PATTUGLIE CONGIUNTE DI MILITARI E POLIZIA FANNO RONDA PER LA SICUREZZA NEL PAESE. PARLAMENTO CONVOCATO PER DECIDERE NUOVE ELEZIONI
TRUMP ESULTA PER L’USCITA DI SCENA DI MORALES
CORBYN, LA RUSSIA E PURE MARADONA ("EVO È UNA BRAVA PERSONA") PARLANO DI COLPO DI STATO…
MARADONA AL FIANCO DI MORALES: “IN BOLIVIA UN COLPO DI STATO”. MADURO: “SONO STATI GLI USA”
La leggenda del calcio Diego Armando Maradona ha espresso il suo sostegno all'ex presidente boliviano Evo Morales, fuggito in Messico, dove ha chiesto asilo, che si è dimesso domenica dal suo incarico e ha denunciato «un colpo di stato orchestrato in Bolivia». Il Pibe de Oro ha pubblicato su Instagram un messaggio con una foto di lui con Morales insieme sorridente, nel 2008.
«Mi rammarico per il colpo di stato orchestrato in Bolivia, in particolare per il popolo boliviano, e per Evo Morales, una brava persona che ha sempre lavorato per i più poveri», ha scritto l'ex capitano del Napoli e dell'Argentina. Nel corso della sua vita, Maradona in passato è stato un sostenitore di altri leader centro e sudamericani come Fidel Castro a Cuba e Hugo Chavez in Venezuela.
Nel 2008, Maradona, attualmente allenatore del Gimnasia La Plata, si era schierato al fianco della nazionale boliviana, che aveva rivendicato il diritto di giocare in casa nella sua capitale, La Paz, situata a un'altitudine di 3.600 metri. In un recente messaggio, Maradona si è congratulato con Morales per la sua vittoria rivendicata nel primo turno delle elezioni presidenziali boliviane, contestata dall'opposizione.
Intanto, a dare manforte a Morales è anche il presidente venezuelano Nicolas Maduro, che denuncia: «È stato un colpo di stato finanziato e diretto» dagli Stati Uniti, ha commentato nel corso di una riunione con governatori e sindaci delle principali città del Venezuela. Il Venezuela, ha poi dichiarato, «ama» la Bolivia ed «è disposto a dare tutto per la Bolivia». «Fino a dare la nostra vita come popolo per la Bolivia». Le parole di Maduro seguono quelle con cui Trump ha detto che la Bolivia «indica la direzione» per l'opposizione in Paesi come il Venezuela o il Nicaragua. «Ora siamo più vicini ad un emisfero occidentale completamente democratico, prospero e libero», aveva commentato.
BOLIVIA, È CAOS: MORALES SCAPPA IN MESSICO, RISCHIO GUERRA CIVILE
Roberto Da Rin per ilsole24ore.com
La Bolivia si è svegliata oggi in un clima di incertezza, caos istituzionale e assoluto vuoto di potere dopo la drammatica giornata che ha portato alle dimissioni del presidente Evo Morales, con molte voci che all’interno del Paese (a partire dallo stesso Morales) e a livello internazionale definiscono l’accaduto «un colpo di Stato». Di questo avviso è il Messico, che ha annunciato di avere concesso l’asilo politico al presidente dimissionario.
Di segno opposto la reazione del presidente americano Donald Trump, secondo il quale l’uscita di scena di Morales è «un momento significativo per la democrazia». La tensione delle ultime ore è salita in seguito alla reazione dei sostenitori di Morales che si sono riuniti a El Alto, grande quartiere popolare di La Paz, a 4150 metri di altitudine, manifestando al motto di “Ora sì, sarà guerra civile”.
Il paradosso della crescita forte coniugata con l’instabilità politica.
La soluzione della crisi boliviana non sarà affatto facile. Il Paese è spaccato in due: i sostenitori di Morales (quelli delle regioni più povere) e gli avversari principalmente radicati nelle regioni più ricche di materie prime. Il paradosso della crisi boliviana risiede nella dualità tra economia forte e fragilità politica. Il tasso di crescita del Pil boliviano è stato, negli ultimi 5 anni, sempre superiore al 4% , il più alto dell’America Latina. Il vulnus politico, con la crisi in corso che ne consegue, è la forzatura costituzionale di Morales per perpetuare la sua permanenza alla presidenza. Evo guida la Bolivia da quasi 14 anni.
L’appello alla pacificazione
Morales, che dopo aver annunciato di aver scritto una lettera di dimissioni si è trincerato nella sua roccaforte del Chapare, nel dipartimento di Cochabamba, ha chiesto ai suoi oppositori, Carlos Mesa e Luis Fernando Camacho, di «assumersi la responsabilità di pacificare il Paese e garantire la stabilità politica e la convivenza pacifica del nostro popolo». Per poi definirli entrambi su Twitter «cospiratori, razzisti e golpisti». I vertici del Tribunale elettorale sono stati invece arrestati con l’accusa di brogli nelle elezioni generali del 20 ottobre.
