ulteriormente.Gli esperti non sono sicuri se queste minuscole goccioline trasportate dall'aria possano causare infezioni da coronavirus, sebbene sappiano che il coronavirus Sars del 2003 è stato diffuso nell'aria e che il nuovo virus può rimanere vitale per ore in minuscole goccioline.Ma i ricercatori affermano che l'importanza della potenziale trasmissione nell'aria e il possibile ruolo di potenziamento delle particelle di inquinamento significano che non deve essere escluso senza prove.
Setti non è il primo ricercatore a trovare prove del fatto che le particelle di inquinamento atmosferico potrebbero consentire al virus di spostarsi ulteriormente facendo essenzialmente un giro sulle particelle. Secondo il Guardian, altri due progetti di ricerca sono arrivati a risultati simili.
Un'analisi statistica dei dati di Setti suggerisce che livelli più alti di inquinamento potrebbero spiegare - o in parte spiegare - i più alti tassi di infezione nel Nord Italia, che è più laborioso, e lotta con livelli più alti di inquinamento atmosferico (è uno dei più cattivi aree inquinate in Europa). Al contrario, il sud italiano impoverito ha un'economia che è più agraria nel suo focus.
Nessuno di questi studi è stato sottoposto a peer review, almeno non ancora. Ma un legame tra inquinamento atmosferico e livelli di infezione è mai definitivamente dimostrato, almeno i lettori possono trovare conforto nel fatto che la chiusura economica globale ha contribuito a ridurre i livelli di inquinamento atmosferico in tutto il mondo - almeno per ora.
Fonte: qui
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