Il problema principale che affrontano le forze di opposizione (partiti e comitati civici) che si sono aggiudicate la vittoria politica è che lo Stato boliviano è al momento praticamente decapitato, viste le dimissioni presentate da Morales, dal suo vice Alvaro Garcia Linera, dai presidenti di Senato e Camera e anche dal primo vicepresidente della Camera Alta. Tecnicamente, fra l’altro, le dimissioni del capo dello Stato saranno effettive solo quando ci sarà una loro approvazione da parte del Parlamento.
L’incognita parlamento
Inoltre si deve ricordare che il governativo Movimento al socialismo (Mas) ha il controllo dei due terzi sia del Senato (25 membri su 36) sia della Camera (88 su 130), per cui senza una sua partecipazione non sarà mai possibile ottenere un quorum per procedere ad una transizione basata sulla Costituzione. In un preoccupato appello per risolvere questo problema, sia i comitati civici guidati Camacho sia il partito Comunidad Ciudadana di Mesa hanno lanciato un appello per permettere a senatori e deputati del Mas di raggiungere l’edificio del Parlamento senza subire attacchi.
A livello internazionale, è grande la preoccupazione per gli eventi boliviani, con vibranti appelli alla moderazione e al rispetto della Costituzione rivolti alle parti in conflitto da parte di Onu, Osa, Unione europea (Ue) e Cina.
Le posizioni di Russia e M5S
Più decisamente però, alcune nazioni (fra cui Russia, Messico, Uruguay, Venezuela e Cuba) e vari organismi internazionali (Gruppo di Puebla e l’Alba, Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America) non hanno esitato a definire un «colpo di Stato» l’obbligo di rinuncia imposto a Morales con il contributo decisivo dei militari. In Italia lo stesso ha fatto il M5s in una nota firmata dai senatori pentastellati della Commissione Esteri di Palazzo Madama, nella quale si condanna «con forza il golpe in Bolivia organizzato dall’opposizione di destra e dai militari». Sul fronte opposto, Trump afferma che la partenza di Morales «mette al sicuro la democrazia e apre la strada al popolo boliviano perche' la sua voce venga ascoltata», e avverte che quanto accaduto in Bolivia è «un segnale forte anche ai regimi illegittimi di Venezuela e Nicaragua».
Fonte: qui
QUEL CONFINE INCERTO TRA GOLPE E INSURREZIONE
RAMPINI: “LE TANTE CRISI IN AMERICA LATINA NON SONO DISSIMILI DALLA CRISI CHE ATTRAVERSANO LE DEMOCRAZIE DELL'OCCIDENTE.
I POPULISMI SONO LA CONSEGUENZA DI UNA CRISI PROVOCATA DALLE VECCHIE ÉLITE. IL FASCINO DEI MILITARI IN ALCUNI PAESI DERIVA ANCHE DAL FATTO CHE SONO UN'OASI MERITOCRATICA IN MEZZO A UN MARASMA D'INCOMPETENZA”
Federico Rampini per “la Repubblica”
L'ex presidente della Bolivia, Evo Morales, aveva imboccato una deriva autoritaria. La sua dimissione con successivo esilio in Messico è una buona notizia per il popolo boliviano, che ha contribuito a fermarne il golpe strisciante. Resta il fatto che una spallata decisiva gliel' hanno data i militari. Dobbiamo rallegrarcene ugualmente? Prevale nel giudizio politico su questo evento l' insurrezione dei cittadini, o il ruolo delle forze armate?
L' ambiguità è tipica della nostra epoca. Sul New York Times un commento di Max Fisher tradisce nostalgia per i tempi della guerra fredda, quando tutto era più chiaro, chi erano i buoni e i cattivi, chi faceva le rivoluzioni di popolo e chi sosteneva i golpe fascisti. Ma il caso della Bolivia complica tutto, gli uomini in divisa non hanno preso il potere, che resta in mano ai civili, i quali promettono nuove elezioni.
Morales se n' è andato incolume in Messico, non è finito davanti a un plotone di esecuzione. E tuttavia la transizione politica della Bolivia è traumatica, non rispetta compiutamente né i canoni della liberaldemocrazia né quelli del popolo sovrano.
Leggende a parte, la realtà non fu mai nitida e chiara, neppure ai tempi della guerra fredda quando accadde che i comunisti appoggiassero degli interventi armati contro le insurrezioni di popolo (Ungheria 1956, Cecoslovacchia 1968, invasione sovietica dell' Afghanistan 1979).
Eppure la nostalgia di quei tempi è diffusa, l' abbiamo vista all' opera qualche settimana fa in Cile, quando la vista delle divise in piazza (agli ordini di un legittimo governo civile) ha fatto scattare analogie improprie con i massacri del golpista Pinochet.
A scompaginare i pregiudizi politically correct arriva anche, dal Brasile di Bolsonaro, la decisione del tribunale di liberare il socialista Lula in carcere per corruzione. La sinistra brasiliana è favorevole, il gesto di conciliazione appare opportuno e perfino astuto, ma lo Stato di diritto non ne esce esaltato (come sempre quando il perdono si applica ai potenti).
Il tema drammatico che accomuna tante crisi in America latina non è dissimile dalla crisi che attraversa le liberaldemocrazie dell' Occidente. Il sistema politico fondato sul pluripartitismo e sul suffragio universale, perde consensi quando non è più capace di dare risultati. I populismi sono la conseguenza di una crisi provocata dalle vecchie élite, anche se a loro volta deludono nei risultati di governo (lo vedremo presto in Argentina dopo il ritorno dei peronisti al potere).
Avanza un modello alternativo, quello cinese, che esibisce efficienza e risultati, crescita e modernizzazione, ordine e sicurezza, a cui unisce un potente messaggio nazionalista e mono-etnico. La risposta a quel modello non può venire solo su principi e procedure. Il fascino dei militari in alcuni Paesi deriva anche dal fatto che sono un' oasi meritocratica in mezzo a un marasma d' incompetenza.
CAOS IN BOLIVIA, JEANINE AÑEZ SI «AUTOPROCLAMA» PRESIDENTE
LA SENATRICE DELL’OPPOSIZIONE PER METÀ PAESE E’ UN’USURPATRICE, IL VOLTO DEL GOLPE CONTRO MORALES, PER L’ALTRA METÀ È IL SIMBOLO DELLA LIBERAZIONE
LEI HA PROMESSO CHE OCCUPERÀ LA POLTRONA SOLO PER ORGANIZZARE LE PROSSIME ELEZIONI E PACIFICARE LA BOLIVIA. MA L’EX PRESENTATRICE TV DIFFICILMENTE RIUSCIRÀ A CONVINCERE IL..
Rocco Cotroneo per corriere.it
Per mezza Bolivia è una usurpatrice, il volto del golpe contro Evo Morales; per l’altra metà il simbolo della liberazione, per ritrovare la democrazia. Comunque sia l’ascensione di Jeanine Añez, 52 anni, alla presidenza della Bolivia, non ha nulla di rituale. La senatrice di opposizione del Beni, Amazzonia boliviana, si è autoproclamata alla guida del Paese durante una sessione del Senato per mancanza di alternative. Perché insieme a Morales e al suo vice Alvaro Garcìa Linera, esiliati in Messico, hanno rinunciato alle cariche anche i presidenti delle due Camere.
La Añez è seconda vicepresidente del Senato e quindi — lei ritiene — la carica le spetta. Ha promesso che occuperà la poltrona solo per organizzare le prossime elezioni e pacificare la Bolivia. Alla sessione hanno partecipato i soli parlamentari dell’opposizione. Il Movimento al socialismo di Morales l’ha disertata facendo mancare il quorum e ritiene non valida la nomina di Añez. La quale, con sottobraccio una Bibbia gigante, si è recata nel palazzo di governo a prestare giuramento.
Ex presentatrice tv, avvocata, capelli lunghi biondi, Añez è quanto di più distante dal suo predecessore, e difficilmente riuscirà a convincere il «pueblo evista». Esponente del partito conservatore Unidad Democratica, è entrata in politica per caso, sua stessa ammissione, grazie alle quote riservate alle donne, quando si è trattato di comporre l’Assemblea costituente nel 2006, voluta da Morales per redigere una nuova Carta. È stata eletta nel 2010 al Senato, e al secondo mandato occupa la carica della presidenza riservata all’opposizione.
È stata in prima fila contro le mosse di Morales per perpetuarsi al potere, a partire dal referendum (il cui esito ha ignorato) che non gli avrebbe consentito la rielezione. Come segnale di conciliazione ha deciso che la Bolivia continuerà a usare come seconda bandiera la Wipphala, il simbolo multicolore degli indios Aymara, bruciata in questi giorni in segno di disprezzo razzista da alcuni manifestanti dell’opposizione.
EVO MORALES VITTIMA DEL LITIO (e dei suoi errori)
“Il litio della Bolivia appartiene al popolo boliviano”, disse Evo Morales. Un settimana fa, l’ha ripetuto ai dirigenti della tedesca ACI Systems Alemania (ACISA), che aveva il contratto per lo sfruttamento del litio dal 2018.
Tra gli altri clienti, ACISA fornisce batterie a Tesla; Lo stock di Tesla è aumentato lunedì dopo il fine settimana. Il litio è essenziale per l’auto elettrica. La Bolivia afferma di avere il 70 percento delle riserve mondiali di litio, principalmente nelle saline di Salar de Uyuni.
Come notato da Bloomberg News nel 2018, questo ha reso il paese incredibilmente importante nel prossimo decennio:
Si prevede che la domanda di litio raddoppierà entro il 2025. Il minerale leggero viene estratto principalmente in Australia, Cile e Argentina. La Bolivia ne ha in abbondanza – 9 milioni di tonnellate che non sono mai state estratte commercialmente, la seconda più grande del mondo – ma fino ad ora non c’è stato alcun modo pratico per estrarlo e venderlo.
La salina si trova a circa 3.600 metri sul livello del mare e riceve forti piogge. Ciò rende difficile utilizzare l’evaporazione basata sul sole, nelle normali saline.
La complessità dell’estrazione e della lavorazione ha fatto sì che la Bolivia non sia stata in grado di sviluppare da sola l’industria del litio. Richiede capitale e richiede competenza. Allora si è rivolto ad imprese cinesi.
Imperdonabile. Del resto, non è che Evo Morales sia bianco come la neve o il lago di litio. Quasi certamente, s’è fatto rieleggere dopo una strana interruzione del conteggio delle schede. Del resto lui stesso aveva fatto scrivere nella Costituzione, nel 2009, la limitazione della carica presidenziale a due mandati, per poi violarla lui stesso adesso ripresentandosi. La rottura dei contratti con le multinazionali minerarie (Glencore, Jindal Steel & Power, Anglo-Argentine Pan American Energy e South American Silver (ora TriMetals Mining), l’ha condotta in modo da farsi trascinare in giudizio nei tribunali internazionali e dover pagare multe milionarie.
Ancora una volta, i populisti al potere si confermano inadeguati culturalmente alla sfida. In Sudamerica si deve ancora ricorrere ai militari per liberarsene. In Europa è bastato che Draghi facesse salire lo spread, nel 2011 ed oggi, per ottenere lo stesso scopo. E’ il trionfo della democrazia. Fonte: qui
“Il litio della Bolivia appartiene al popolo boliviano”, disse Evo Morales. Un settimana fa, l’ha ripetuto ai dirigenti della tedesca ACI Systems Alemania (ACISA), che aveva il contratto per lo sfruttamento del litio dal 2018.
Tra gli altri clienti, ACISA fornisce batterie a Tesla; Lo stock di Tesla è aumentato lunedì dopo il fine settimana. Il litio è essenziale per l’auto elettrica. La Bolivia afferma di avere il 70 percento delle riserve mondiali di litio, principalmente nelle saline di Salar de Uyuni.
Come notato da Bloomberg News nel 2018, questo ha reso il paese incredibilmente importante nel prossimo decennio:
Si prevede che la domanda di litio raddoppierà entro il 2025. Il minerale leggero viene estratto principalmente in Australia, Cile e Argentina. La Bolivia ne ha in abbondanza – 9 milioni di tonnellate che non sono mai state estratte commercialmente, la seconda più grande del mondo – ma fino ad ora non c’è stato alcun modo pratico per estrarlo e venderlo.
La salina si trova a circa 3.600 metri sul livello del mare e riceve forti piogge. Ciò rende difficile utilizzare l’evaporazione basata sul sole, nelle normali saline.
La complessità dell’estrazione e della lavorazione ha fatto sì che la Bolivia non sia stata in grado di sviluppare da sola l’industria del litio. Richiede capitale e richiede competenza. Allora si è rivolto ad imprese cinesi.
Imperdonabile. Del resto, non è che Evo Morales sia bianco come la neve o il lago di litio. Quasi certamente, s’è fatto rieleggere dopo una strana interruzione del conteggio delle schede. Del resto lui stesso aveva fatto scrivere nella Costituzione, nel 2009, la limitazione della carica presidenziale a due mandati, per poi violarla lui stesso adesso ripresentandosi. La rottura dei contratti con le multinazionali minerarie (Glencore, Jindal Steel & Power, Anglo-Argentine Pan American Energy e South American Silver (ora TriMetals Mining), l’ha condotta in modo da farsi trascinare in giudizio nei tribunali internazionali e dover pagare multe milionarie.
Ancora una volta, i populisti al potere si confermano inadeguati culturalmente alla sfida. In Sudamerica si deve ancora ricorrere ai militari per liberarsene. In Europa è bastato che Draghi facesse salire lo spread, nel 2011 ed oggi, per ottenere lo stesso scopo. E’ il trionfo della democrazia. Fonte: qui
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